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Un manto di cemento sull'agente arancio

di Cartosio Emanuela - 04/02/2008


 

Quarant'anni fa, nella notte tra il 30 e il 31 gennaio, i Vietcong lanciavano l'offensiva del Tet. L'anniversario del «glorioso capitolo della storia del Vietnam» è stato celebrato ieri a Città Ho Chi Min (che tutti continuano a chiamare Saigon). La guerra, finita nel 1975 con la bandiera a stelle e strisce arrotolata sul tetto dell'ambasciata americana, ha una coda avvelenata. Sono gli effetti dell'agente arancio, il defoliante alla diossina irrorato dagli elicotteri e dai C-123 Usa sul suolo del Vietnam. I danni inferti alle persone, trasmessi alle nuove generazioni con terribili malformazioni, sono ampiamente documentati. Meno si sa della contaminazione ancora in atto (il tempo di dimezzamento della diossina è di almeno 15 anni) del terreno.
Danang, Phu Cat e Bien Hoa sono le zone più inquinate. Lì la presenza di diossina è «centinaia di volte» superiore al tollerato. A Danang, dal 1966 fino alla fine della guerra, aveva sede la principale base americana. Nel quarantesimo anniversario dell'offensiva del Tet una delegazione congiunta vietnamita-americana ha visitato l'ex aeroporto di Danang. Una colata di cemento, nei mesi scorsi, ha sigillato un'ampia fetta dell'ex base americana. «Così le piogge non trascineranno più la diossina nel lago dove le gente pesca», dichiara Walter Isaacson, membro del Gruppo di dialogo Usa-Vietnam sull'agent orange (un'emanazione della Fondazione Ford). Un sistema di canali, serbatoi di decantazione, filtri al carbone - aggiunge Isaacson - aiuterà a «fermare» la diossina. Più prudente, il ministero della difesa vietnamita non sposa la versione tranquillizzante dei "benefattori" americani. «Finché c'è la diossina il pericolo resta», dichiara il generale Phung Khac Dang. Un muro e delle sentinelle cercheranno d'evitare che la popolazione usi le acque del lago.
Non è chiaro quanto questi metodi dissuasivi funzionino davvero. E' lampante, invece, che tra Vietnam e Usa resta aperto un contenzioso sui danni provocati dall'agente arancio. «Finché non troveremo una soluzione ragionevole e pacifica per questo lascito della guerra, non ci sarà una piena normalizzazione dei rapporti tra noi e Washington», dice la signora Ton Nu Thi Ninh, del corpo diplomatico di Hanoi.
Il Vietnam, una piccola Cina quanto a crescita del prodotto interno lordo, ha accolto a braccia aperte centinaia di multinazionali americane. Con i salari che crescono in Cina, altre ne arriveranno. Tutto fila liscio tra gli ex nemici sotto il profilo degli affari. L'unico neo resta l'avarizia di Washington negli aiuti per bonificare il terreno, curare i malati, assistere i bambini malformati. I 3 milioni di dollari, stanziati l'anno scorso dal Congresso Usa, ad Hanoi non li hanno ancora visti. Washington ha contributo al sarcofago di cemento steso sulla sua ex base di Danang con 400 mila dollari, elargiti a titolo di «donazione».
La querelle politica s'incrocia con un contenzioso giudiziario. Un gruppo di vittime vietnamite sta provando ad aprire negli Usa una class action contro 37 aziende produttrici (Monsanto e Dow Chemical i nomi di spicco) del defoliante usato a piene mani dall'esercito americano. Bocciata in prima istanza, sulla class action deve pronunciarsi la corte d'appello di New York. Intanto, governo ed aziende americani hanno messo al lavoro "scienziati" compiacenti per sostenere che non c'è «evidenza scientifica» del nesso causale tra agente arancio e i danni subiti da almeno tre milioni di vietnamiti nell'arco di tre generazioni. Una tesi che stride con il fatto che numerosi veterani del Vietnam hanno ottenuto risarcimenti per i danni subiti inalando i diserbanti scaricati in testa ai vietnamiti. Hanno dovuto penare per ottenerli, ma alla fine ce l'hanno fatta.
Secondo stime di Hanoi, avvalorate dalla Croce rossa, in una decina d'anni sul Vietnam piovvero 20 milioni di litri di agente arancio. Nel 12% del territorio fu fatta terra bruciata, prima con i defolianti poi con il napalm.