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I “professionisti della Memoria” in una lucida analisi di Sergio Romano

di redazionale - 08/02/2008

 



Trovo riportato dalla solita «Informazione Corretta» – su cui si rinvia al nostro Monitoraggio – un intervento di Sergio Romano in risposta a due lettori del “Corriere della Sera”. Naturalmente il commento dei «Corretti Informatori» è contrario ed ostile a Sergio Romano ed invece favorevole a Furio Colombo, che se non ho inteso male, fu l'ideatore di questo evento, del resto perfettamente compatibile con la natura del personaggio, comunista, già direttore dell’Unità. L’Italia è purtroppo il paese dei dogmatismi e dell'intolleranza, che quando non è cattolico, diventa comunista o si colora in modo variopinto ma sembra al servizio di un Dogma, di una Causa, di Una Verità. Il solo ad essere contrario pare sia stato Lucio Colletti, deputato di Forza Italia. Riporto integralmente il testo di Sergio Romano:
Quando venne in discussione alle Camere la legge che ha istituito anche in Italia la «giornata della memoria», il solo parlamentare contrario al provvedimento, se non ricordo male, fu Lucio Colletti, studioso del marxismo, filosofo della politica e comunista per alcuni anni, ma fondamentalmente liberale e infine deputato di Forza Italia per due legislature sino alla morte. Al suo posto, anch'io avrei votato contro quella legge. Temevo che il genocidio ebraico avrebbe occupato gran parte dello spazio celebrativo aperto da quella data e scatenato una sorta di corsa alla memoria da parte di tutti coloro che si sarebbero sentiti esclusi o insufficientemente ricordati. Temevo che la ricorrenza avrebbe creato i «professionisti della memoria», vale a dire una categoria di studiosi che si dedicano prevalentemente a questo esercizio. E temevo gli eccessi di retorica e di conformismo che questo esercizio avrebbe provocato. In modo diverso e con diverse motivazioni le vostre lettere mi sembrano confermare le mie previsioni. Esistono ormai, non soltanto in Italia, i professionisti della memoria antifascista, della memoria anticomunista, della memoria anticolonialista e della memoria antirazzista. Ciascuno di essi ricorda le proprie vittime o quelle provocate dall'ideologia nemica, ma tende inevitabilmente a dimenticare o trascurare le vittime che non portano acqua al mulino della sua specializzazione. Ho l'impressione che queste giornate della memoria abbiano avuto due conseguenze negative. In primo luogo stiamo perdendo di vista le principali caratteristiche della storia del Novecento. Dimentichiamo che l'Europa e l'Asia, dopo la Grande guerra e la rivoluzione bolscevica, furono teatro di un gran numero di guerre civili fra il comunismo e il nazionalismo esasperato dei movimenti radicali, più o meno violenti, che vengono raggruppati, un po' semplicisticamente, nella categoria dei «fascismi». I due contendenti si comportarono spesso alla stesso modo. Non appena riuscì a prevalere e a instaurare il proprio regime, ciascuno di essi decise che la vittoria sarebbe stata completa e sicura soltanto se fosse riuscito a liquidare o neutralizzare tutti i suoi nemici, veri o presunti, reali o potenziali. Così fece Lenin con l'ondata di terrore che si abbatté sulla Russia sovietica nei primi anni del regime. Così fece Stalin quando annientò ogni potenziale voce discordante all'interno del regime. Così fece Mussolini, anche se in forma molto meno radicale e cruenta, dopo il 1926. Così fece Hitler contro i socialdemocratici, i comunisti, gli ebrei, gli zingari e i dissidenti religiosi. Così fece Franco quando continuò a perseguitare e a eliminare la componente repubblicana della società spagnola. Così fecero Mao in Cina, Ho Chi-minh in Vietnam, Suharto in Indonesia, Tito in Jugoslavia e la dirigenza dei partiti comunisti nei Paesi satelliti dell'Urss dopo la Seconda guerra mondiale. Quanto all'espulsione degli ebrei russi verso la Siberia, programmata da Stalin nel suo ultimo anno di vita, è probabile che il dittatore sovietico li considerasse infidi e, soprattutto dopo la nascita di Israele, la possibile «quinta colonna» di uno Stato straniero. La tesi secondo cui la sua morte sarebbe stata provocata da un complotto filoebraico, caro Di Nisio, non è documentata ed è frutto, probabilmente, di una larvata forma di giudeofobia. In secondo luogo abbiamo permesso che la storiografia venisse degradata a strumento di lotta politica e che gli eventi del passato divenissero munizioni per le battaglie di oggi. Gli storici dovrebbero essere i primi a respingere questo uso partigiano e fazioso della loro disciplina.
Per fortuna non più l'età per subire nelle scuole l’inflizione di massicce dosi di retorica ed ho pena per le scolaresche che trovano mortificata la loro intelligenza critica. Un’educazione sbagliata porterà fatalmente a spingere i migliori studenti alla conflittualità ed all'opposizione verso le istituzioni educative, che diventano in pratica diseducative.

