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Kosovo, bubbone internazionale

di Curzio Bettio - 15/02/2008

 
(Rassegna di documenti elaborata da Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

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http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-01-30%2012:08:32&log=invites
http://comaguermarseille.free.fr/

Scheda sintetica sulla questione Kosovo.

(Traduzione di Bettio Curzio di Soccorso Popolare di Padova)

21/01/2008

Da otto anni sotto amministrazione ONU, la cui missione UNMIK doveva procurare il ritorno ad una vita normale e al rispetto del diritto internazionale tuttora vigente, il Kosovo-Metohija è in procinto di diventare una zona di putrefazione delle relazioni internazionali. Il medico ONU si propone di abbandonare un malato in preda ad una setticemia, di cui lui ha permesso lo sviluppo, lasciandolo nelle mani di infermieri che di fatto sono garzoni di beccaio.
Infatti, la squadra candidata al potere è una emanazione della vecchia UCK, movimento sedicente di “liberazione nazionale”, il cui progetto politico è un progetto reazionario razzista e xenofobo e che per tutto questo non merita alcuna simpatia. Complimenti!
Ci si dovrebbe ricordare che il primo medico di questo stampo inviato dall’ONU in Kosovo è stato un certo Kouchner, che era divenuto specialista nell’invocare interventi militari, per poi inviare missioni “umanitarie” a curare i sopravvissuti.
Come dato fondamentale resta il fatto che il Kosovo-Metohija è una Provincia della Serbia. Questo diritto è riconosciuto e garantito dall’ONU e attestato dalla Risoluzione 1244, che ha posto fine ai bombardamenti sulla Jugoslavia da parte della NATO.
Il Kosovo-Metohija (con dicitura abbreviata Kosmet) copre il 15% del territorio della Serbia. La sua popolazione viene stimata intorno ai 2,1 milioni di abitanti, e i 200.000 Serbi che vi risiedevano sono fuggiti e si sono rifugiati in Serbia. Hanno poco da sperare o da desiderare il ritorno, le loro case sono state distrutte od occupate. D’altro canto, altre minoranze vengono oppresse allo stesso modo.
In origine, il Kosovo-Metohija era popolato in maggioranza da Serbi; attualmente la maggioranza è costituita da albanofoni, che, in virtù di un dinamismo demografico ben superiore, sono divenuti progressivamente la maggioranza, (e non sono proprio stati eliminati dal governo di Milosevic, contrariamente a quanto ci hanno raccontato!). Al contrario, dopo che la Provincia è stata posta sotto la protezione dell’ONU, sono le altre minoranze ad essere state sia mal protette che maltrattate, e la Provincia è stata lasciata al suo destino, dato che si trattava di Serbi, di Bosniaci, di Turchi, di Rom.

Attualmente sono tre o forse quattro le autorità provvisorie che governano il Kosovo-Metohija:
- l'ONU, tramite la sua missione speciale UNMIK, diretta all’oggi da un tedesco, più preoccupato di fare posto agli interessi economici della Germania nel futuro Stato putridume che di fare regnare l’armonia nella società locale
- l'OSCE, incaricata della supervisione delle elezioni locali
- la NATO, che assicura il controllo militare della Provincia attraverso la KFOR, ma un controllo poco centralizzato, visto che le 5 zone di occupazione sono sotto il comando di nazionalità differenti (inglese, italiana, francese, statunitense), che mettono in campo comportamenti tutti diversi, e la quinta zona sotto comando tedesco accoglie per di più un battaglione russo ed uno turco
- il Governo Provvisorio, gestito dagli albanofoni più radicali, che si appoggia ad una polizia e ad una milizia reclutate su base etnica e razzista.
Questo organico sovrastrutturale privo di coordinazione, invece di assicurare una qualche regolarità e stabilità nel funzionamento delle istituzioni, non ha prodotto nulla di positivo per l’avvenire della Provincia e dei suoi abitanti. Una moltitudine di funzionari internazionali conduce la bella vita a Pristina e fiancheggia, senza imbarazzo alcuno, dirigenti albanofoni mafiosi, trafficanti di droga, specialisti riconosciuti nel trasferimento dell’eroina afgana verso i mercati europei, che ostentano con tracotanza le loro fortune di nuovi arricchiti e sono in attesa di diventare gli unici padroni. Militari, in numero di 15.000, ben equipaggiati, ma senza chiare istruzioni, o meglio con ordini emanati direttamente dai loro governi a difesa dei propri interessi, privi di una netta visione dello scopo della loro presenza, attendono dunque di essere rilevati da questa operazione di mantenimento dell’ordine, senza esporsi a troppi rischi.

