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Terzani in Cambogia: l’illusione e l’autocritica

di Ettore Mo - 13/02/2008

   
Nel libro Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia sono raccolti gli articoli che a partire dal 1973 il giornalista e scrittore Tiziano Terzani ha inviato ai giornali occidentali sulla travagliata situazione del paese indocinese. Ettore Mo ripercorre nell’articolo l’esperienza di Terzani sottolineando che fu uno dei primi giornalisti a scrivere del movimento dei Khmer rossi. Nel 1975 Terzani sperò che l’evacuazione della popolazione cittadina nelle campagne, imposta dal nuovo regime, potesse risolvere i problemi di produzione alimentare, ma ben presto capì e condannò la volontà di sterminio dei Khmer rossi. Secondo Terzani il movimento guidato da Pol Pot è stato il frutto ideologico della Cina comunista che era al corrente delle stragi e le approvava. Ma anche gli Occidentali sapevano e riconobbero i Khmer come governo legittimo della Cambogia.

È davvero emozionante, per me, ripercorrere la carriera e la vita (che vita!) di Tiziano Terzani, sfogliando le pagine del suo libro postumo che s’intitola Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia [...] dove sono condensati i messaggi, i telegrammi, le corrispondenze - brevi e lunghe - che per anni ha inviato da quel Paese in guerra ai giornali con cui collaborava: a cominciare da “Der Spiegel”, di cui era corrispondente fisso dall’Asia, quindi al “Giorno”, all’“Espresso”, al “Messaggero”, alla “Repubblica” e, dal 1988, al “Corriere della Sera”.
Nell’ampia prefazione la moglie Angela Terzani Staude racconta con dovizia di particolari ed episodi toccanti le tappe di quel lungo peregrinare in Indocina, Vietnam, Laos, Cambogia. Ma i suoi dispacci provengono soprattutto da questa contrada, dove ha rischiato di morire fucilato dai khmer rossi nella cittadina di confine (con la Thailandia) di Poipet, appena invasa dai guerriglieri di Pol Pot: esperienza non condivisa con nessuno, essendo il solo giornalista presente, ma dalla quale esce affranto. Rientrato a Singapore, «gira per casa come un leone malato - ricorda la moglie -, un leone che ha perso l’orientamento».
Tiziano comincia a «coprire» (come si dice nel gergo) la Cambogia all’inizio del ‘73 e «s’innamora di Phnom Penh, la più bella delle tre capitali costruite dai francesi in Indocina», davanti al fiume Mekong «immenso e luminoso»: nella capitale cambogiana arrivano presto anche i giornalisti delle grandi testate internazionali, “New York Times”, “Washington Post”, “Le Monde”: ma vi sbarca pure un inviato italiano, Bernardo Valli, che diventerà suo amico, esperto di guerre che stava «a letto a leggere I tre moschettieri». [...] Dei khmer rossi all’epoca si sapeva poco o nulla, ma Tiziano è tra i primi a fornire qualche informazione sulla loro esistenza ai giornali europei. Per Terzani, «nel 1970 la Cambogia era un Paese piccolo e insignificante con 6 milioni di abitanti... Era un Paese che viveva in pace, governato da un estroso e astuto principe, Sihanouk, un signore feudale che considerava la Cambogia come sua proprietà e i cambogiani come i suoi “figli”». Il governo era nelle mani di Lon Nol, che godeva di scarse simpatie tra la popolazione. Sihanouk è un re-playboy che s’era anche rifugiato a Pechino e a Pyongyang, e che Tiziano definisce «un uomo senza grandezza». Aggiungendo: «Non l’ho mai sentito fare una riflessione umana intelligente sulla storia di questi anni, sui khmer rossi, sul ruolo degli uomini nella tragedia. C’è in quest’uomo una piccolezza spaventosa, una mancanza di grandezza umana. È un re, un despota».
In un articolo per “L’Espresso” inviato nell’agosto del ‘73, Terzani così descrive le condizioni sociali dei cambogiani più poveri: «Davanti all’albergo Le Phnom, sulla cui veranda si riposano gli ufficiali e i mercanti di questa Repubblica arricchiti dalla guerra, ho visto donne che scortecciano gli alberi per fare legna per cucinare... Ho visto cenare una famiglia di sei bambini. La madre ha ciucciato per prima una palla di riso che è poi passata di bocca in bocca».
