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Vizi e virtù del multiculturalismo

di Edoardo Cas - 08/02/2008

La mescolanza tra i popoli e le civiltà è un pericolo o una ricchezza? Due storici a confronto sui modelli dell'antichità e del Medioevo ancora validi nell'Europa di oggi.
 

FABBRINI: «Roma insegnò come convivere senza «confondersi». «L'impero ideato da Augusto tutelava tutte le diversità unendole intorno all'imperatore»

Come Roma aveva Augusto, così noi abbiamo il diritto e il cristianesimo, come cultura prima ancora che come religione. Secondo Fabrizio Fabbrini, docente di Storia romana presso l'università di Siena, il fattore unificante dell'Europa di oggi è questa ricca eredità che sa al tempo stesso tutelare le diversità e coagularle intorno a un centro comune: «Esattamente come a Roma. Durante il primo periodo imperiale, il sovrano era l'elemento condiviso capace di raccogliere l'adesione di tutti i popoli soggetti al suo dominio. Senza che per questo perdessero i propri caratteri specifici».
 
Professor Fabbrini, l'impero romano ci insegna la convivenza nella diversità?
 
«Allora non vigeva un'unica legge, ma ogni popolo aveva il proprio "diritto personale" e conservava le sue istituzioni. Non solo nel territorio d'origine, ma ovunque, nell'impero, ci fosse una consistente comunità. Il rapporto tra i popoli era perfetto: ognuno aveva una propria indipendenza legislativa e organizzativa. E l'imperatore era il raccordo tra tutti. Roma non imponeva né il suo diritto né i suoi valori; non era un'entità massiccia, che opprimeva le diversità».
 
Non ci fu mai un accentramento culturale?
 
«In effetti nel IV-V secolo, nel Basso impero, si assistette a un irrigidimento, in seguito alla militarizzazione avviata da Diocleziano in reazione alle invasioni barbariche. Ma presto emerse il nuovo, doppio fenomeno della nascita delle lingue neolatine e dei diritti volgari: si accettavano gli schemi di Roma, ma si traducevano in modo che si potessero inserire nelle antiche e diverse consuetudini locali. Da questa simbiosi di vecchio e nuovo nacque la civiltà medievale, e quindi l'Europa. Nel Medioevo le diversità erano molte, ma si strutturavano intorno a strutture comuni da tutti condivise».
 
Quale fu il ruolo del cristianesimo in questo processo?
 
«La Chiesa è stata la traduttrice che ci ha trasmesso l'eredità latina. Sempre senza schiacciare le particolarità. Diffondendosi, le istituzioni romane assunsero colori diversi; anche il rinnovato impero di Carlo Magno si limitava a emanare norme comuni, che non escludevano le leggi locali perché regolavano ambiti differenti. Le regole generali dell'Europa erano sempre e ovunque le stesse, centrate sui decreti imperiali, sulla Chiesa e sulla cultura delle università. Carlo Magno ricucì quell'Europa che già Gregorio Magno, Benedetto e Cassiodoro avevano impostato, e dove l'unità favoriva l'identità dei popoli. Proprio come l'aveva pensata Augusto: nel Medioevo come nell'Alto impero, il pluralismo era la regola. In più giunse l'arricchimento del cristianesimo, che abbracciava tutto».
 
Oggi però imperatori non ne abbiamo: che cosa ci può unificare, allora?
 
«Chi ha sognato l'Europa unita, da Novalis a Kant, ha sempre pensato che l'elemento comune fosse scontato: il diritto romano e il cristianesimo. Era così era anche per i padri dell'Unione europea, tanto che Schuman, De Gasperi e Adenauer vollero le sedi comunitarie a Strasburgo proprio per riallacciarsi all'impero carolingio. Poi abbiamo trascurato questo lascito, e l'unità europea è diventata economica anziché spirituale. Oggi, mentre avvertiamo il pericolo del fondamentalismo islamico, scatta di nuovo la rivendicazione dei nostri valori. Eppure le diversità arricchiscono: accettarle non è solo un dovere etico, ma è anche il rispetto dell'insegnamento che ci viene dall'antica civilitas: si può vivere insieme, senza confondersi».
 