Le principali poste in gioco.

Dal punto di vista geopolitico.
Per i fautori dell’indipendenza della Provincia, quello che importa è acquisire lo smembramento della ex Jugoslavia e di indebolire ancor di più la Serbia, che al tempo di Milosevic non aveva manifestato alcun interesse di raggiungere i paradisi neo-liberisti e la loro anticamera militare, la NATO, e che nemmeno attualmente manifesta questo interesse, ben consapevole che l’Unione Europea vuole anzitutto amputarla del 15% del suo territorio, prima di aprirle eventualmente le porte. Il Montenegro, già separato con l’appoggio attivo dell’UE, è incamminato a divenire uno dei luoghi di prestigio dove i nuovi ricchi insediano i loro palazzi in riva al mare, su una costa bella e incontaminata.

Dal punto di vista militare.
Gli Stati Uniti hanno installato nel loro settore di occupazione l’immensa base militare di Camp Bondsteel, che costituisce un vero e proprio enclave statunitense completamente autonomo su un territorio a sovranità della Serbia. Da questa base possono intervenire, costituendo questa un punto di osservazione per bombardare, per aviotrasportare truppe, per infiltrare forze speciali in tutta l’area Balcanica, senza rendere conto di tutto questo a chicchessia, e uno Stato fantoccio, di cui sarebbero i protettori, consentirebbe loro una totale libertà di movimento.
Il Kosovo diventerebbe la più grande base Statunitense fuori degli USA, una specie di metastasi americana all’interno del corpo dell’Europa.

Dal punto di vista economico.
La Provincia è molto ricca in carbone. Inoltre possiede tre importanti giacimenti di minerali non ferrosi e strutture industriali per il trattamento dei minerali nel settore di Kosovska Mitrovica. Proprietà dello Stato Jugoslavo, queste strutture industriali sono state privatizzate, ma sono situate in una zona ancora popolata da una maggioranza Serba e intermedia ad altre province Serbe.
Una situazione di sfruttamento intensivo di questi giacimenti pone due tipi di problemi:
- le autorità provvisorie vogliono cacciare i Serbi che abitano questa zona, in modo che siano solo gli albanofoni ad essere impiegati
- il controllo economico e finanziario di questo autentico tesoro minerario diventa l’oggetto di una sorda concorrenza fra le potenze occupanti, in particolare fra le europee e le compagnie tedesche specializzate, che al momento sono le più presenti.
La Provincia è situata su uno dei corridoi energetici europei destinato a permettere il passaggio di oleodotti o gasdotti per il trasporto di petrolio e di gas naturale estratti nel settore del Mar Caspio e destinati ai mercati europei, sia per via terrestre attraverso la Bosnia e la Croazia, sia per via marittima reimbarcando i prodotti in qualche porto albanese.
Questi progetti sono ridotti a mal partito nella misura in cui la Russia, la Bulgaria e la Grecia si sono accordate per la realizzazione di un oleodotto più corto, e dunque molto meno costoso, che collega il porto bulgaro di Burgas al porto di Alexandropoulos, nel nord della Grecia. Questo progetto, i cui pilastri erano stati già fissati da un anno fra i tre capi di Stato interessati, sta entrando nella sua fase di montaggio esecutivo tecnico e finanziario.

I protagonisti della crisi internazionale in corso

Il governo provvisorio si dichiara pronto per dichiarare l’indipendenza della Provincia.
Il segretario generale dell’ONU è pronto ad avallare servilmente il fatto, dimenticando che dal punto di vista del diritto internazionale il Kosovo-Metohija è una Provincia di uno Stato Membro.
Benché non siano membri dello stesso partito, il Presidente Serbo Tadic, il Primo Ministro Kostunica, come pure i dirigenti del partito nazionalista, numericamente il più rappresentativo in Parlamento, sono tutti risolutamente contrari all’indipendenza del Kosovo-Metohija.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea UE sono favorevoli all’indipendenza, ma sulla questione nell’ambito dell’Unione Europea non esiste unanimità.
La Slovenia, attualmente alla presidenza dell’UE per sei mesi, visto che è stata la prima a staccarsi dalla Repubblica Jugoslava violandone la costituzione federale, sempre con la benedizione della Germania e del Vaticano, non può che appoggiare decisamente l’indipendenza.
Ma altri membri dell’UE sono reticenti e lo hanno affermato pubblicamente: la Grecia, sempre preoccupata per il tanto agitarsi etnico-albanese alle sue frontiere; Cipro, che ha vissuto e continua a vivere l’esperienza di una secessione e di uno Stato, imposto con la forza da una potenza straniera, la Turchia, che dopo più di 30 anni dalla sua creazione, non ha alcun riconoscimento internazionale ; la Bulgaria e la Romania che intrattengono buone relazioni di vicinato con la Serbia.
Altri hanno delle perplessità, che non palesano apertamente, ma che è ben noto essere al centro della loro politica, a cominciare dalla Spagna, che, con tutta la sua volontà di non riconoscere attraverso la violenza di Stato la questione basca, teme l’instaurasi di un precedente.
La Gran Bretagna può temere che il riconoscimento di uno Stato, che è discriminante sul piano religioso, non rilanci la questione dell'Ulster.

