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Muore un'ape su due: agricoltura a rischio

di Daniela Daniele - 04/02/2008

 
Inquinamento e cambiamenti climatici sono le cause principali. Legambiente: stop ai pesticidi

E’ oro fuso uno dei migliori ricostituenti ematici naturali, con proprietà antibiotiche, e diventa sempre più prezioso. Perché le sue insostituibili produttrici vengono decimate, anno dopo anno. Il miele rischia di scomparire dalla nostra dieta: le api stanno morendo. L’anno scorso si è verificata una riduzione di questi insetti, in Italia e in Europa, tra il 30 e il 50%, con vette che toccano anche il 60-70% in alcune aree degli Stati Uniti, e adesso l’Apat - l’Agenzia per la protezione dell’ambiente - lancia l’allarme.

Le cause del fenomeno da spopolamento, definito con l’acronimo CCD («Colony Collapse Disorder»), sono di varia natura: contribuiscono al sempre più alto tasso di mortalità le condizioni igienico-sanitarie degli alveari, i cambiamenti climatici e la disponibilità e la qualità dei pascoli e dell’acqua. In poche parole: il primo colpevole è l’inquinamento sempre più esteso e invasivo.

«Non esiste, quindi, un’unica causa scatenante - spiega il rapporto dell’Apat - anche se gli esperti sono concordi nell’attribuire forti responsabilità alla contaminazione da fitofarmaci e all’inquinamento elettromagnetico». Ma non manca una recrudescenza delle infezioni da virus, le temute virosi, e della varroa, una malattia causata da un acaro che attacca sia la covata sia l’ape adulta.

Certo, anche gli sconvolgimenti climatici stanno facendo la loro parte. Un andamento irregolare del clima, infatti, può interrompere il flusso normale di nutrienti che sono necessari alle api per la crescita e lo sviluppo. Indebolendo, così, le difese dell’intero alveare.

Quali misure per contrastare questo disastro? «Occorre essere pronti a intervenire con idonee integrazioni alimentari che sostituiscano il nettare e il polline raccolti dalle api - suggerisce l’Apat -. Resta da vedere se il miele, così ottenuto, manterrà le stesse caratteristiche.

Le conseguenze - è ovvio - non si limitano alla strage di insetti, con una crescente perdita della biodiversità, ma si ripercuotono in modo sempre più pesante su tutta l’agricoltura italiana a causa dell’insufficiente impollinazione delle piante, che può quindi portare a una forte riduzione dei raccolti.

L’apporto economico dell’attività delle api al comparto agricolo, solo nel nostro Paese, è di circa 1600 milioni di euro l’anno (pari a 1240 euro per alveare). Se si considera che nel 2007 si sono persi circa 200 mila alveari, il danno per le mancate impollinazioni si è aggirato sui 250 milioni di euro. Il problema è maggiormente sentito nel Nord, dove la perdita di alveari è arrivata ormai al 50%. Ma pesanti riduzioni si sono misurate anche al Centro, mentre la situazione va un po’ meglio nel Mezzogiorno.

Legambiente punta il dito contro l’uso in agricoltura di alcuni fitofarmaci, contenenti molecole neonicotinoidi, che già dalla loro introduzione in Francia, nel ‘91, evidenziarono una serie di effetti letali sulle api e determinarono alcune sentenze che, in osservanza del principio di precauzione, hanno vietato l’uso di queste sostanze su molte colture.

«In Italia invece - accusano gli ambientalisti - non c’è stata alcuna risposta alle denunce su questi pesticidi». E gli apicoltori italiani si dicono sempre più disperati.