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“Baghdad Hospital”, Anatomia dell’Iraq

di Casey Miner - 05/02/2008

Un medico iracheno diventato giornalista ci porta all’interno di una zona di guerra dell’Iraq che si intravede di rado — il Pronto soccorso.




Se avete bisogno di una trasfusione di sangue all’Ospedale Yarmuk di Baghdad, potete averla —purché ci sia qualcuno a donare sangue per voi. Se avete bisogno di un intervento, potete avere anche questo — anche se il vostro solo anestetico potrebbero essere i vostri amici e familiari che vi tengono fermi. Una grossa esplosione può esaurire le scorte di soluzioni saline dell’ospedale per una settimana, lasciando le vittime della prossima esplosione senza le cure necessarie. E dove il triage è all’interno di una zona di guerra, medici e autisti di ambulanze vengono regolarmente minacciati e molestati.


Invece di essere pause dal caos esterno, a Baghdad gli ospedali sono i luoghi più pericolosi della città. Sono stati inoltre per lo più chiusi ai giornalisti. Finora. Il cineasta ed ex medico iracheno Omer Salih Mahdi ha trascorso sei settimane filmando all’interno del Yarmuk e all’esterno, per strada con le ambulanze dell’ospedale. Il suo documentario "Baghdad Hospital: Inside the Red Zone", che va in onda per la prima volta domani sera sulla HBO, offre uno scorcio , raro e non manipolato, sul funzionamento quotidiano di quello che definisce "un ospedale da campo in una guerra civile", lontano dai soldati americani, e alla mercé delle forze in lotta fra loro che provocano il caos sia all’interno delle sue mura che all’esterno.


"Non rivedrete un film come questo", avverte il dr. Mahdi. Ostacolato da miliziani aggressivi, medici nervosi, e dalla minaccia degli insorti, il documentarista ha affrontato pestaggi, interrogatori, e minacce di morte. La sua sicurezza nell’ospedale era talmente precaria, dice, che alla fine ha scelto di smettere del tutto di filmare perché il direttore della sicurezza — l’uomo che aveva approvato il progetto e gli aveva permesso di entrare ogni giorno in ospedale — era stato ucciso a colpi di arma da fuoco. "Parecchie volte ho pensato che il film non si sarebbe mai fatto", dice.


La cosa più evidente dalle immagini che Madhi è riuscito a catturare è il caos. Dalle ambulanze e dai letti di ospedale, iracheni feriti si chiedono ad alta voce perché i loro compatrioti si stiano combattendo gli uni con gli altri. Lungi dal nutrire opinioni confessionali estreme, questi civili sembrano sopraffatti e sconcertati, non solo dalla violenza ma dal numero di coloro che la commettono. Verso la fine del film, la telecamera si sofferma per diversi minuti su tre persone su una ambulanza, tutte che urlano e sono molto arrabbiate, che dicono che vogliono che torni Saddam. "E’ quello che pensano adesso gli iracheni", dice il dr. Mahdi. "Dicono che vorrebbero poter tornare ai tempi di Saddam. Non erano bei tempi. Erano brutti sotto diversi aspetti, ma almeno la gente aveva la sicurezza".


Formatosi come medico alla Baghdad University, il dr. Mahdi ha esercitato la professione in Iraq per quasi quattro anni finché ha lasciato per diventare giornalista agli inizi del 2005. In un colpo di fortuna, Madhi ha incontrato George Packer, giornalista di lunga esperienza del New Yorker, e Deborah Amos di NPR [National Public Radio NdT] e ha iniziato a lavorare per loro come traduttore. I giornalisti gli hanno mostrato i segreti del mestiere, affidandogli i suoi primi incarichi sulle strade dell’Iraq. Ha continuato andando a studiare cinematografia con la Guardian Films a Londra, prima di tornare in Iraq per realizzare "Baghdad Hospital". Ora, mentre sta facendo un master in giornalismo con una borsa di studio Fulbright alla Ball State University, nell’Indiana, il trentenne ha parlato con Mother Jones delle condizioni spaventose dell’assistenza medica a Baghdad, dei suoi pensieri sul futuro dell’Iraq, e di quelle sei settimane all’interno di un ospedale iracheno.