La Russia, da un anno, non cessa di richiedere che si persista nei negoziati fra il governo Serbo e il governo provvisorio della Provincia, al fine di evitare un colpo di forza istituzionale e le sue conseguenze, che scatenerebbero la pulizia etnica della Provincia.
Rigettando gli ultimatum artificiali, che si fondano soprattutto sugli interessi di coloro che li manifestano, la Russia domanda di prendere ancora tempo per trovare una soluzione di compromesso. Vedendo che non è assolutamente ascoltata, la Russia ha di recente precisato che, nel caso di una proclamazione unilaterale di indipendenza e del riconoscimento di questa da parte di alcuni paesi, si sarebbe opposta e ha ribadito di avere il potere giuridico ad impedire l’ammissione di questo Stato all’ONU. Quindi, il Kosovo-Metohija diventerebbe una sorta di nuovo Taiwan, Stato di fatto ma non di diritto.
L'esperienza storica dimostra che situazioni bastarde di questa natura possono anche perdurare, ma sono foriere di tensioni internazionali permanenti.

La Cina è sulle medesime posizioni della Russia.

Come un vaso di Pandora, così definito dalla diplomazia russa, la questione del Kosovo può avere degli effetti di riflesso ai margini dell’ex Unione Sovietica.
Sono quattro le Province secessioniste che reclamano la loro indipendenza e che potrebbero utilizzare il precedente del Kosovo: la Transnistria, piccola regione della Moldavia, ai confini con l’Ucraina, popolata principalmente da Russi, l'Abkhazia e l'Ossezia del Sud che vogliono staccarsi dalla Georgia, e l’Alto-Karabakh, territorio popolato da Armeni, incluso nell’Azerbaidjans.
Le situazioni concrete non sono tutte identiche e la NATO non ha ancora bombardato alcuna di queste repubbliche, ma di fatto sorveglia da vicino la situazione.
Infine, nulla vieta di pensare che la Repubblica Serba di Bosnia, discreta sul merito, non richieda il ricongiungimento con la Serbia.
La Russia ha fatto presente questi diversi casi, che conosce bene, ma che in nessun momento ha indotto alla secessione.

Per concludere, una delle conseguenze non immediate potrebbe essere una crisi importante in ambito ONU. Gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna, vedendosi bloccate con fermezza dagli altri due membri del Consiglio di Sicurezza, andrebbero a creare una sorta di direttorio: gli USA con l’UE e la NATO imporrebbero sulla parte Occidentale dell’Eurasia la loro sola legge internazionale.
Questo progetto non è proprio una elucubrazione, è un progetto che ha preso forma in un documento che verrà presentato al prossimo summit di capi di Stato della NATO, che si terrà agli inizi di aprile a Bucarest.
È stato firmato da militari, ritenuti perciò “indipendenti”:
Klaus Neumann, ex Comandante del Comitato militare della NATO (Germania)
Peter Inge, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa (Regno Unito)
John Shalikashvili, ex Capo di Stato Maggiore interarmi (Stati Uniti)
Jacques Lanxade, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa (Francia)
Henk van den Breemen, ex Capo di Stato Maggiore della Difesa (Paesi Bassi)

Ne vedremo delle belle, e voi stessi potrete giudicare!

Per tutto questo, Pristina 2008 potrebbe essere una riedizione di Sarajevo 1914!
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Documento messo in diffusione in francese dalla lista JUGOINFO, curata da componenti del
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – ONLUS http://www.cnj.it/

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KOSOVO: D'ALEMA, 200 ITALIANI IN MISSIONE CIVILE UE
06/02/2008 16:42
ROMA - Superato il passaggio delle presidenziali serbe con la vittoria del filo-europeista Tadic, in Kosovo si e' “alla stretta finale”: “L’indipendenza della Provincia separatista serba - ha detto oggi Massimo D'Alema - è ormai un processo irreversibile che l'Unione Europea, assolutamente unita, deve governare.”

