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Rassegnati a tutto, anche alla "munnezza"

di Fernando Ricciardi - 04/02/2008

 

Rassegnàti a tutto, anche alla



Ormai la “munnezza” di Napoli e dintorni non fa più notizia. Incredibile come ci si riesce ad abituare anche alle situazioni più scabrose. Dopo giorni e giorni di prime pagine, complice anche il rovinoso capitombolo di Prodi e compagni, lo scandalo dei rifiuti campani è scivolato sempre più indietro. Del resto cosa si può argomentare di più di quanto non sia stato detto nelle settimane appena trascorse? Cosa è cambiato da quando il pacioso ex presidente del Consiglio, ancora inebriato dall’aria di montagna, annunziò “urbi et orbi” che avrebbe risolto il problema in 48 ore? Niente di niente. E’ arrivato De Gennaro ma i rifiuti sono lì sulle strade, mentre all’orizzonte non si intravedono spiragli di luce. Perché allora, continuare a parlarne? Si rischia solo di avventurarsi in uno sterile esercizio dialettico. Più interessante, invece, scendere a fondo nel dramma, investigare nelle pieghe di una realtà che presenta vari strati, ognuno diverso dall’altro. Tutti hanno ormai imparato a conoscere il quartiere di Pianura e la sua gigantesca pattumiera. Forte si è levato il grido di quella gente stanca di convivere con paura, malattie e morte. Tutto si può dire meno che quei cittadini siano stati baciati dalla buona sorte. E invece ancora non si è toccato il fondo. Nell’immane degrado partenopeo esistono situazioni persino peggiori di Pianura. Peggiori non tanto per la realtà in sé quanto per il dramma che si consuma giornalmente in religioso silenzio e nella più totale indifferenza. Come nel cuore più profondo della periferia, quella che anche le cronache più puntuali ignorano. Secondigliano, Capodichino, San Pietro a Patierno, Casavatore, Casoria, Arzano, Afragola, Caivano: un ammasso disordinato di rioni e di comuni, mostruosi agglomerati urbani che si susseguono l’uno attaccato all’altro senza interruzione alcuna. Se non fosse per qualche sgangherato cartello indicatore sarebbe pressoché impossibile distinguere l’uno dall’altro. Sarà anche per questo che nessuna televisione ha pensato di avventurarsi in questa giungla soffocante di cemento dove sotto l’occhio vigile dei piccoli boss di quartiere trionfa e prospera il lavoro nero. Eppure anche qui vi sono ovunque enormi cumuli di immondizia. Anche qui le scuole sono rimaste chiuse e i bambini camminano con le mascherine sulla bocca. Ciò malgrado non abbiamo colto né rabbia né furore né proteste. Unico segno di dissenso qualche sbiadito manifesto murale delle forze di opposizione contro il governo comunale e regionale. Per il resto niente. La vita scorre tranquilla, monotona, come tutti i giorni. Perso in un dedalo inestricabile di strade, inghiottito dal traffico caotico, decido di fermarmi per fare quattro chiacchiere. Mi trovo ad Arzano, un altro comune che balza agli onori delle cronache soltanto per i morti ammazzati. Lì, parcheggiata l’auto, mi incammino a piedi lungo un viale. Alla mia destra imponenti cumuli di rifiuti di ogni genere e tipo. La catasta dei sacchetti neri è così alta da sfiorare la sovrastante struttura in cemento armato. Sulla mia testa corre il ‘doppio senso’, una strada che collega Napoli con i paesi limitrofi. La striscia maleodorante si protrae per parecchie centinaia di metri tra ali di palazzi, negozi e locali pubblici. Mentre cammino con il fazzoletto premuto sulla bocca vedo una giovane signora che deposita due buste di immondizia sul mucchio informe. Mi fermo un attimo a guardarla. Al che lei mi dice: “E’ più di un mese che qui ad Arzano non vengono a ritirare la munnezza. Che cosa dobbiamo fare? D’altro canto mica ce la possiamo mangiare…”. Fin qui niente di nuovo. Del resto, penso tra me e me, è ciò che accade anche in altri