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L’Italia Pop di Bianciardi

di Antonio D’Orrico - 05/02/2008

    
Prendendo spunto da L’antimeridiano 2, in cui è raccolta tutta la produzione giornalistica (1951-1971) di Luciano Bianciardi, Antonio D’Orrico ricorda la figura dello scrittore e giornalista, sottolineando l’acutezza del suo sguardo sulle trasformazioni dell’Italia negli anni ‘60. Secondo D’Orrico i suoi articoli costituiscono una vera e propria «cronaca in diretta dell’Italia e della Milano del boom». In particolare Bianciardi seppe anticipare due temi centrali della società e della cultura di massa: l’idea che nel futuro prossimo ciascuno avrebbe avuto il proprio quarto d’ora di celebrità e che la rappresentazione della mediocrità avrebbe costituito il segreto per avere successo in televisione.

Giovedì 16 luglio 1959, dal teatro della Fiera di Milano, Mike Bongiorno con voce rotta dall’emozione presentò l’ultima puntata di Lascia o raddoppia?, il programma che lo aveva lanciato e che aveva fatto degli italiani dei teledipendenti.
Luciano Bianciardi ne scrisse sull’“Avanti!” del 28 luglio: «Quella sera Mike Bongiorno parlò abbastanza a lungo di sé e affermò di aver conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili. Non c’è motivo per non credergli. Mike Bongiorno in questo non si distingueva per nulla dalle centinaia di concorrenti che gli son sfilati accanto... anche loro han conosciuto, prima del successo, giorni duri e difficili, anche loro hanno saputo, da buoni italiani degli anni cinquanta, aspettare il quarto d’ora di celebrità e di fortuna».
Quasi dieci anni prima che lo proclamasse Andy Warhol («In futuro, tutti saranno famosi per 15 minuti»), Bianciardi anticipò la teoria del «quarto d’ora di celebrità» che tocca a tutti nella società di massa.
In quell’articolo, Bianciardi spiega anche perché gli italiani stravedevano per Mike: «I nostri presentatori della televisione avevano successo, e lo hanno, in quanto riassumono ed esprimono certi difetti, certe tare nazionali. Mike Bongiorno ne riassumeva più di tutti, ed ecco perché lo possiamo stimare il più mediocre, quindi il più bravo».
Quel 28 luglio 1959 Bianciardi anticipava il concetto (è la mediocrità che fa il divo televisivo, nella fattispecie il presentatore di Lascia o raddoppia?) che avrebbe ispirato il citatissimo saggio di Umberto Eco Fenomenologia di Mike Bongiorno (che è del 1961, cioè due anni dopo Mike: l’elogio della mediocrità, l’articolo dell’“Avanti!”).
Possiamo dare finalmente a Bianciardi quello che è di Bianciardi [...], grazie a un libro gigantesco e folle, quasi duemila pagine, che si intitola L’antimeridiano (nel senso dei Meridiani, la prestigiosa collana di Mondadori riservata agli autori consacrati). Due anni fa era uscito un primo volume di romanzi, racconti e saggi, ora (sempre a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini) ne esce un secondo con tutta la produzione giornalistica, dai primissimi anni Cinquanta alla morte nel 1971.
Luciano Bianciardi si poteva finora archiviare con le 15 parole che non si negano alle celebrità di nicchia: scrittore tosco-milanese, autore di La vita agra (notevole), morto appena quarantanovenne per abuso di alcol. Il classico talento letterario dissipato nel giornalismo e nella grappa. Bianciardi batteva a macchina tutta la settimana box, boxini e rubriche per decine di testate [...]. Solo la domenica si riposava e scriveva i suoi romanzi. Raccolti nell’Antimeridiano 2, i suoi articoli non sembrano pezzi d’occasione, buttati giù un tanto al rigo, ma un’opera unica, la cronaca in diretta dell’Italia e della Milano del boom.
L’eroe di questa epopea è l’Italiano Medio. Eccolo in vacanza, una delle grandi conquiste sociali dell’epoca, assieme all’automobile e agli elettrodomestici (con la televisione al posto d’onore): «Qual è la sorte estiva dell’italiano medio, bene in regola col canone di abbonamento..., ligio alle norme repubblicane, e villeggiante con la famiglia su una qualche riviera della penisola? Ha passato la sua giornata con moglie e figli al mare, ha desiderato la donna d’altri, se ne è pentito, ha dovuto accontentarsi della donna sua, e si prepara da buon padre di famiglia incensurato alla sua legittima sera televisiva. Si versa un aperitivo, ascolta i rumori della cucina, dove la consorte prepara mozzarelle, pomodori e melanzane fritte. Si siede in poltrona e ordina al figlio disubbidiente di accendergli il televisore. Sono le otto e trenta, grazie all’ora legale c’è ancora luce, ma per fortuna comincia a fare un pochino di fresco. È l’ora del telegiornale». [...]
Bianciardi si era laureato alla Normale di Pisa con il filosofo Calogero. La mamma (maestra elementare, il padre era un cassiere di banca), lo aveva costretto a essere sempre il primo della classe. Lui lo fu ma sedendosi all’ultimo banco della società, vicino ai minatori dell’Amiata che gli scoppiarono sotto il naso per il grisù e che lui sognò di vendicare con un attentato nel suo romanzo più bello e più agro.
Solo il primo della classe poteva osservare, guardando la tv, che il modo di ballare delle gemelle Kessler (sogno erotico degli italiani di allora) ricordava il passo di marcia dei soldati della Wehrmacht. Solo il primo della classe poteva cogliere in Walter Chiari «il candore quasi musulmano del bigamo». Oppure intuire che una banale intervista televisiva a Gianni Rivera era in realtà un dialogo da teatro dell’assurdo, da Ionesco: «“Come le è parsa l’Inghilterra?” “Ho visto molto poco. Eravamo in ritiro”. “Sa che lei gioca benissimo?” “Bè, faccio del mio meglio”. “Dove andrà in vacanza?” “Non ho ancora deciso”. “Preferisce il mare o la montagna?” “Un po’ il mare, un po’ la montagna”. “Allora grazie, signor Rivera, e buongiorno”. “Speriamo”».
Montanelli, che di primi della classe, di stile di scrittura e di temperamenti anarchici se ne intendeva, gli offrì un posto d’oro al “Corriere”. Lui rifiutò. Niente elzeviri di Terza Pagina sul più grande quotidiano italiano ma boxini di costume sulle riviste per soli uomini dove recensiva tutto, dai juke-box ai flipper, dalle annunciatrici Rai [...] ai primi supermercati [...].
Dal suo ultimo banco comprese, prima di Warhol e di Eco, i meccanismi di fondo che regolano la società di massa. Scrisse a cottimo, in forma di rubrica giornalistica, il romanzo più divertente e intelligente dell’Italia di quegli anni (si trova sparso tra queste duemila pagine). Dicevano di lui (ma spesso se lo diceva da solo) che era un provinciale inguaribile (il suo culto per I Vitelloni di Fellini), un arrabbiato di professione, un rompiscatole a pagamento, un precursore della Milano da bere in senso letterale. Ma chi era veramente forse non si capirà mai, il suo mistero è chiuso in lui. Luciano Bianciardi era Luciano Bianciardi era Luciano Bianciardi...

Luciano Bianciardi, L’Antimeridiano, vol. 2, a cura di Luciana Bianciardi, Massimo Coppola e Alberto Piccinini, Isbn Edizioni 2008.