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Riabilitare Savonarola?

di Franco Cardini - 13/02/2008

   
Prendendo spunto dall’uscita del libro Savonarola. Moralità e politica a Firenze nel Quattrocento dello storico Lauro Martines, Franco Cardini analizza la figura del frate predicatore e il contesto politico, sociale e religioso in cui si trovò a operare.
Nel 1475 Savonarola entrò nell’ordine domenicano e studiò a Bologna prima di essere mandato a Firenze. Dal 1485 iniziò a predicare la fine dei tempi e la necessità immediata della riforma della Chiesa romana. Dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, fra il 1494 e il 1497, Savonarola dominò la vita politica fiorentina e cercò di varare un ordinamento pubblico che riportasse l’equilibio fra le fazioni, ma colpito da scominica fu impiccato e arso nel 1498. Cardini sottolinea che Savonarola non fu ucciso poiché dichiarato eretico, bensì perché vittima delle lotte politiche del tempo.


L’uscita per Mondadori della traduzione italiana del libro dedicato a Girolamo Savonarola da parte di Lauro Martines, professore emerito dell’University of California di Los Angeles e illustre studioso del Quattrocento fiorentino (Savonarola. Moralità e politica a Firenze nel Quattrocento), può essere occasione, in questi tempi in cui tanto si parla di ‘fondamentalismo’ e di ‘ingerenze della Chiesa nella vita civile’, a riconsiderare una pagina molto intensa e problematica della storia del nostro Rinascimento e della Chiesa. Su Savonarola si è detto di tutto e il contrario di tutto. Fra Otto e Novecento le Chiese riformate e la storiografia protestante ne fecero un ‘martire’ del perfido e corrotto papa Borgia, Alessandro VI; e così molti continuano ancor oggi a pensare, nonostante studi recentissimi abbiano profondamente rivisitato le figure della famiglia Borgia e ci abbiano mostrato le immagini di un Alessandro e soprattutto una Lucrezia molto diversi da quelli che gli stereotipi anticlericali avevano diffuso. C’è anche chi ha provato a far del frate ferrarese - come, del resto, di Martin Lutero - un ‘martire del Libero Pensiero’: il che è francamente troppo. Nella Roma pontificia dei Borgia, a parte la leyenda negra che ancora circonda quel papa, si viveva e si pensava senza dubbio con maggior libertà di quanto non accadde nella Firenze dominata dal cupo e intransigente frate. E tuttavia, se confrontiamo le figure dei due grandi agitatori religiosi (e politici) dallo snodo tra Medioevo e Rinascimento, non è difficile rendersi conto che l’agostiniano sassone era ancora molto ‘medievale’, nelle sue prospettive di ritorno alla purezza della Chiesa evangelica, mentre il domenicano ferrarese, pur essendo vissuto mezzo secolo prima di lui, era al contrario già ‘moderno’, con le sue aperture nei confronti della magia naturalis studiata da Marsilio Ficino e da Giovanni Pico della Mirandola.
Ma chi era, insomma, Girolamo Savonarola? [...]
Nato a Ferrara nel 1452, Girolamo era nipote di un illustre medico dell’Università di Padova, Michele Savonarola. Era quindi abituato fin dall’infanzia al lusso, alle agiatezze, alla notorietà. Ma si disgustò presto del mondo, la corruzione del quale lo indignava. Entrò nel 1475 nel convento domenicano di Bologna, centro e culla della cultura scolastica in un tempo in cui la palma della filosofia stava passando invece da Tommaso ad Agostino e quindi da Aristotele a Platone: tuttavia la dottrina tomistica gli stava evidentemente stretta, come avrebbe più volte anche in seguito dimostrato. Studente, sacerdote e teologo formatosi tra 1475 e 1482, era già piuttosto famoso quando il capitolo lombardo del suo Ordine lo destinò al convento fiorentino di San Marco, sede prestigiosa e chiesa prediletta da casa Medici. In un primo tempo predicò su temi esegetici e scritturali: ma, fra 1484 e 1485, avvenne qualcosa che lo cambiò profondamente. Da allora, le sue prediche furono tutte incentrate sulla fine dei tempi, la punizione che Dio minacciava all’umanità e la riforma della Chiesa. Abbandonò Firenze e per un triennio, tra 1487 e 1490, predicò nell’Italia settentrionale. Rientrò a Firenze nel 1490 per espresso desiderio di Lorenzo il Magnifico, che pur aveva avversato ma che lo stimava e forse lo temeva [...].
