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Ragionando a cielo aperto

di Fabrizio Bottini - 08/02/2008





 

C'è un disegno che quasi tutti conoscono. E lo conoscono così bene da essersene completamente dimenticati. È uno degli infiniti schizzi di Leonardo, quello con la città su livelli sovrapposti: uno per i carri delle merci, uno per chi vuole camminare in pace un po' discosto dalla cacca di cavallo, dal rumore, dalle mosche, dal pericolo.

Ogni tanto rispunta, quel disegno, evocato dal genio di turno che lo usa a proprio consumo, come imprimatur culturale all'ultima pensata più o meno stravagante. L'aveva fatto mezzo secolo fa anche Victor Gruen, l'esule ebreo austriaco inventore del centro commerciale moderno scatolone perfetto, a spiegare come dietro quel cubo al neon in mezzo a un parcheggio si nascondesse – chissà perché – la secolare saggezza del nostro più famoso connazionale.

Naturalmente, come sempre, quel riferimento era del tutto casuale, e basta dare un'occhiata distratta per capirlo: le macchine la fanno da padrone, dappertutto, coi loro cofani, la puzza, il pericolo, le chiazze d'olio; i pedoni per sfuggire a quel disastro devono scappare in fila dietro le casse, esattamente come era nei piani di chi ha commissionato tutto quel bell'ambiente.

Un bell'ambiente che, a ben vedere, non è altro che la forma più visibile e concentrata di una situazione generale che lo circonda, e in fondo lo produce. Il mondo perfetto: giù dalla poltrona del salotto o dalla sedia dell'ufficio, dentro l'abitacolo sigillato e più ampio possibile dell'auto privata, rapidissimo passaggio nel parcheggio, e via dentro un altro cubicolo collettivo-privato (di solito una variante dello scatolone di cui sopra, dove fanno sanità, cinema, massaggi, credito, ristorazione, consulenza astrologica …).

Suona quindi abbastanza ridicolo l'allarme dei titoloni sui giornali italiani di questi giorni a proposito del pericolo stradale, dell'aumento degli incidenti dove sono coinvolti ignari pedoni, ecc. E torna appunto in mente lo schizzo di Leonardo, dove il traffico dei veicoli viene trattato esattamente come si merita, e come veniva in effetti trattato sin verso la fine del XIX secolo, e anche un po' oltre: esattamente come le fogne, i condotti, le linee varie, i collegamenti tecnici. Ovvero qualcosa da escludere dal mondo per quanto possibile, spazio frequentato solo per stretti motivi funzionali da operatori specializzati, e magari reso un pochino meno invivibile proprio per motivi umanitari rispetto a questi sfigatissimi operatori.

È molto istruttivo a questo proposito leggere la relazione del progetto originario per il Central Park di New York del 1858, quando le vie trasversali che tagliano trasversalmente il grande rettangolo verde, a collegare le trafficatissime Quinta e Ottava Avenue, sono descritte e trattate come veri budelli infernali, con la polvere, le urla dei carrettieri, il puzzo degli animali sotto sforzo, e poi nelle nebbie della notte rifugio e via di fuga per malandrini … sopra, separato, il mondo “vero” del parco, del passeggio, delle relazioni sociali.

Cose che ci sembrano assolutamente stravaganti oggi, dopo che in modo strisciante, anche e soprattutto nei nostri insediamenti storici europei, è avvenuto l'esatto contrario, ovvero è il sistema naturale e edificato per l'uomo ad essersi piegato totalmente alle esigenze del traffico veicolare. Un po' come, esagerando ma non più di tanto, se le strade fossero state per altri versi convertite in canali fognari all'aria aperta, spesso senza alzaie, ponti, per le improrogabili esigenze del deflusso liquami …. che come ognuno sa è cosa che non si mette in discussione nemmeno per scherzo …

Succede così che tracciati urbani e rurali di vie a impianto romano o medievale, organizzati essenzialmente per camminarci sopra, vengano trasformate in improprie piste veicolari, dove la carreggiata si mangia tutto, ma proprio tutto, lo spazio. Credo che qualunque lettore conosca direttamente centinaia e centinaia di tratti più o meno lunghi di strada priva di spazio laterale (chiamiamolo col suo nome: via di fuga) per pedoni o ciclisti, con le portiere di auto e camion che scorrono rasente ai muri di case e negozi, o a qualche centimetro dal fosso di scolo, dalla balaustra del ponte, dal ciglio della scarpata.
Ancora peggio, quando la strada è una di quelle “moderne”, pensata secondo i requisiti di “sicurezza”, che si risolvono in una specie di vitalizio per i produttori di ogni genere di barriere: doppi guard-rail zincati, o quella versione di massa del muro palestinese che si chiama New Jersey (l'ha inventato un ingegnere per le autostrade di quello stato negli anni '50). Per non parlare di reticolati, terrapieni con siepe spinosa, e compagnia bella. C'è un pastore protestante del Montana, Eric O. Jacobsen, che ci ha scritto su un libro, intitolato I Marciapiedi del Cielo , la cui tesi è più o meno: se fate strade un po' più civili, è più probabile che andiate in paradiso.

Anche per chi nel paradiso non ci crede, resta però lo stupore nello scoprire, ad esempio per un guasto all'auto, o quando si decide di fare a piedi o in bicicletta un percorso mai sperimentato, fino a che punto può arrivare la perversione di progettisti, costruttori, e amministrazioni che concepiscono questi ambienti, apparentemente ignare del fatto che dentro e fuori dai veicoli ci sono degli esseri umani.

Perché certo un conto è straparlare del progresso, diciamo, con l'ingenua speranza delle avanguardie storiche, o magari con quella un po' più terra-terra da neofiti dell'auto dei nostrani Fantozzi di una cinquantina d'anni fa. Un altro, continuare pervicacemente a “scoprire” che le fogne a cielo aperto della mobilità privata non si adattano a organismi estranei come mamme col passeggino, anziani col cane, coppie per mano col sacchetto della spesa.

Forse aiuterebbe, l'istituzione, dopo le amate-odiate domeniche a piedi, dei mercoledì da leoni: geometri, ingegneri e assessori, obbligati a percorrere a scadenze fisse in un qualunque giorno feriale (rigorosamente senza macchina) tutti i tratti stradali che hanno contribuito a realizzare.

Ci guadagneremmo tutti: anche loro. Non sembra, ma anche loro.