Illustrando gli ultimi sviluppi della situazione in Kosovo alle commissioni Esteri di Camera e Senato, il titolare della Farnesina ha parlato di una “sfida molto delicata” che l'Unione Europea non può fallire. Una sorta di “test” per la sua credibilità come attore sulla scena internazionale. D'Alema ha anche colto l'occasione per annunciare che sarà proprio l'Italia - con 200 funzionari, tra magistrati e poliziotti – a fornire il maggior contributo alla missione civile che l'UE si appresta a schierare in Kosovo, per un totale di circa 2000 unità. Si tratta della missione più imponente mai messa in piedi a Bruxelles, che attende solo il sigillo dei 27 membri, che sarà apposto, con ogni probabilità il 18 febbraio prossimo, dal Consiglio Esteri. Se così fosse, diverrebbe operativa a partire dal 19 giugno 2008.
“Ferma restando la consapevolezza che lo scenario che si apre in Kosovo non e' esente da rischi e che nelle prossime settimane dovremo confrontarci con una fase di turbolenze, con l'ingresso nella fase conclusiva della definizione dello status del Kosovo l’assoluta unità dell'UE - ha sottolineato D'Alema - è un principio irrinunciabile”.“Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna sono chiamate ad agire in stretto coordinamento con le istituzioni europee, come fossero un solo Paese”, ha osservato il Ministro.

È nell’interesse di tutti, a partire dall'Italia, procedere subito al riconoscimento del nuovo status del Kosovo. Ossia l’indipendenza, non appena sarà dichiarata da Pristina. “Un passo che, ha spiegato D'Alema, non significa firmare una cambiale in bianco ai Kosovari.”
Ma dal momento che gli spazi negoziali appaiono esauriti, l’unica soluzione realistica per chiudere l'ultimo capitolo della dissoluzione dell'ex Jugoslavia - e' il ragionamento del Ministro - rimane il Piano Ahtisaari, che prevede per il Kosovo un’indipendenza sui generis, cioè a sovranità limitata, supervisionata dalla comunità internazionale.

Il compito dell’UE è adesso quello di “controllare ed indirizzare, piuttosto che subire un processo diventato ormai irreversibile”. E per farlo, ha messo in guardia D'Alema, bisogna prendervi parte. Governarlo. “Quando ci troveremo di fronte a questa dichiarazione di indipendenza, dovremo prenderne atto ... e siccome i Kosovari diranno 'siamo indipendenti sotto l'autorità Europea', l'Europa deve assumersi questa responsabilità. Ed intende farlo”.

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Ecco gli ultimi colpi di coda del governo Prodi;
Da "City , 5 febbraio 2008

SERBIA, Kosovo, presto la missione UE

Belgrado - L' Europa ha dato la via libera all' invio di una missione di polizia in Kosovo.
I 1.800 poliziotti, tra cui almeno 450 italiani, “sorveglieranno” la Provincia serba, a maggioranza albanese, fin dall’inizio della dichiarazione dell’ indipendenza da Belgrado, che Pristina emanerà a giorni. Al neoletto Presidente serbo Boris Taddic, europeista, l’UE ha garantito un accesso “accelerato” alla Serbia, “in cambio”, di fatto, dell' indipendenza del Kosovo

Considerazioni di Ivan P.I.: “Provate ad indovinare perchè Prodi ha dichiarato che in Kosovo veniva inviato un nuovo contingente italiano di polizia di dogana?
Con l' euro ufficiale in Slovenia, cade la frontiera Shengen tra l'Italia e questa ex Repubblica Jugoslava. Nel contempo diventa più rigoroso il passaggio di frontiera tra la Slovenia e la Croazia.
I doganieri e la polizia italiana, in precedenza impiegati fra l’Italia e la Slovenia, dove verranno impiegati? Nel Kosmet (Kosovo e Metohija), sicuramente a salvaguardare gli interessi americani!

Ivan

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Da “il Manifesto” del 9 febbraio 2008

«Kosovo, la fretta di D'Alema prepara un altro disastro»
Intervista di Tommaso Di Francesco al generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo.

Mercoledì, poco prima dello scioglimento delle Camere, Massimo D'Alema ha comunicato alle commissioni esteri di Camera e Senato che l'Italia riconoscerà l'indipendenza unilaterale del Kosovo, annunciando che ci saranno 200 italiani nella «missione civile e di polizia» di 2000 uomini che l'Unione europea vuole dispiegare in Kosovo per gestire l'indipendenza. Il parlamento italiano non l'ha mai discussa e nemmeno il governo in carica per il «disbrigo degli affari correnti» non per attivare processi internazionali delicatissimi.
Di questo abbiamo parlato con il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo.

