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Il repubblicano Mussolini monarchico per calcolo

di Sergio Romano - 07/02/2008



In un articolo pubblicato sul «Popolo d'Italia» nel gennaio del 1915 Mussolini scriveva: «O la guerra o la corona!...Non sarà impossibile e nemmeno troppo difficile lo scoppio di un moto rivoluzionario se la Monarchia "non" farà la guerra». Sicuramente questa frase va collocata nel giusto contesto storico, e cioè nel momento di massima sollecitazione all'entrata nel conflitto per la liberazione delle terre cosiddette irredente, ma mi permetto di chiederle: perché questa prospettiva, o meglio intenzione, rimase tale anche nei decenni successivi? Come mai, una volta diventato Duce e consolidato il potere, Mussolini, nonostante l'avesse quindi già messa in dubbio, «si tenne la Corona»? Fu il timore di una reazione da parte dell'esercito, legato dal giuramento al re, che permise la sopravvivenza della monarchia durante il ventennio, oppure non ve ne fu l'occasione e il pretesto?
Mario Taliani
mtali@tin.it
Caro Taliani,
La repubblica fu un obiettivo del movimento fascista sin dalla costituzione dei Fasci in Piazza San Sepolcro nel marzo del 1919. Ma il tema cominciò a diventare meno insistente e pressante allorché Mussolini si accorse che la conquista del potere esigeva un consenso più largo e una base sociale più vasta. L'occasione venne quando la deriva massimalista del partito socialista, l'occupazione delle fabbriche nel 1920 e la nascita del partito comunista a Livorno nel 1921, gli permisero di presentarsi al Paese come il più sicuro baluardo contro il «pericolo bolscevico» e il più affidabile restauratore dell'ordine. Comincia allora la fase in cui il partito fascista può contare sulla simpatia e sul sostegno finanziario dei proprietari agricoli della Valle Padana (gli «agrari»), di alcuni industriali, di una parte considerevole delle borghesia e dei vertici delle forze armate. Ma non era possibile coltivare questo più grande collegio elettorale senza rinunciare alla pregiudiziale repubblicana. Se Mussolini avesse continuato ad agitare il drappo rosso della repubblica, gli agrari, l'esercito e la borghesia lo avrebbero abbandonato per cercare altri difensori.
L'esigenza divenne ancora più evidente nell'estate del 1922 quando Mussolini, dopo la crisi delle sinistre, capì che il suo ruolo di restauratore dell'ordine si sarebbe rapidamente consunto e che egli avrebbe conquistato il potere soltanto nell'ambito di una coalizione «centrista» costituta da liberali, popolari, nazionalisti e indipendenti. Parlare di repubblica, per un uomo politico che desiderava formare il governo con il benestare del re, sarebbe stato suicida. Da quel momento Mussolini mise la repubblica «nel cassetto» e, pur instaurando un regime autoritario, non dimenticò che la monarchia era ancora in grado di esercitare una considerevole influenza in alcuni ambienti importanti della società e della pubblica amministrazione, dalle forze armate alla diplomazia.
La situazione accennò a cambiare dopo il successo della guerra d'Etiopia, la proclamazione dell'impero e la grande ondata di consenso che salì in quei mesi verso Mussolini dal fondo della società italiana.
Nella sua grande biografia, Renzo De Felice ha dedicato molte pagine alla questione dei «Primi marescialli dell'Impero », le due cariche che il capo del governo istituì nei mesi seguenti. Attribuendole a se stesso e al re, Mussolini lasciò capire che al vertice dello Stato vi era ormai una diarchia. Quanto tempo sarebbe passato prima che egli desse alla monarchia, come gli chiedeva insistentemente l'ala repubblicana del fascismo, il colpo di grazia? Il re accolse di malumore una decisione che lo collocava di fatto sullo stesso piano del capo del governo. Ma temette la fine della monarchia e ingoiò il rospo. Fu questa, sia detto per inciso, una delle ragioni per cui firmò le leggi razziali del 1938 e sottoscrisse la dichiarazione di guerra del 1940. Oggi sappiamo che riuscì soltanto a ritardare di qualche anno il momento in cui i Savoia avrebbero perso il trono.