Mother Jones
: Durante i primi due anni della guerra lei esercitava ancora la professione di medico. Come era cambiato il suo lavoro in quel periodo?


Omer Salih Mahdi
: La vita era cambiata completamente. Prima della guerra, quasi non ci arrivavano traumi importanti, forse uno o due la settimana, dovuti a incidenti stradali o qualcosa [del genere]. Dopo la guerra abbiamo cominciato a ricevere moltissime persone tutti i giorni, per esplosioni, sparatorie, accoltellamenti. Nello stesso tempo, abbiamo iniziato a perdere sicurezza nell’ospedale. Persino nel Pronto Soccorso non eravamo protetti dalle minacce. E c’erano molte volte in cui in ospedale arrivava gente arrabbiata —che aveva perso i parenti, i colleghi — e dava la colpa ai medici. Molti dottori sono stati picchiati; sono stati umiliati. E’ molto difficile essere un medico in Iraq.


MJ
: Gli americani si sono occupati in qualche modo della sicurezza degli ospedali?


OSM
: Quando Baghdad è caduta, eravamo veramente soli. Ma dopo gli americani sono arrivati negli ospedali. Hanno messo i loro carri armati di fronte agli ingressi, e si sono occupati della nostra sicurezza. Hanno iniziato a proteggere l’ospedale dai saccheggiatori,  e anche ad aiutare i medici a lavorare in un ambiente sicuro. Dopo parecchi mesi, tuttavia, quando è stato creato il ministero della Sanità, hanno lasciato gli ospedali. Hanno cominciato a mettere persone — le chiamavano forze di protezione degli ospedali — civili armati che erano stati assunti per proteggere l’ospedale. Ma erano molto deboli, e ci sono stati moltissimi incidenti all’Ospedale Yarmuk, quando l’esercito iracheno è entrato all’interno e ha cominciato a minacciare i medici e a sparare, facendo un sacco di cose orribili. I medici si sentono tuttora minacciati.


MJ
: Attualmente i medici hanno forniture adeguate?


OSM
: Ci sono carenze a tutti i livelli, di farmaci, anestesia, attrezzature. E questo era prima della guerra. Dopo la guerra è peggiorato. Dicevamo alla gente di portare le medicine da fuori perché in ospedale non erano disponibili.


MJ
: Qualcuno ha cercato di chiedere agli americani altre risorse?


OSM
: Di solito non possiamo contattare le forze armate americane. Se i medici hanno bisogno di fare qualcosa, sono tenuti a passare per il ministero della Sanità iracheno. E’ questa la regola. Malgrado il fatto che per le strade non c’è legge, all’interno dell’ospedale c’è questo metodo fortemente burocratico di affrontare le cose. Sfortunatamente, il ministero è veramente corrotto e occupato con molte cose diverse dal fare in modo che vengano forniti i servizi alla gente. In ospedale non ci sono medicine e non c’è nessuno che si prenda cura dei moltissimi pazienti ricoverati. Persino gli obitori. Ogni ospedale dovrebbe avere delle celle frigorifere nelle quali tenere i corpi, ma la maggior parte non funzionano. I corpi giacciono letteralmente per terra al sole, al caldo. E’ orribile.


MJ
: Nel film lei descrive la mancanza di anestesia. Ma altri particolari, come i corpi all’obitorio, non compaiono. Come ha deciso che cosa mostrare?