Non le sembra particolarmente azzardato tutto questo, così come considerare che la vittoria di misura di Boris Tadic a Belgrado apra le porte all'accettazione dell'indipendenza unilaterale del Kosovo?

Il processo della definizione dello status del Kosovo è talmente delicato e complesso che è un azzardo persino pensare di liquidarlo con la discussione di qualsiasi Parlamento nazionale. La vittoria di Tadic è una buona notizia per la Serbia che vuole accedere all'Europa ed una altrettanto buona per l'Europa che vede avvicinarsi una nazione che per troppo tempo e di certo non per colpe collettive è rimasta fuori dal circuito degli stati. Ritengo però un errore pensare che Tadic possa o abbia intenzione di barattare il Kosovo con l'ammissione della Serbia all'Unione Europea. Non può sfuggire a lui, e tanto meno a Kostunica, che legare l'accesso della Serbia all'Europa all'indipendenza del Kosovo significa sottostare ad un vero e proprio ricatto. La Serbia di Kostunica non è nuova ai compromessi. Milosevic è stato consegnato in cambio di una congrua ripresa degli aiuti finanziari, ma qui la situazione è diversa: la Serbia non sta cedendo un presunto criminale ad un tribunale internazionale, ma deve cedere la propria sovranità su una parte del paese che verrà gestita da chi deve ancora fare i conti con il tribunale internazionale. Se questo nella nostra logica è equivalente non lo è per quella di nessun serbo anche se smaliziato e desideroso di entrare in Europa come Tadic. Forse da noi la voglia di chiudere le partite in sospeso prima delle ferie induce a passi affrettati, ma in questo caso la fretta è del tutto fuori luogo ed è anche un cambio sostanziale della politica ufficiale. Non dimentico che la posizione italiana è sempre stata per la prosecuzione del dialogo e non per l'avallo delle iniziative unilaterali. Senza soluzione di compromesso tra le parti il problema del Kosovo è destinato a ingigantirsi e a costituire un precedente gravissimo per l'intero diritto internazionale. Il sostegno al dialogo, a prescindere dal tempo necessario, non mi sembrava una posizione assunta per traccheggiare, ma per esprimere una politica forte di rispetto del quadro del diritto internazionale di fronte a pressioni legittime o fuori luogo di altri paesi interessati a modificarlo in maniera subdola e surrettizia. In realtà, proprio con l'elezione di Tadic le prospettive di dialogo e di soluzione positiva e concordata aumentano e, a pensar male ci si coglie sempre, forse la fretta e l'ineluttabilità servono proprio ad evitare che il dialogo riprenda.

Per D'Alema l'indipendenza è «irreversibile» e «siccome i kosovari diranno "siamo indipendenti sotto l'autorità europea" l'Europa deve assumersi questa responsabilità. E intende farlo». Torna la scelta dell'indipendenza controllata del piano Ahtisaari, fallito nel negoziato. Stanno cancellando il ruolo delle Nazioni unite?

Che l'Europa intenda agire in modo unitario seguendo le indicazioni delle Nazioni unite è una buona notizia. Se invece l'unità è ricercata per smantellare quel poco di legittimità rimasta all'Onu, allora ne diventa l'estrema unzione. Ritengo che al di là delle parole apodittiche la stessa Unione Europea non abbia alcuna intenzione di alterare il quadro dell'Onu, anche se questo in Kosovo ha clamorosamente fallito. I motivi sono essenzialmente due: l'Unione non è in grado di sostituirsi alle Nazioni Unite neppure se lo volesse. Non ne ha la forza e non ne ha l'autorità neppure per una situazione regionale come quella del Kosovo proprio per le implicazioni globali che questa ha. Inoltre, l'Unione europea è già parte integrante del fallimento dell'Onu in Kosovo. Il cosiddetto pilastro della Ricostruzione era ed è gestito dall'Ue. Avrebbe dovuto rappresentare anche il perno per un cambio sostanziale di stile di vita delle popolazioni e avrebbe dovuto far decollare un Kosovo non vincolato alle politiche socio-economiche della ex-Jugoslavia. L'economia è il fallimento più grave del Kosovo, quello che ha vanificato un minimo di benessere che avrebbe consentito il ritorno dei rifugiati, l'attenuarsi delle rivendicazioni e delle vendette e il ristabilimento di una vera sicurezza. Tutto questo non è avvenuto e si sono sprecati anni e risorse infinite per essere ancora, e forse peggio, alla situazione del 1999. Se alle ultime elezioni oltre la metà dei kosovari albanesi non è andata neppure alle urne significa che hanno perduto la fiducia in tutte le organizzazioni internazionali che hanno preteso di dettare le condizioni. Oggi più che della negazione di qualsiasi compromesso da parte serba e albanese, bisognerebbe prendere atto della perdita di autorevolezza di tutte le organizzazioni internazionali agli occhi dei kosovari, serbi e albanesi, affrontando il problema con una buona dose di umiltà. Con la tendenza attuale si avalla una posizione estremista ed un atto unilaterale con altrettanto estremismo ed unilateralismo a scapito dell'intero quadro generale istituzionale.