CARDINI: «Dalle civiltà miste nascono i sistemi più stabili»
«La "purezza" è un'idea sbagliata: nella storia vince chi sa accogliere gli altri. Come gli Stati Uniti».
«La nostra identità è davvero in crisi. Ma gli immigrati non c'entrano nulla». Per il medievalista Franco Cardini né il numero né la cultura degli islamici giunti in Europa sono un pericolo, al di là delle frange estremiste: «Se ormai soltanto una minoranza va a messa, la colpa non è certo degli islamici. Piuttosto, dobbiamo considerare il diffondersi di un relativismo morale che è ben altra cosa da quello antropologico teorizzato da Lévi Strauss, che anzi ci insegna a evitare le ambiguità delle "graduatorie" tra le diverse civiltà».
 
Allora, professor Cardini, il meticciato non è un pericolo concreto?
 
«Per parlare di meticciato dovrebbero esistere culture "pure". Che però non sono mai esistite. Non era pura la cultura greca, debitrice all'Egitto e all'Oriente, non lo è quella cristiana, figlia di quella ebraica. Quella della "purezza" è una fantasia nata con l'Illuminismo, quando si iniziò a sostenere che la nostra civiltà fosse migliore delle altre. Fino ad allora, al contrario, era preminente la visione cristiana, aperta al proselitismo ma senza la negazione delle diversità: nel Quattro e nel Cinquecento, per esempio, i gesuiti e i domenicani difendevano gli indigeni americani in nome del diritto naturale. Il - brutto - termine "meticciato" indica soltanto una fusione di caratteri culturali o razziali diversi. Non è affatto un pericolo. Noi occidentali abbiamo un certo patrimonio di valori, altre culture ne hanno altri, e tutte sono ugualmente permeabili le une alle altre. Le culture diverse dalla nostra sono aperte ad assorbire i nostri valori».
 
Anche quella islamica?
 
«Perfino più di altre, direi: la rabbia dei fondamentalisti musulmani deriva proprio da quella che giudicano un'"occidentalizzazione" eccessiva dell'islam. Più che di meticciato, è meglio parlare di osmosi tra le culture. Che c'è sempre stata e ci sarà sempre».
 
Anche la nostra cultura occidentale deriva da un'osmosi?
 
«Io preferirei parlare di cultura europea, non credo che esista una vera e propria cultura occidentale. E la nostra cultura europea deriva da quella del Basso impero romano, quando la civiltà latina era stata "inquinata" dai cristiani e dai barbari. È da qui che è uscita la nostra bella Europa cristiana del Medioevo. Meno male, allora, che siamo stati meticciati».
 
Lo stesso si può dire della situazione dell'Europa attuale?
 
«Le culture non fanno mai scambi alla pari. Certamente noi assorbiamo molto dagli immigrati che sono arrivati in Europa, ma è ancora di più quello che loro assorbono da noi. La sintesi che ne deriverà sarà più vicino al nostro modello che al loro. Avremo un Occidente arricchito, non imbarbarito. Parlare di meticciato, invece, instilla un'idea falsa della storia perché rimanda a un'idea di "purezza" che può sempre scivolare nel razzismo, anche se non biologico. Antropologicamente, le culture "pure" - o che tali vorrebbero essere e mantenersi - sono anche culture deboli; al contrario quelle vincenti sono le culture miste, come quelle della Roma imperiale o degli Stati Uniti di oggi».
 
Il «melting pot» statunitense è un modello positivo?
 
«All'inizio del Novecento gli Stati Uniti furono "invasi" da quella che consideravano gentaglia. Anche allora c'era chi voleva imporre restrizioni contro gli italiani o gli irlandesi, che venivano descritti come sporchi e violenti "inquinatori" della "pura" cultura anglosassone e protestante. In effetti, di norma la prima generazione di immigrati non è affatto disponibile all'integrazione: è la fase acuta del fenomeno, quella che l'America ha visto cento anni fa e che noi in Europa viviamo oggi. Ma poi arriva la terza generazione, quella che si integra compiutamente. E oggi gli Stati Uniti, così potenti, sono proprio meticciati».