OSM
: Vorrei aver colto di più, ma è stato molto difficile filmare all’interno dell’ospedale o all’esterno, per strada. L’ospedale è sotto il controllo della milizia [dell’Esercito del Mahdi], e loro, nonché le forze di sicurezza irachene, erano arrabbiati vedendo un cameraman con una telecamera in funzione all’interno dell’ospedale. Parecchie volte mi è stato ordinato di non filmare, e mi è stato completamente impedito di entrare nel Pronto Soccorso. Sono stato preso e interrogato dai miliziani, dalle forze di sicurezza irachene. Per strada poi, naturalmente, ci sono gli insorti che controllano il quartiere in cui si trova l’ospedale, e i checkpoint dell’esercito iracheno dove saranno assai sospettosi se vedono qualcuno dentro una macchina con una telecamera. Penseranno che è un insorto e possono anche sparargli. Parecchie volte ho pensato che il film non si sarebbe mai fatto, per le difficoltà che incontravo ogni giorno.


MJ
: In base alle sue esperienze in entrambi i Paesi, qual è la sua opinione sul modo in cui i media americani coprono la guerra?


OSM
: Parecchie volte mi è stato detto che qui la gente dà la colpa ai media perché non coprirebbero la guerra in modo adeguato. Ma, dato che ho lavorato in Iraq con giornalisti stranieri, penso che stiano facendo del loro meglio per raccontare la storia. Lì la gente ha molta paura di parlare con i giornalisti e molta paura delle loro telecamere. E lo stesso governo iracheno non vuole che esca la verità. Mettono regole molto rigide sul lavoro dei giornalisti, sui loro movimenti, sul tipo di informazioni che possono ottenere, sui posti in cui possono andare. Penso che i media americani facciano il possibile per seguire la storia dei civili iracheni.

Nello stesso tempo penso che abbia un senso che la copertura riguardi più i soldati americani, dato che la maggior parte degli americani sono preoccupati dei loro figli e delle loro figlie che stanno combattendo. Inoltre è più facile che occuparsi dei civili iracheni.


MJ:
Ho notato che nel film non compare  nemmeno un soldato americano, neanche sullo sfondo. La mia sensazione, e credo quella di molte persone qui, è che i soldati americani siano più presenti, almeno a Baghdad.


OSM
: Adesso i soldati americani stanno riducendo la loro disponibilità, e consegnando sempre più le responsabilità al governo iracheno. In ospedale, per tutto il tempo che ci sono stato, sono venuti solo una volta, e questo è stato dopo un’enorme esplosione, quindi erano venuti solo per controllare la situazione all’interno dell’ospedale. Ma per il resto non sono più venuti. Pensano che gli ospedali siano sotto il controllo del ministero della Sanità iracheno, come dovrebbe essere, e che il governo iracheno se ne stia occupando. Nello stesso tempo, nessuno può andare dagli americani a chiedere aiuto. Oggi il più grande crimine in Iraq è  quello di essere visti avere a che fare con gli americani o con altri stranieri.


MJ
: Che cosa significa per quanto riguarda il fatto che in gli americani debbano rimanere o meno in Iraq?


OSM
: In Iraq abbiamo un sistema veramente corrotto e un governo realmente debole. Non stanno lavorando sodo per stabilizzare le cose, e sono manipolati da forze esterne. Inoltre ci sono le bande e le milizie che controllano alcuni quartieri. Lì i soldati americani sono l’unica autorità forte, neutrale disponibile. Molte persone si sentono sicure solo quando vedono soldati americani o un checkpoint americano. Si spaventano e si insospettiscono se vedono un checkpoint dell’esercito iracheno, perché moltissimi sequestri e omicidi vengono commessi da gente che indossa la divisa delle forze di sicurezza irachene. Quindi, la mia opinione personale, e quella di tutti coloro che conosco, è che il giorno in cui gli americani se ne andranno sarà il giorno che precederà una guerra civile totale. Ci saranno uccisioni di massa provocate dai combattimenti per la conquista del potere. La presenza americana è l’unica cosa che impedisce una enorme escalation della guerra civile.


MJ
: Adesso la definirebbe una guerra civile?