La «missione civile e di polizia», votata dalla Ue martedì con l'astensione di Cipro che teme per la questione della Repubblica turco cipriota (e con i dubbi di Grecia, Slovacchia, Spagna e Romania), sarà sancita il 18 febbraio dai ministri degli esteri della Ue. Quale è il quadro di legalità di questa «missione» in rapporto alla Risoluzione 1244 (votata dal Consiglio di sicurezza Onu con assunzione della Pace di Kumanovo del giugno-luglio 1999) che riconosce invece la sovranità della Serbia sul Kosovo?

Per la sostituzione di una missione Onu con una di un'organizzazione regionale, come l'Unione europea, c'è bisogno di una nuova risoluzione. Invece l'escamotage che mi sembra sia stato adottato è quello di considerare la missione Europea sempre sotto il cappello dell'Onu perché comunque la missione della «presenza militare di sicurezza» rimane invariata sotto il controllo della Nato. In ogni caso senza una chiara presa di posizione del Consiglio di Sicurezza la missione parte malissimo. Tuttavia partirebbe malissimo anche se ci fosse una nuova risoluzione per una volta tanto sincera. Il cambio di responsabilità, la chiusura di Unmik, la decisione di lasciare Kfor e l'orientamento a riconoscere l'atto unilaterale d'indipendenza da parte dei kosovari albanesi dovrebbero essere sanzionati da una risoluzione che ammettesse il fallimento di Unmik e di tutte le iniziative dell'Onu; dovrebbe elencare quali nuovi sviluppi abbiano portato al passaggio di mano, e questi non ci sono. Dovrebbe ammettere l'impotenza internazionale di fronte alle pressioni di alcune lobby, dovrebbe ammettere l'inconsistenza del tessuto istituzionale kosovaro finora realizzato, dovrebbe ammettere che dopo nove anni il Kosovo non è in grado di gestire neppure un'autonomia controllata e nel frattempo lo si considera indipendente. Dovrebbe elencare tutti i paesi e i territori che possono rivendicare lo stesso trattamento di favore a partire da Taiwan, dall'Irlanda del Nord, dai Curdi iraniani, iracheni, turchi e siriani, dai paesi caucasici in lotta con la Russia, da quelli africani, dai Baschi in Spagna e Francia, dagli Uyguri, dagli Hui e dai Mongoli in Cina e così via. Dovrebbe dire quale regola fondamentale rimane valida per dare una parvenza di legittimità ad un ordine mondiale sfasciato. Dovrebbe infine dire cosa vogliono fare dei Balcani i soloni delle nazioni che si agitano nelle varie campagne elettorali. Gli accordi e la logica di Dayton cade e così cade la Bosnia Erzegovina, si riapre la questione della Voivodina, del Sandjak, degli albanesi della Macedonia e di quelli della valle di Presevo in Serbia, di quelli in Grecia, ecc. Ed infine dovrebbe indicare chi si debba far carico di gestire le conseguenze di un tale atto.

La Ue dichiara di muoversi su una «interpretazione creativa» dell'articolo 10 della Risoluzione 1244, quello sul ruolo del Segretario dell'Onu, che però, secondo l'articolo, dovrebbe intervenire per applicare la Risoluzione non cancellarla per accettare l' indipendenza unilaterale?

Creare significa trarre dal nulla. Tutto il mondo pensa che dietro l'Europa ci sia qualcosa di concreto oltre ai sogni della mia generazione e alle fantasie di quelle successive. Se non c'è nulla, allora che creino pure, ma che si preoccupino anche di gestire il casino creato.


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http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2008-01-30% 2014:10:47&log=invites

Articolo originale: "It's time to end Serb-Bashing"
The Guardian
http://commentisfree.guardian.co.uk/neil_clark/2008/01/
its_time_to_end_serbbashing.html
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5851

(Traduzione dall’inglese al francese di Jean-Marie Flémal)


14/01/2008

È tempo di mettere fine ai soprusi contro i Serbi
di Neil Clark

(Traduzione dal francese di Bettio Curzio di Soccorso Popolare di Padova)


Come i Serbi sono stati demonizzati, in quanto si sono opposti in permanenza alle ambizioni egemoniche dell’Occidente nella regione Balcanica.

