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Crisi finanziaria?

di G. Duchini - 06/02/2008

 

 

Dopo che Hilferding pose al centro della sua indagine il Capitale Finanziario (1910), con l’intreccio tra Capitale Bancario e Capitale Industriale, si avviò un lungo dibattito sulle ‘crisi’ dello sviluppo capitalistico di tutto il Novecento (già in auge, nel secolo precedente, in seguito alla grande depressione economica del 1873). Nella letteratura economica dell’ultimo secolo, non furono molti gli studiosi che si cimentarono nell’ardua impresa, onde risalire alle cause primarie delle crisi; ma per loro fu più facile proporre soluzioni di uscita non sempre pienamente efficaci (si pensi agli interventi di Roosvelt sulla Spesa Pubblica per far fronte alla crisi del ’29 ).

A quelle soluzioni si accompagnarono  interpretazioni varie che sedimentarono, lungo tutto il secolo, un ginepraio ideologico di proposte su come uscire dalla crisi: da quelle  marxiste, a quelle neo-post-keynesiane, fino a quelle neoliberiste della ‘mano invisibile’ di smithiana memoria, tutte riconducibili al simulacro della maggiore Spesa Pubblica ( per far ripartire lo Sviluppo economico attraverso l’innalzamento del livello della domanda dei consumi).

    Il perché in determinate fasi il capitale Finanziario estende in modo determinante la sua influenza, sino a contribuire a determinare la fine di una intera fase monocentrica dello sviluppo economico (non certo del capitalismo), rimane  sospeso: si tratterebbe di andare oltre, su un terreno di ricerca completamente nuovo, uno sforzo che non rientra nell’ orizzonte teoretico dell’Economista ufficiale. Sulla funzione del Capitale Finanziario, Gianfranco La Grassa, ha svolto un’ opera meritoria, suscettibile di ulteriori approfondimenti, che decostruisce il vecchio scenario (ingolfato dalle sedimentazioni marxiste sulla finanza parassitaria) ed apre un nuovo campo d’indagine e di ricerca teorica sul capitalismo. Occorre, in altre parole,  “riallocare” la sfera finanziaria e darle il suo giusto posto, poiché “non esiste alcuna oggettiva e deterministica deriva parassitaria della finanza; essa non è necessariamente padrona della situazione in ogni congiuntura; il suo rapporto con i gruppi di agenti strategici dominanti (anch’essi interconflittuali) della sfera politica e ideologica-culturale si caratterizzano differentemente in contingenze specifiche e diverse. …….una questione da vedere caso per caso, che si risolve a seconda di determinate congiunture o determinate funzioni cui tale complesso assolve a seconda dell’articolazione geopolitica dei diversi sistemi-paesi sul piano mondiale.”

    La pubblicistica politica corrente tende a spiegare la crisi economica-finanziaria con tutto l’armamentario statistico e probabilistico che è in grado di dispiegare, una specie di termometro che misura  la temperatura della febbre finanziaria, lasciando sul campo soltanto interpretazioni riduttive, totalmente aliene a qualsiasi presupposto teorico di ricerca circa le cause da cui  possono derivare interpretazioni più generali; da questa  premessa si può partire cercando però di discernere il “grano dal loglio” della ricerca empirica, nell’unica accezione di collocazione possibile: entro le strategie finanziarie derivate dai rapporti di dominanza instaurate dalla predominanza Usa.

      L’ipertrofia finanziaria Usa ha invaso tutte le economie, contagiandole con i prodotti finanziari (titoli spazzatura), in misura maggiore o minore rispetto alle resistenze che il (pre)dominio (Usa) ha incontrato nei singoli stati mentre un discorso a parte meriterebbe la Russia non toccata da questa crisi. L’Europa ha rappresentato l’area dove maggiormente si è concentrata l’attenzione Usa in particolare sui suoi sistemi finanziari interni entro “standard internazionali” da tenere sotto controllo,  riguardo alle politiche monetarie e fiscali, ai sistemi bancari, alla struttura proprietaria delle imprese, ai sistemi contabili…Il controllo degli standard dei vari paesi è stato affidato dal dopoguerra ad oggi, al Fmi (Fondo Monetario Internazionale) coadiuvato dagli organismi internazionali che pubblicano i vari indici ” Moody, Doww Jones,… per le verifiche dei codici di comportamento dei singoli paesi. Se i paesi facenti parte del Fmi non ottemperano alle regole predisposte, al fine di prevenire le crisi, si consiglia (s’impone!) il risanamento, un rientro entro i vincoli delle misure di compatibilità alle strategie preventive del Fmi. Per rendere tali azioni più efficaci, si attivano le truppe coloniali della finanza rappresentate dalle Banche d’Affari private Usa, che accompagnano gli interventi di indirizzo strategico del Fmi concedendo al “paese in crisi” linee di credito,  che  hanno agito, nel tempo, sempre più in profondità,  direttamente nei gangli vitali delle economie poste sotto tutela inserendo, talvolta, i propri consulenti negli organismi chiave di controllo del sistema finanziario e monetario del paese sotto osservazione (si pensi a questo proposito alla nomina di Draghi come governatore della Banca d’Italia, dopo essere stato Vice Presidente della Goldman Sachs (banca d’affari Usa).