In un altro dispaccio del febbraio del ‘74, l’incipit è il seguente: «Il coprifuoco comincia alle sette e nemmeno i cani restano per le strade perché in queste settimane di assedio e di fame la gente ha finito per mangiarseli». In un successivo messaggio, riprende le parole di un ufficiale che dice: «Prima della guerra i turisti venivano in Cambogia per vedere le rovine di Angkor Wat. Quando ci sarà di nuovo la pace - ne verranno molti di più, perché allora la Cambogia sarà un Paese di rovine». [...]
Quando i khmer rossi entrarono a Phnom Penh, la città era senza riserve di cibo. I suoi due milioni di abitanti erano tenuti in vita giorno per giorno dal ponte aereo americano. L’unico modo di sfamare la gente era mandarla nelle campagne, dove anche le radici di alcune piante potevano, in un primo momento, tenerle in vita. L’evacuazione fu una misura radicale, draconiana. «Oggi - scrive Terzani in un articolo del giugno ‘76 - la Cambogia produce più riso di quanto ne consuma e ha cominciato l’esportazione. “Il Paese è un’immensa officina”, dice Radio Phnom Penh. “È un campo di concentramento”, ribattono i rifugiati», che «hanno trovato “atroce” l’evacuazione verso la campagna e ancor più terribili le dodici ore di lavoro al giorno richieste a ognuno, compresi bonzi, donne e bambini». E con riferimento all’immagine di una Cambogia retta dai sanguinari khmer rossi, ricorda che Radio Phnom Penh conclude la trasmissione quotidiana intonando l’inno nazionale, che è un truce peana con versi come questi: «Oh, sangue rosso, sangue brillante che copri le città e le pianure della patria...».
20 ottobre 1979. Altra raccapricciante corrispondenza: «La razza khmer sta per scomparire dalla faccia della terra. Nel 1975, alla fine di cinque anni di guerra americana, che aveva fatto un milione di vittime, i cambogiani erano almeno sette milioni. Dal 1975 alla fine del 1978, i khmer rossi, col loro folle comunismo, hanno massacrato e lasciato morire di stenti da due a tre milioni di loro compatrioti. Ora, altri due milioni stanno per morire di fame, di malaria, forse di peste, in un Paese i cui campi sono abbandonati e dove la guerra continua, giorno dopo giorno. Contrariamente ad altri popoli, i cambogiani non si riproducono più. La maggior parte delle donne, come le risaie, non sono più fertili. Accanto alle fosse comuni scavate in passato, per seppellire le vittime torturate, soffocate, impalate, bastonate dai soldati di Pol Pot, si scavano ora le fosse comuni per le vittime della lenta morte per inedia».
Pol Pot è morto impunito nell’aprile del 1998. «È morto - scrive Terzani - senza che nessuno facesse i conti con lui». Le stragi da lui commesse, la montagna di teschi del centro di tortura di Toul Sleng, diventato ora il Museo del genocidio, erano note già alla fine degli anni Settanta, in gran parte raccontate dai cambogiani profughi in Thailandia. Ma nonostante questo non ci fu nessuna protesta internazionale, nessuna commissione per i diritti umani si recò in Cambogia, nessun organo delle Nazioni Unite intervenne a fermare il massacro. Anzi, Pol Pot e i suoi khmer rossi vennero riconosciuti dalla comunità internazionale come il governo «legittimo» della Cambogia e come tali occuparono il seggio cambogiano all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Nel dicembre 1978 fu il Vietnam a intervenire.
I khmer rossi, secondo l’autore di Fantasmi, non sono stati un’aberrazione, sono i figli ideologici di Mao Zedong. Sono stati allevati e tenuti a battesimo in Cina; Pechino ha enormi responsabilità, sapeva e approvava. I grandi massacri di Phnom Penh fra il 1975 e il 1979 ebbero luogo nel liceo Tuol Sleng, a poche decine di metri dall’ambasciata cinese, dove non solo si potevano sentire le urla delle vittime, ma si teneva il conto della gente che veniva via via eliminata.

Tiziano Terzani, Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia, Longanesi 2008, pp. 366, € 18,60.