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I fondi sovrani

di Mauro Tozzato - 06/02/2008

 

 

 

Sul Corriere Economia del 04.02.2008 abbiamo potuto leggere un interessante articolo del noto economista, manager e consulente d’impresa Giulio Sapelli che tratta dei cosiddetti “fondi sovrani” ovverosia dei <<fondi d’investimento posseduti non da privati ma da stati sovrani>>. Sapelli scrive che <<se si guardano i numeri il loro ruolo sembra assai ridotto>> ma egli afferma, anche, che su <<tutti i titoli scambiati nel mondo (circa 165 trilioni di dollari USA), il valore di essi è del 2 per cento. Eppure tutti ne parlano come delle “nuove super potenze finanziarie”. E a ragione>>. Al di là delle statistiche vi sono vari motivi che giustificano questa affermazione:<<Il primo è relativo agli andamenti dei prezzi delle cosiddette commodities (1) , tra cui spiccano i minerali non ferrosi e il petrolio e, più recentemente, anche alcuni importanti beni alimentari. Chi li possiede accumula enormi ricchezze e i giacimenti di tali commodities sono oggi sempre più nelle mani degli stati>>. Particolarmente importante è la considerazione che segue subito dopo:<< Vent’anni or sono il 70 per cento degli asset (2) petroliferi, ossia i giacimenti, erano nelle mani delle grandi compagnie. Oggi più dell’85 per cento è posseduto da potenze statali, sparse in tutto il pianeta: dal Golfo Persico all’America Latina e non solo in Bolivia con Morales e in Venezuela con Chavez, ma anche in Brasile dove governa il moderato Lula.>> Il professore aggiunge poi nella lista anche altri paesi come la Norvegia, l’Alaska, Singapore, la Cina, la Libia e l’Algeria. Per quanto riguarda i paesi asiatici Sapelli mette in evidenza che <<dopo la crisi del biennio 1997-1998>> essi <<hanno iniziato ad ammassare enormi riserve in divise estere, dollari USA ed euro, principalmente, per proteggersi da nuovi choc >>. Invece di continuare ad acquistare << bond (3) dei paesi europei e del Tesoro nord-americano>> adesso questi paesi preferiscono utilizzare le riserve di denaro accumulate negli ultimi anni per investire <<andando a caccia di migliori rendimenti nel mondo intero>>. Le strategie e gli obiettivi possono poi risultare diversi nei vari casi : <<i norvegesi vogliono costruirsi solidi fondi pensioni pubblici; i cinesi e i sud coreani grazie a tali fondi vogliono comprare tecnologie e conoscenze che non possono produrre in casa propria, la Russia e l’Iran usano i fondi sovrani per controbilanciare la volatilità dei prezzi dell’energia>>. Se questo discorso ha un fondamento il primo aspetto che bisogna  considerare riguarda il cambiamento che sembra essersi prodotto relativamente al potere e alle quote di mercato che le imprese multinazionali riescono a controllare. I fondi sovrani sembrano svilupparsi, almeno in parte, in contrapposizione ad un capitale che ha sempre sfruttato le debolezze politiche (in senso lato) prima ancora che economiche di molti stati inclusi nelle sfere d’influenza delle grandi potenze e in particolare della superpotenza USA. D’altra parte, non è forse un caso, che l’espressione “impresa transnazionale” risulti sempre meno usata in un contesto in cui una analisi economica della cosiddetta globalizzazione che voglia mettere tra parentesi le strategie geopolitiche di conflitto tra stati è risultata del tutto impraticabile. Comunque Sapelli vuole mettere in risalto che i fondi sovrani costituiscono un problema almeno per quanto riguarda un loro particolare aspetto:<<L’unico reale problema è quello della loro governance(4): non hanno trasparenza, non comunicano ai mercati i loro bilanci con chiarezza, non esplicitano le loro strategie.>> Ma si potrebbe obiettare al noto professore: perché dovrebbero comportarsi diversamente se i “fondi sovrani” sono, come sembra così legati alle strategie degli stati in funzione dell’indebolimento di un sistema mondiale ancora fondamentalmente monocentrico ma che incomincia già a muovere i primi piccoli passi verso una nuova fase policentrica (come afferma da tempo La Grassa) ? Ed infatti  lo stesso Sapelli  deve riconoscere che <<il capitalismo moderno si sta formando anche nei paesi comunisti asiatici, nelle società tribali del Golfo, negli stati ierocratici come l’Iran, nella Russia modernizzatrice di Putin, erede dell’assolutismo beneficamente trasformatore. Essi vogliono aprirsi al mercato che spesso ideologicamente negano>>. E dulcis in fundo, per chi come noi segue da numerosi anni il lavoro teorico di La Grassa, arriviamo al riconoscimento che tutta quella litania che una canea di cosiddetti intellettuali (economisti, sociologi e filosofi) - di cui ricordo solo qualche nome (Ohmae, Hardt, Negri, Beck) - ha cantato per anni riguardo all’”estinzione”, alla “fine” degli Stati-Nazione era soltanto una invenzione, per non dire  menzogna, commissionata dai gruppi predominanti. Ammette, infatti, Sapelli:<<Ciò che fa notizia e induce a meditare è che dopo venti anni di peana al liberismo dispiegato, la globalizzazione si arricchisca di nuovi imprevisti protagonisti: le potenze statali, le potenze nazionali. Tutto il contrario del mercato (? n.d.r.). Con esse il capitalismo di mercato deve ora confrontarsi in una lotta che si intreccia con i conflitti per gli alimenti, per il ferro e l’acciaio, per il petrolio e per il gas, per l’acqua e ……per il potere.>>

(1)   <<Commodity (commodities al plurale) è un termine inglese entrato oramai nel gergo commerciale ed economico per la mancanza di un equivalente italiano, e deriva dal francese “commodité”, che in italiano si può tradurre, col significato di “ottenibile comodamente”, col termine “pratico”. Indica materie prime o altri beni assolutamente standardizzati, tali da potere essere prodotti ovunque con standard qualitativi equivalenti e commercializzati senza che sia necessario l’apporto di ulteriore valore aggiunto. Una commodity deve essere facilmente stoccabile e conservabile nel tempo, cioè non perdere le caratteristiche originarie>>.

(2)   <<attività>>

(3)   <<obbligazioni (in questo caso titoli di Stato)

(4)   <<All'interno di un'azienda (corporation) si definisce Corporate Governance l'insieme di regole, di ogni livello, (leggi, regolamenti etc..) che disciplinano la gestione dell'azienda stessa.>>