Nel Cif dell’ultima settimana, [la sezione Libri commentari del « The Guardian »], Anna di Lellio, che è stata consigliere politico di Agim Çeku, ex Primo Ministro Kosovaro e, a suo tempo, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito di Liberazione del Kosovo [l’UCK], pretende che “il nazionalismo Serbo, che si era solo parzialmente attenuato dopo la caduta di Milosevic”, sta rinvenendo con le sue “vecchie tattiche”.
Di Lellio ha presentato ben poche prove delle sue affermazioni, eccezion fatta per una dichiarazione del parlamento Serbo ribadente – oh! orrore estremo! – che il paese è determinato a difendere la sua integrità, come gli è consentito dal diritto internazionale.
Ciò che, senza dubbio alcuno, “rinvengono a tutta forza” e secondo le loro “vecchie tattiche” sono i soprusi contro i Serbi messi in atto dai media occidentali, (ivi compreso, è triste a dirlo, il Cif), di cui Di Lellio resta una dei numerosi responsabili.
I Serbi sono stati demonizzati, non perché costituiscano la parte più responsabile delle guerre di secessione degli anni Novanta – e non lo sono stati! –, ma piuttosto perché hanno con costanza ostacolato la strada delle ambizioni egemoniche dell’Occidente nella regione Balcanica.

Per l’Occidente era del tutto spontaneo che la Jugoslavia venisse distrutta e che questo Stato indipendente e militarmente forte venisse rimpiazzato da una molteplicità di protettorati deboli e divisi dalla forbice del trio NATO-FMI-UE.
“Nell’Europa del dopo Guerra Fredda, non restava posto per un vasto Stato socialista dalle vedute indipendenti e resistente alla globalizzazione mondiale”, riconosceva George Kenney, ex alto funzionario per la Jugoslavia del Dipartimento di Stato USA [= gli Affari Esteri].
Il grande “crimine” dei Serbi è stato quello di non avere letto la sceneggiatura!
Di tutti i gruppi della ex Jugoslavia, erano i Serbi, la cui popolazione era distribuita in tutto il paese, che avevano più da perdere dalla disintegrazione del paese.

Nel corso di una riunione all’Aja nell’ottobre 1991, i dirigenti delle sei Repubbliche della Federazione furono invitati dagli “arbitri” della Comunità Europea a sottoscrivere un documento dal titolo “La fine della Jugoslavia sulla scena internazionale”.
Solo uno fra loro – il dirigente Serbo Slobodan Milosevic – rifiutava di firmare il “certificato di decesso” del suo paese.
Milosevic dichiarò in quella occasione: “La Jugoslavia non è stata creata per il consenso di sei uomini e non può essere distrutta adesso dal consenso di sei uomini!”
Per questa frase pro-Jugoslavia, Milosevic fu ricompensato da un decennio di demonizzazioni sui media occidentali.
Malgrado le sue vittorie elettorali assolutamente regolari in un paese dove 21 partiti politici operavano liberamente, Milosevic fu (ed è sempre) sistematicamente trattato da “dittatore”, una descrizione per la quale il suo biografo Adam LeBor, che nondimeno gli è sempre stato ostile da cima a fondo, ammette essere “scorretta”.
Alcuni tentativi di imputare a Milosevic fatti nei quali non aveva giocato il ben che minimo ruolo sono risultati ridicoli: in un articolo del The Guardian, nel 2006, Timothy Garton Ash, un professore di studi Europei, sottolineava come gli Sloveni “avessero tentato di rompere con la Jugoslavia di Slobodan Milosevic già nel 1991”, anche se, all’epoca, il Presidente della Jugoslavia era di fatto il Croato Ante Markovic (una correzione di questa affermazione veniva pubblicata in seguito).
Dato il modo abituale in Occidente di riscrivere la storia, “Slobo” e i Serbi hanno dovuto sopportare il biasimo dello scatenamento della guerra in Bosnia.
Infatti, l’uomo che ha dato fuoco alle polveri in questa guerra particolarmente brutale non è stato Milosevic, nemmeno sono stati i dirigenti Serbi di Bosnia, ma bensì l’ambasciatore degli Stati Uniti, Warren Zimmerman, che aveva persuaso il secessionista Bosniaco Alija Izetbegovic di rinnegare la sua firma sull’accordo di Lisbona del 1992, che aveva assicurato la scissione pacifica della Repubblica.
Nemmeno dopo l’accordo di Dayton del 1995, che aveva posto fine ad un conflitto assolutamente inutile, non ebbe un istante di requie la serbofobia dell’Occidente.