contesti. E invece qualche minuto dopo mi accorgo che così non è. Non potendo più respirare quel fetore (sotto i miei occhi un nugolo di ragazzini vocianti gioca al pallone nel piazzale dello stadio comunale utilizzando sacchetti di rifiuti come pali delle porte), decido di entrare in un bar. Una giovane donna al bancone, un’altra alla cassa, un ragazzo alle prese con i videogiochi mentre quattro signori giocano a carte su un tavolino al di fuori del locale, a pochi metri dalla putrida catasta. Bevendo il mio bicchiere di latte osservo la scena con atteggiamento di vivo stupore. Perso nei miei pensieri quasi non sento la ragazza che mi dice: “Brutto, spettacolo è dottò... Pensate che qui è così da sempre, altro che emergenza rifiuti…”. Non essendo sicuro di aver capito bene, con un filo di voce chiedo: “Come?”. “Eh sì, proprio così. Noi siamo in emergenza da una vita. Adesso si vede qualche sacchetto in più, ma la munnezza da noi è sempre stata così tanta o quasi”. Le parole della ragazza mi raggelano: in un attimo capisco che qui il dramma è addirittura più grande di Pianura. Lì, almeno, lottano, strepitano, sfasciano, imprecano. Qui, ad Arzano, si sono rassegnati, hanno perso ogni speranza e, quel che è più grave, hanno imparato a convivere con i rifiuti e con la puzza. E più o meno la stessa cosa accade nei comuni limitrofi. Sto per pagare ed andarmene quando qualcosa dentro di me si ribella e mi impone di fare un ultimo tentativo: voglio vedere fino a che punto quella gente ha deposto le armi. E allora chiedo alla ragazza: “Ma qui si è visto l’esercito? Sapete che De Gennaro ha predisposto un piano per eliminare i rifiuti dalle strade di Napoli e provincia?”. La barista non fa in tempo a rispondere che sento alle mie spalle una fragorosa risata. Uno dei giocatori di carte deve aver inteso la mia domanda. “Ma quale esercito … Qui non si è visto e non si vedrà nessuno. E’ una storia vecchia. Ma tanto noi siamo abituati, non ci scan-dalizziamo certo. Tra qualche tempo verranno i camion del comune, prenderanno la munnezza e poi spariranno per qualche altro mese. E così i rifiuti si accumuleranno di nuovo e tutto tornerà come adesso. Altro che De Gennaro. Qui ci vorrebbe San Gennaro per risolvere la situazione. Ma anche San Gennaro, da qualche tempo, si è stufato di fare miracoli. Sarà forse perché l’hanno cancellato dal calendario…”. Non ho capito male, è proprio così. Vorrei tanto continuare il discorso, parlando, magari, di raccolta differenziata. Mi accorgo, però, che non è il caso di rigirare il coltello nella ferita e decido di piantarla lì. Uscito dal bar raggiungo la mia auto. Mentre sto per ripartire un tiro ben assestato di un bambino colpisce in pieno la busta di rifiuti che fa da palo e sparge il suo contenuto nel piazzale. I bambini continuano a correre come se niente fosse. Così come continuano a giocare a carte quei signori davanti al bar, seduti sui rifiuti. Ma qui tutto è normale. D’altronde con chi dovrebbero prendersela? Con quelli che dopo aver provocato la catastrofe sono ancora stravaccati sul loro comodo scranno? No, sarebbe un inutile affanno. E allora perché farsi il sangue amaro? Meglio prendere le cose con filosofia. Prima o poi qualcosa accadrà, qualcuno si dovrà pur ricordare di loro. E nel frattempo che fare? Rimanere tappati in casa a vedere la televisione e assistere alla patetica rassegna di quelli che a vario titolo discettano sul tema? No di certo. Molto meglio continuare a fare la vita di tutti i giorni sia pure tra le cataste di ‘munnezza’. Tanto i problemi ci sono e lì rimangono. I rifiuti? Soltanto l’ultima goccia in un mare di guai. E, a ben vedere, non è neanche il guaio più grosso. E allora perché rovinarsi il fegato? Perché protestare? Non servirebbe a niente. Meglio rassegnarsi. Tanto, prima o poi, ‘a nuttata’ finirà per passare.