OSM
: In quale altro modo si possono definire checkpoint, gente per strada con i fucili, che porta via le persone? Gente armata in abiti civili, col volto coperto, che controlla i quartieri? Questa non è una guerra civile?


MJ
: Che cosa dovrebbe succedere per mettervi fine?


OSM
: L’unica speranza che abbiamo è che in Iraq ci sia qualche cambiamento importante, come destituire questo governo che abbiamo, e portare a controllare il sistema gente forte, laica, dei tecnocrati— gente che non abbia legami con i Paesi degli insorti, i Paesi vicini; gente che non abbia programmi propri. E’ l’unico modo in cui posso vedere le cose migliorare in Iraq.


MJ
: L’accuratezza dei conteggi delle vittime civili continua a essere un punto controverso. Organizzazioni diverse danno cifre che vanno da 50.000 a 600.000 o più. Quali pensa che siano quelle accurate?


OSM
: Lei ha visto il film. Al Yarmuk, possono arrivare 50, 60 vittime al giorno, ed è solo un ospedale in una zona di Baghdad. Quindi io credo che il numero sia veramente alto, che superi le 600.000. Inoltre, molte persone vengono uccise e sepolte senza che la cosa sia registrata in alcune zone in cui non c’è controllo da parte del governo o non c’è accesso ai documenti ufficiali. Personalmente, l’estate scorsa ho perso mio padre. Tutti gli amici e i parenti che conosco hanno perso qualcuno, o conoscono qualcuno che è stato ucciso o che è scomparso. Quindi penso che il [numero delle] vittime sia veramente alto. Tuttavia, è molto difficile avere informazioni, specialmente dato che il nostro governo cerca di non fornirle — semplicemente non vogliono dire la verità, e stanno cercando di dare l’immagine sbagliata. Voglio dire, anche adesso, quando dicono che il numero delle vittime sta diminuendo, questo è perché o la gente è fuggita da Baghdad o dall’Iraq, o perché sta nascosta nelle proprie case. E inoltre, io davvero non vedo alcuna differenza se sono 200.000 o 600.000. Nessuno dovrebbe essere ucciso in questo modo. Non so perché la gente sembra solo volere numeri più alti in modo da poter dire che è una brutta situazione. Basta una sola persona.


MJ
: Al termine del film lei esprime la sua ammirazione per i medici che continuano a lavorare nell’ospedale. Pensa mai che dovrebbe essere ancora in Iraq, e lavorare come medico?


OSM
: Come medico sentivo di non poterlo più sopportare; non potevo vedere la gente morire senza poter far niente. Perciò ho fatto questo film. Per me, essere un medico significava essere debole, essere vulnerabile, essere solo. Come giornalista, ho l’opportunità di parlare con la gente,  e di farmi ascoltare dalla gente come qualcuno che conosce le cose dall’interno, come un testimone della situazione che c’è lì. Sono sicuro che esistono delle persone che possono fare qualcosa, che possono cambiare qualcosa.


MJ
: Pensa che se la situazione in Iraq è così brutta la colpa sia degli americani?


OSM
: Gli iracheni sono disperati; non possono far nulla. Quindi pensano veramente che l’aiuto debba venire dall’esterno, o da altri Paesi che hanno qualcosa a che vedere con questa questione particolare. Ma davvero questo non è il momento di dire di chi è la colpa. Andiamo avanti. Voglio dire, anche adesso — l’altro giorno il nostro Primo Ministro era in TV paragonando questi tempi a quelli di Saddam. Perché dobbiamo fare paragoni? Saddam non c’è più, e i suoi tempi sono finiti, quindi dovremmo fare meglio. Dovremmo vivere meglio di come vivevamo sotto Saddam, non peggio.


Casey Miner è stagista a Mother Jones.



 

(Traduzione di Ornella Sangiovanni)

Articolo originale

di Casey Miner
Mother Jones


Il sito del documentario:

Baghdad Hospital: Inside the Red Zone