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L'allarme mondiale delle mangrovie

di Paola Desai - 07/02/2008

 

L'allarme viene dalla Fao: le foreste di mangrovie vanno scomparendo a una velocità impressionante. Le mangrovie sono alberi sempreverdi e particolarmente resistenti al sale; crescono con le radici «a mollo» nell'acqua salina lungo le coste dei mari, lagune, fiumi e delta di 124 paesi nelle regioni tropicali e subtropicali del pianeta, dove formano vere e proprie foreste che hanno diverse preziose funzioni: proteggono le coste dall'erosione delle onde marine, dai cicloni o dai venti; costituiscono un habitat ideale per uccelli, serpenti, coccodrilli, crostacei e per innumerevoli specie di pesci che vi trovano un vivaio naturale, o per uccelli migratori che vi fanno sosta; sono un ecosistema che fornisce alle popolazioni umane cibo, miele, foraggio, e garantisce un ambiente pescoso. Proteggono inoltre le barriere coralline dal deposito di sedimenti che proviene dall'erosione delle coste.
A patto, certo, di non distruggerle. Ed è questo il punto: secondo i dati dell'organizzazione dell'Onu per l'agricoltura e l'alimentazione, il 20% delle foreste di mangrovie è andato distrutto in un quarto di secolo. Per la precisione, dal 1980 il mondo ha perso circa 3,6 milioni di ettari di mangrovie, passando da un totale di 18,8 milioni di ettari a 15,2 milioni di ettari nel 2005.
La Fao ha raccolto questi dati in un dossier diffuso in occasione della «giornata mondiale delle zone umide», che cadeva il 2 febbraio («Le mangrovie nel mondo, 1980-2005»). Fa notare la perdita di mangrovie è significativamente maggiore alla perdita di qualunque altro tipo di foresta - anche se poi attenua il pessimismo facendo notare che il tasso di distruzione è rallentato nel corso del quarto di secolo osservato: negli anni '80 scomparivano circa 187 mila ettari all'anno, mentre tra il 2000 e il 2005 la distruzione era «scesa» a 102 mila ettari annui. L'organizzazione Onu per l'agricoltura e l'alimentazione vede in questo un segno positivo: sempre più paesi hanno vietato la trasformazione dei siti di mangrovie in zone agricole (o allevamenti di crostacei).
Resta il fatto che, sebbene un po' rallentata, la distruzione delle mangrovie continua. E le principali cause elencate dalla Fao sono la pressione demografica (ovvero la spinta a «colonizzare» terre), la spinta a trasformare le foreste di mangrovie in siti per l'allevamento di gamberi e pesce, l'agricoltura, poi le infrastrutture abitative eper il turismo - oltre, ovviamente, all'inquinamento di varia natura e ai disastri naturali. La regione che ha perso più mangrovie in questo quarto di secolo è l'Asia (oltre 1,9 milioni di ettari distrutti, quasi la metà del totale).
A livello di singoli paesi, il dubbio record va a Indonesia, Messico, Pakistan, Papua, Nuova Guinea e Panama: insieme, questi cinque hanno totalizzato circa un milione di ettari di foreste di mangrovie distrutte, un'area pari all'isola di Giamaica. Negli anni '90 tuttavia il Pakistan e Panama sono riusciti a rallentare il ritmo della distruzione - mentre al contrario il Vietnam, la Malaysia e il Madagascar hanno accelerato, entrando tra i «top 5» a partire dal 2000. Se si va a guardare, il ritmo della distruzione dipende in gran parte dall'andamento delle politiche economiche, la spinta a colonizzare terre e coste.
Al contrario, il Bangladesh è un paese che ha aumentato la zona di mangrovie negli ultimi anni, cioè è riuscito a invertire la tendenza: è in Bangladesh una delle più grandi zone costiere protette al mondo, la Sundarbans Reserved Forest che copre una grossa fetta del delta del Gange. Anche l'Ecuador ha saputo ricostruire alcuni siti di mangrovie, decidendo di dismettere zone di stagni e allevamenti di gamberi (o di saline) per ripristinare gli alberi. Espandere le zone protette è una delle vie possibili, per salvare le mangrovie: e servirà a salvare un ecosistema, e anche una fonte di sopravvivenza per le popolazioni umane che abitano le zone costiere.