In Kosovo, obiettivi strategici hanno indotto l’Occidente a scegliere il campo dei fanatici dell’Esercito di Liberazione del Kosovo (UCK), un gruppo ufficialmente catalogato come organizzazione terroristica dal Dipartimento di Stato degli USA.
Nessuno, e certamente nessun Serbo di mia conoscenza, negherà che le forze Serbe abbiamo commesso atrocità durante le guerre Balcaniche e che i responsabili di queste azioni dovrebbero renderne conto davanti ad una corte di giustizia, (ma che non sia finanziata dalle potenze che hanno bombardato illegalmente il loro paese, la Serbia, quasi per dieci anni).
Ma un fatto provoca una collera senza misura nei Serbi: che le atrocità Serbe abbiano ricevuto grande risonanza sui media occidentali, mentre le atrocità perpetrate dagli altri partecipanti al conflitto siano state completamente passate sotto silenzio.
Nel momento in cui l’attenzione massiccia dei media si concentrava sulle ostilità, comunque su scala ridotta e del tipo “occhio per occhio e dente per dente”, fra le forze armate Jugoslave e l’UCK, nel 1998 e nel 1999, l’Operazione Tempesta – che, si stima, abbia espulso dalla Croazia qualcosa come 200.000 Serbi nel corso di una operazione che aveva ricevuto l’appoggio logistico e tecnico degli Stati Uniti – fu a mala pena menzionata.
Assolutamente nessuna pubblicità per massacri come quello del giorno del Natale ortodosso, nel 1993, di 49 Serbi del villaggio di Kravice, non lontano da Srebrenica. La città ha recentemente organizzato una cerimonia di commemorazione nel 15.esimo anniversario di questo orrore : non era presente un solo membro della cosiddetta “comunità internazionale”!
E oggi che il Kosovo balza nuovamente agli…onori della cronaca , i “demolitori dei Serbi” sono di nuovo in libera uscita, e in forze.
Una volta di più, la questione controversa viene descritta in termini manichei.

Quando sono stati messi sottosopra cielo e terra in conseguenza dei trattamenti inflitti agli Albanesi del Kosovo da parte delle forze Jugoslave nel 1998 e 1999, non si sono dette grandi cose relativamente alla campagna di intimidazioni dell’UCK, tradottasi nell’esodo – per stime successive – di circa 200.000 fra Serbi, Rom, Bosniaci, Ebrei e altre minoranze della Provincia, anche dopo che “la comunità internazionale” era arrivata a metterci il naso.
«Nessuna parte in Europa ha visto un fenomeno di segregazione simile a quello presente in Kosovo…In nessuna parte del mondo esistono disseminati tante città e paesi “etnicamente puri” come in questa Provincia tanto piccola. In nessuna parte si alligna nelle minoranze una così grande dimensione di paura di vedersi angariate, semplicemente in quanto minoranze.
Per i Serbi e le altre minoranze, che devono patire l’espulsione dalle loro case, le discriminazioni e le restrizioni, la proibizione di parlare nella loro lingua, il modello di violenza che hanno sopportato durante un così lungo tempo potrebbe sicuramente funzionare come norma di legge del nuovo Kosovo, finché proseguiranno le discussioni sul futuro Statuto.»
Questa la conclusione del rapporto del Gruppo dei Diritti delle Minoranze relativamente al Kosovo “liberato” – ma attenzione, le affermazioni del Gruppo sono quelle di un guastafeste che non biasima i Serbi!
L’indipendenza del Kosovo è una semplice questione di autodeterminazione, questo ci viene continuamente ripetuto. Comunque, il medesimo principio non si applica ai Serbi di Bosnia, che si auguravano di ricongiungersi alla Serbia.
Al posto di farsi campioni del secessionismo Kosovaro, in totale disprezzo del diritto internazionale, la Gran Bretagna e l’Occidente farebbero molto meglio a riconsiderare la loro politica nei riguardi della Serbia.
È troppo tardi per annullare i crimini del passato – come la barbara campagna di bombardamenti della NATO del 1999 – ma, se si modificasse la politica della NATO relativa al Kosovo, questo costituirebbe almeno un avvio verso la correzione di ingiustizie degli ultimi vent’anni. È proprio arrivato il tempo di concedere un respiro ai Serbi!


Documento messo in diffusione in francese dalla lista JUGOINFO, curata da componenti del
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – ONLUS http://www.cnj.it/