Videogiochi violenti: c’è un piano genocidi dietro la loro diffusione?
di Liliana Gorini* - 06/02/2008
Militari statunitensi che si allenano ad uccidere |
Alcuni dei numerosi giochi "pedagogici" in commercio... |
Che vi sia una correlazione diretta tra le stragi nelle scuole e nelle università, da Colombine al Politecnico in Virginia, e i videogiochi violenti che insegnano ad uccidere a sangue freddo, è stato dimostrato più volte, e non soltanto negli Stati Uniti (si pensi alla strage compiuta l’anno scorso da uno studente nel liceo finlandese di Jokela, a quella nel liceo Gutenberg di Erfurt nel 2002, ma anche all’omicidio di Meredith Kercher a Perugia, in cui la violenza era annunciata su MySpace e Facebook). In alcuni casi, come quello di due diciottenni di Detroit, che hanno ucciso un giovane che neanche conoscevano, bruciandone i resti, per imitare “Manhunt2” (caccia all’uomo), uno dei tanti videogiochi violenti, la correlazione è così diretta che molti hanno pensato di trascinare in tribunale non soltanto gli esecutori materiali degli omicidi, ma anche
C’è da chiedersi: chi promuove i videogiochi “killer” ed a quale scopo? Inizialmente furono sviluppati dal Pentagono come “war games”, giochi di guerra, per insegnare a superare la soglia di inibizione naturale ad uccidere un altro essere umano, soprattutto nell’ambito della privatizzazione degli eserciti promossa dal vicepresidente americano Cheney e dalla sua “Revolution in Military Affairs”. Dopo il 2000, e con l’insorgere della crisi finanziaria dovuta alla bolla speculativa, i videogiochi violenti divennero un gigantesco business per
Gli interessi finanziari che stanno dietro alla Silicon Valley o alla Microsoft ritengono, riducendo la popolazione mondiale, di potersi salvare dall’esplosione della bolla speculativa a cui stiamo assistendo da alcuni mesi, con la crisi del mutui subprime, e degli hedge funds che li hanno promossi. “Mors tua vita mea”, sembra essere il loro motto, che si rifà alla concezione malthusiana secondo cui sopravvivranno solo i più forti. E tra questi non ci sono certo i giovani. Già in crisi perché sanno di non avere un futuro sicuro usciti dalla scuola o dall’università, bombardati ogni giorno da immagini violente alla TV, vittime della controcultura del “sesso, droga e rock and roll”, creata anch’essa in modo sintetico negli anni Sessanta da Timothy Leary in California e dagli altri guru della droga libera, oggi sono facile preda di siti e videogiochi che inneggiano all’odio razziale, al satanismo, all’omicidio ed al suicidio.
Ecco perché il movimento giovanile che fa capo a LaRouche (LYM) sta diffondendo sia negli Stati Uniti che in Europa, e soprattutto nelle università, milioni di copie di un opuscolo dal titolo significativo “C’è il diavolo nel tuo portatile?” in cui denuncia il malsano progetto che si nasconde dietro giochi apparentemente innocui. Le denunce del LYM sono state riprese da numerose associazioni, tra cui quella degli psicoterapeuti tedeschi (GwG). Il giorno di Santo Stefano, l’avvocato Jack Thompson ha consegnato alla stampa un comunicato dal titolo “Un attivista dichiara guerra alla Dannata Alleanza tra il Pentagono e l’industria dei videogiochi”. Il comunicato punta il dito sulla “collaborazione” tra i produttori di videogiochi e alcuni sinistri soggetti del Pentagono, che è meglio analizzata nell'opuscolo prodotto dal LYM. Nel testo del comunicato si legge, tra l’altro: “Una delle conseguenze di questa collaborazione è il numero crescente di assalti omicidi nello stile tipico di un commando, condotti da giovani avvezzi ai videogiochi, come dimostra il recente massacro avvenuto in un supermercato di Omaha, nel Nebraska. Stando al Washington Post, lo studente Cho, dell’Istituto Tecnico della Virginia, era ossessionato dal videogioco militare CounterStrike. I ricercatori hanno dimostrato l’esistenza di effetti a lungo termine dell’immersione nella violenza interattiva. L’autore del più grave massacro scolastico nella storia europea s’era allenato con lo stesso simulatore di uccisioni in campo militare.” Thompson prosegue dicendo: “Ciò che diventa sempre più evidente è che la maledetta alleanza tra l’industria dei videogiochi e il Pentagono sta insegnando ad un’intera generazione di bambini che la guerra è affascinante, simpatica, desiderabile e senza conseguenze.” “Credeteci o no, è formalmente attiva una collaborazione tra il Pentagono e l’industria dei videogiochi, presso l’Istituto per le Tecnologie Creative che ha sede nel campus dell’Università della California Meridionale.” Thompson ha vinto numerosi processi nei tribunali statali sulla vendita di videogiochi violenti, contro l’Associazione per il Software d’Intrattenimento (Entertainment Software Association) che rappresenta l’industria dei videogiochi. Successivamente, in appello, il tribunale federale ha ribaltato i verdetti.
Teniamo presente il fatto che questa cultura della violenza non inizia nei licei e nelle università, ma fin dall’infanzia. Se un tempo i bambini imparavano dai giochi, ad esempio i famosi mattoncini della Lego, a costruire case, ponti e navi, oggi la stessa ditta produce solo mostri distruttivi e guerrieri spaziali tratti dai cartoni animati e dai videogiochi.
Tratto dalla dispensa di Marcello Pamio: "Videogiochi violenti: fabbrica di piccoli mostri"