Elenco di “Professionisti della Memoria”
tratto dall’Archivio di «Informazione Corretta»

1. Furio Colombo, l’uomo del “finto candore”. – È buona regola dialettica ritorcere gli stessi argomenti di chi li usa contro suoi contraddittori, non potendosi poi averne a male chi si ritrova al mittente i confetti regalati ad altri. Nella risposta a Sergio Romano parla di un “finto candore” negli autori delle due lettere cui l'ambasciatore risponde. L’espressione è in sé un giudizio morale, che di per sé non conduce al tribunale. Staremmo messi male se per ogni cosa si dovesse sporgere querela. Nessuno potrebbe dire niente a nessuno e non sarebbe possibile l'esercizio della critica, cosa invece importantissima. Chiaramente non esiste uno strumento, una specie di termometro per misurare il candore della gente. Esistono detersivi che assicurano il bianco che più bianco non si può. Ed ecco che il “finto candore” è l'espressione che meglio mi calza se dovessi dare un giudizio su Furio Colombo, la cui immagine intellettuale e morale, non avendo mai fatto particolari studi sul parlamentare ex-comunista, è per me quella che ricavo dalle sue frequenti apparizioni televisive, di cui l’ultima proprio ieri sera dove quasi quasi aggrediva un invitato che nella trasmissione di Santoro commentava lo spettacolo della mortadella e dell’osteria fornita dal Senato, dove il nostro Colombo, bianco come un Colombo, ha fissa dimora. Il bianco Colombo quasi saltando addosso all'incauto osservava che lo spettacolo era in effetti indecente e tale da delegittimare l’istituzione. Ma diamine, mica son tutti così! Lui il cianco e candido Colombo è di altra pasta, quasi che lui non mangiasse nello stesso piatto su cui sputava candidamente. Eccolo il personaggio al quale si dive la legge sulla giornata della memoria, fonte di un sicuro terrorismo di Stato, di cui manco a farlo apposta il candido Colombo ha dato piccola, ma significativamente rinnovata prova proprio ieri sera nel salotto televisivo di Anno Zero. Ma tanto bianco candore merita un commento testuale al detersivo. Ecco l'intero testo di Furio Colombo, ripreso dall’Archivo di «Informazione Corretta»:
Due lettere inviate a Sergio Romano al Corriere della Sera, e la risposta netta (contro il «Giorno della memoria» dedicato alla Shoah)
[caro bianco Colombo, esser “contro” si può? O vi è il rischio in questo Paese di finir dentro anche in nome e per conto della “Memoria”? Questa è la mia principale preoccupazione come cittadino. Il resto sono “frescacce” che ognuno giudica come meglio crede, a seconda della sua cultura e del suo spirito critico, cosa sempre più rara in un paese su cui volano tante candide colombe]
dell’ambasciatore-scrittore ci aiutano a far luce su equivoci, errori di informazione, errori di percezione, e un fondo di malumore per tutta questa attenzione dedicata agli ebrei. Il fatto è che anche fascisti e tedeschi avevano dedicato molta attenzione a questi cittadini del nostro e di tutti gli altri paesi europei, e a molti sembra inevitabile (cerco di dire con mitezza) ritornare sull’argomento.
seguMa andiamo con ordine. Le due lettere, scelte probabilmente fra le tante che saranno state scritte a Sergio Romano nell’occasione del 27 gennaio, toccano entrambe il tema sollevato alla Camera, in lunghe discussioni orientate a un perenne rinvio. Perché solo gli ebrei e le altre vittime (soldati, politici, omosessuali, zingari) dell’universo concentrazionario fascista nazista e non le altre vittime di Stalin, della Cina, dell’orrore comunista? È un argomento già molto usato in passato e ha avuto, con la pazienza e l’attenzione che merita, mille volte risposta. E non risposta di indifferenza a quei gravi delitti ma una obiezione precisa e incontrovertibile, nel paese di Nicola Pende (il manifesto degli scienziati italiani sulla razza, che dichiara estraneità, inferiorità e pericolo degli ebrei) e di Giorgio Almirante (autore ed organizzatore della rivista La difesa della razza, forse la più crudele e diffamatoria in quegli anni di dilagante antisemitismo europeo).
Le due lettere a Sergio Romano, che appaiono, con evidenza scritte da persone non giovani (dunque con più probabili ricordi personali)e dotate solo di argomenti di destra (basta con i delitti fascisti, occupiamoci una buona volta di quelli comunisti), sono travestite di finto candore. Chiedono una risposta che essi stessi offrono: ma come? Con così tanti delitti di Stalin e Tito, c’è ancora chi riempie la testa alla gente con le leggi razziali di Hitler e Mussolini? «Le leggi razziali italiane? Sono state poca cosa», aveva detto a suo tempo Vittorio Emanuele Savoia, quando si dubitava della sua conoscenza della storia e non ancora della sua tempra morale. Nel rispondere alle due lettere, Sergio Romano non sceglie l’indecoroso percorso Savoia. Offre una rapida e corretta ricostruzione di eventi (un elenco di crimini in Europa e poi fino a Mao, a Ho Chi Min, e stupisce che non abbia incluso i Khmer Rossi della Cambogia). Ma raggiunge la stessa conclusione. In tre punti.