    Per consolidare gli indirizzi strategici Usa e rendere permanente e più incisivo il dominio  sul paese in crisi (di autonomia) nella componente finanziaria e come parte di una strategia complessiva, si è trasformata la forma del Capitale Finanziario passando  dal controllo diretto sulle imprese a quello indiretto per il tramite della liquidità (si pensi a tutti i prodotti finanziari in circolazione posseduti dalle banche e dalle imprese) e come conseguenza di questo, nel cambio di natura del credito(prestito) bancario; su questo aspetto, in modo del tutto grossolano, una prima conclusione si può porre: la crescita esponenziale della liquidità internazionale (in sostituzione alla moneta) è posta in relazione alle capacità di indebitamento dei paesi, attraverso gli strumenti essenziali delle politiche fiscali, salariali, riduzione delle politiche sociali, per garantire a tutto il sistema, i serbatoi  nazionali da cui attingere liquidità. Il lavoro “sporco” di trasferimento di liquidità (nazionale), avviene nei confronti di un potere locale, sempre meno autonomo rispetto ad un potere di interdizione Usa, nella concessione di un credito (finanziario) diventato nel tempo un prodotto finanziario; in pratica si concedono, cioè si vendono, debiti (vedi subprime) che il paese Centrale non è più in grado di recuperare, trasformando la funzione della moneta, da intermediaria degli scambi, in attività finanziaria;  la simil-moneta (finanziaria) in sostituzione di quella buona (la moneta cattiva caccia quella buona).

    Per certi aspetti si vive un grande paradosso economico: il debito di ciascun paese mantiene con il proprio deficit l’intero apparato finanziario internazionale Usa, un paradosso che spinto all’estremo porta alle conclusioni che le capacità di indebitamento dei singoli paesi diventano speculari alla crescita della liquidità internazionale, come conseguenza di un sistema che alimenta se stesso. Ma questo complesso meccanismo economico finanziario a dominio Usa si è inceppato, non funziona più; si dice: “ la crisi finanziaria morde l’economia reale”e il Fmi taglia tutte le recenti analisi sulle  crescite in tutte le aree di sviluppo, a cominciare da America e Europa in testa; nessuno sarà esente dal rallentamento, la crescita globale dell’economia mondiale sarà  nel 2008 del 4,1%  invece che del 4,4%; negli Usa la crescita sarà all’ 1,5% (per i suoi standard è una quasi recessione) per l’Italia l’1% o giù di lì. Ma l’impressione che si ha è che si dovranno rivedere ulteriormente queste previsioni, quando lo stesso Fmi afferma che le preoccupazioni sul credito si allargano oltre il settore dei subprime. I governanti europei sembrano non avvertire il peggioramento delle prospettive di crescita quando si dichiara che l’Europa “ha buoni fondamentali per resistere alla bufera” o quando Draghi asserisce che le banche italiane non sono minimamente toccate dalla crisi dei subprime. Prodi leader dimissionario, in un eccesso di ottimismo  che rasenta la disperazione aggiunge che “il nostro sistema bancario è solido, avendo fatto un percorso di riorganizzazione in cui la politica non è intervenuta in modo indebito”.

     L’annuncio della crisi, da parte del grande sistema plutocratico del Fmi sotto ferreo controllo Usa che ha guidato il sistema finanziario di tutto il mondo occidentale prima e dopo la caduta del muro di Berlino, rappresenta un segnale paradigmatico dell’inizio di una nuova fase internazionale, un’avvisaglia sulla rottura di vecchi equilibri con l’ingresso delle nuove economie emergenti sulla scena mondiale. Un quesito da porre: la crisi di liquidità è rappresentata soltanto da una crisi del sistema finanziario o è una crisi più generale del dominio (monocentrico) Usa dovuto alla comparsa di paesi  competitivi in aree geografiche che si smarcano dalle pretese imperiali?