Nel 1491 i frati di San Marco lo elessero priore; intanto continuava a predicare, prima nella sua chiesa e poi in duomo. I suoi strali, che pur non risparmiavano politici e governanti fiorentini, erano rivolti soprattutto contro la corruzione della Chiesa romana: domenicano ‘osservante’, dunque sostenitore della riforma interna dell’Ordine, annunziava e auspicava ormai la necessità d’una generale riforma della Chiesa romana. Dopo la morte del Magnifico, nel 1492, il suo messaggio si fece più intenso e diretto. Non che auspicasse un rovesciamento politico: al contrario, fu più vicino al potere mediceo di quanto solitamente non si dica. Tuttavia, sperò senza dubbio che il re Carlo VIII di Francia, disceso in Italia nel 1494 per ben concreti interessi nel regno di Napoli, ma proclamando di voler organizzare una crociata, fosse lo strumento della punizione e del rinnovamento della cristianità. Eppure, nel frangente del passaggio del re da Firenze e subito dopo, egli dimostrò una chiarezza di vedute politiche e un equilibrio che lo imposero all’attenzione dell’opinione pubblica: e per almeno tre anni, fino al 1497, dominò la vita politica e spirituale della città promuovendo un progetto di costituzione ispirata a quella veneziana che contemperasse le spinte aristocratiche e quelle popolari e sostenendo l’immagine d’una Firenze finalmente visitata dalla concordia e ‘Nuova Gerusalemme’. È vero che la sua ‘dittatura’ fu segnata anche da violenze [...], ma tuttavia sembrò per un lungo momento che la crisi aperta dalla morte del Magnifico fosse davvero risolta.
La città era agitata tuttavia da una dura lotta politica tra opposti partiti: i ‘piagnoni’ seguaci del frate, i ‘compagnacci’ favorevoli al ritorno degli esiliati Medici e gli ‘arrabbiati’ fautori invece d’una riforma in senso oligarchico-repubblicano. I troppi nemici di fra Girolamo riuscirono a convincere papa Alessandro VI, adirato per le prediche nella quali il domenicano denunziava la corruzione romana ma restio a prender provvedimenti, ch’era necessario fermarlo. La scomunica, il 25 giugno del 1497, fu l’inizio della sua rovina. Il governo fiorentino, timoroso dell’interdetto che avrebbe potuto abbattersi sulla città, gli ingiunse di tacere; i suoi avversari, soprattutto i francescani, lo sfidarono ripetutamente a un confronto che egli non si sentì d’accettare; infine la folla assalì il convento di San Marco e lo trascinò si può dire di forza dinanzi a un tribunale civile, cui si erano però aggiunti due commissari ecclesiastici. Il 23 maggio del 1498 egli, insieme con due suoi fedeli seguaci, fu impiccato e quindi arso in Piazza della Signoria. Non era stato comunque giudicato da un tribunale inquisitoriale né dichiarato eretico. [...]
Nelle sue Prediche, i toni terribili delle immagini apocalittiche si accompagno a momenti profondi e commoventi, di meditazione e di penitenza. Da anni un agguerrito gruppo di fiorentini e non solo sta insistendo perché si porti avanti nei suoi confronti un processo di canonizzazione, rispetto alla quale la Curia pontificia sembra tuttavia non aver superato riserve e cautele.

Lauro Martines, Savonarola. Moralità e politica a Firenze nel Quattrocento, Milano, Mondadori, 2008.