Primo, al Parlamento italiano Sergio Romano dichiara che avrebbe votato contro la legge che istituisce il «Giorno della memoria» dedicato alla Shoah perché nel mondo è accaduto ben altro.
Secondo, indica come cattivi maestri, con il dovuto disprezzo, «i professionisti della memoria antifascista». Posso permettermi di credere che si riferisse a me come estensore e prima firma del testo di quella legge. E posso dire che in quel gruppetto, fra coloro che non dimenticano Via Rasella, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, la strage delle famiglie ebree di Stresa, la razzia del 16 ottobre a Roma, sotto le finestre del Vaticano, i sette Fratelli Cervi (la lista sarebbe immensa perché un professionista della memoria antifascista ricorda tutto, specialmente se in quel tempo ha vissuto), mi trovo in buona compagnia. La sola che desidero.
Terzo, Sergio Romano sceglie di ricordare che al momento del voto alla Camera «Lucio Colletti ha votato contro». Aggiunge: «Anch’io avrei votato contro», presumibilmente per non essere - Dio ci scampi - scambiato per un professionista della «memoria antifascista» che, nella sua narrazione, appare un disturbo petulante nella buona vita italiana.
L’opinione è sua. Brutta ma rispettabile. Il ricordo è sbagliato. Colletti (che voleva una mozione, non una legge) non ha votato contro. Si è astenuto. L’ astensione, secondo il regolamento della Camera, non impedisce di dichiarare la legge, come risulta dagli atti, votata all’unanimità. La legge che istituisce «Il giorno della memoria» in Italia è stata infatti votata all’unanimità perché tutti i miei colleghi di allora, da sinistra a destra hanno accolto i due argomenti che sono stati proposti nella perorazione (la ricordo come una supplica) finale. È stato detto: gli orrori del mondo sono tanti e spaventosi, ma la Shoah, oltre a essere un crimine unico, è un delitto italiano. Nulla di ciò che è accaduto poteva accadere senza le leggi razziali italiane. E infatti nella Bulgaria fascista i tedeschi, neppure nell’impeto di violenza finale del 1943-45 hanno potuto arrestare un solo cittadino ebreo di quel paese perché il leader fascista bulgaro Dimitar Peshev aveva detto «No, mai in questo paese».
Ma ho potuto ricordare un altro fatto. In quell’aula di Montecitorio, da quegli stessi posti in cui stavamo seduti noi, un altro parlamento italiano aveva votato all’unanimità le leggi di Mussolini. Ho chiesto, come un piccolo segno che non avrebbe cancellato nulla ma sarebbe stato un simbolo per i più giovani, di votare anche noi all’unanimità. Così è accaduto. Un cittadino italiano e soprattutto uno storico, dovrebbe trarre un motivo d’orgoglio da questo piccolo evento. Sergio Romano, che pure è uno storico stimato e rispettato, sceglie invece questa frase: «Abbiamo permesso che la storiografia venisse degradata a strumento di lotta politica».
Lotta politica ricordare il delitto di persecuzione dei cittadini italiani ebrei (e - con il concorso dell’Italia - di tutti i cittadini ebrei d’Europa)? Romano chiama alla lotta: «Gli storici dovrebbero essere i primi a respingere questo uso partigiano e fazioso della loro disciplina». Sono certo che gli storici risponderanno.
colombo_f@posta.senato.it

La risposta risentita di Furio Colombo conferma la sua responsabilità prevalente nella produzione di una legge che trovo scriteriata ed infausto. Come cittadino sento il diritto di avercela con Furio Colombo per il sacrificio alla mia ed altri libertà di pensiero che da quella sciagurata legge discende. Purtroppo, i cittadini quasi sempre dimenticano la paternità delle singole leggi, dietro ciascuna delle quali operano abitualmente ristrette lobbies di cui si perde memoria o di cui non si ha mai conoscenza. Mi chiedo e chiedo al bianco Colombo quanta parte abbia avuto nella produzione della legge la Israel lobby italica e quale sia stato lo scambio politico su quella legge della quale proporrei l’abrograzione se avessi i mezzi per promuovere un referendum. In ogni caso nessuno potrà impedirmi di averne una pessima opinione estesa agli uomini che l'hanno prodotta, fosse pure la totalità che allora componeva la sessione legislativa. Se non è possibile fare un referendum abrogativo, esiste però un recente sondaggio Eurispes, il quale dice che i parlamentari godono della fiducia di appena il 14 per cento degli italiano, cioè solo 1 italiano su dieci.