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Libera volpe in libero mercato

di Alessandro Robecchi - 10/01/2006

Fonte: Comedonchisciotte

 
Settimana nera. L'ho passata cercando di fare quel che tutti in Italia dicono che si deve assolutamente fare: dividere affari e politica. Ho cominciato con martello, scalpello e un paio di occhialoni per proteggermi dalle schegge. Oltre alle dita acciaccate e sanguinanti non ho ottenuto molto, intanto per la complessità della materia (metodo compagni: devo staccare la politica dagli affari o gli affari dalla politica?). E poi, sinceramente ad ogni martellata mi chiedevo: avrò colpito la politica o gli affari? Sono dunque passato alle reazioni chimiche, anche qui con effetti disastrosi. Ho provato con la preghiera, giusto per non lasciare niente di intentato e per esplorare il brivido delle nuove mode americane. Niente. Anche la magia nera, bianca e a pois non ha avuto effetti. Credo che mi arrenderò prima di provare col napalm: alla fine forse, dividere la politica dagli affari non è così importante. Forse sarebbe più decisivo che qualcuno spiegasse quale politica e quali affari, se gli affari possono servire per fare una certa politica, e se sì quale, per chi, per cambiare cosa.
Dannazione, la faccenda si fa complicata. Chi crede alla «mano invisibile», a quella specie di automatico toccasana che è il mercato non dovrebbe porsi certi problemi. Libera volpe in libero pollaio, si sa. «Gli affari sono affari» è un motto vecchissimo e immortale, che in pratica rivendica cinismo e invoca assenza di regole. Di fronte agli affari, intende quella comoda formuletta, non c'è santo che tenga, e figurarsi se ci si ferma davanti alla diga della politica. Che scemenza.

Il capitalismo italiano, poi, figurarsi, fatto com'è di mezze figurette, gente che si sente onnipotente per un paio d'ore, fortune chiuse in famiglia, innovazione zero e giochi finanziari tanti, ma sempre dilettanteschi e campati per aria, un po' ridicoli già di loro e resi a volte esilaranti dai loro inventori furbetti.

Un capitalismo che è sempre andato dalla politica con il cappello in mano, a chiedere questo o quel favore, questo o quell'appoggio, questo o quell'aumento di tariffe, questo o quell'intervento calmieratore o liberatore del mercato. Tutto secondo la norma, insomma: il mercato è cinico e se si deve servire della politica lo farà senza alcuna remora. Bonaiuti tuona che Berlusconi non ha fatto, né fa, né farà affari con la politica? Bene, è una nota divertente e goliardica che nessuno può ascoltare senza ridere di gusto. Intanto Berlusconi una banca ce l'ha, e dunque, la questione non si pone, egli non deve chiedere al telefono: «Abbiamo una banca?».

Mi aspetterei invece qualche sforzo analitico in più da chi alla manina santa e onnipotente del libero mercato non dovrebbe credere più di tanto, come la sinistra che si agita oggi intorno alle accuse di affarismo. I disastri di quella mano libera sono sotto gli occhi di tutti, i ricchi sono paurosamente ricchi e i poveri spaventosamente poveri.
Chi vede tutto questo (chi non lo vede è molto probabilmente in malafede) non dovrebbe porsi il problema, dividere affari e politica non dovrebbe essere una sua emergenza. Anzi il contrario: che sia la politica a dirigere l'economia, a indirizzarla verso fini meno ingiusti, verso una distribuzione più equa. Lasciato solo, «libero» come si ama dire, il mercato crea diseguaglianze e ingiustizie. Dunque va controllato, indirizzato e calmierato nel senso di una sua azione più equa sui cittadini e sulla società.

A questo punto, come si vede, il problema non sarebbe quello di dividere politica e affari, ma di stabilire un primato della prima sui secondi. Antico sogno dalle parti del socialismo. E qui sta il problema vero: che di gente, partiti, leader, formazioni politiche che vogliono (o anche soltanto sognano) questo se ne vedono poche, e assolutamente minoritarie. Tutti gli altri, sia chi vede la politica come un'ovvia prosecuzione dei suoi affarucci, sia chi in questi giorni si indigna e si imbizzarrisce e si scandalizza per essere accusato di mischiare affari e politica, sono fieramente concordi nel difendere il mercato libero.
Come si dice: uniti nella lotta e amici stretti, anzi complici, della libera volpe nel libero pollaio.

Forse più che scalpellare via gli affari dalla politica bisognerebbe dare qualche colpetto di scalpello a questo totale, diffuso, monolitico pensiero unico liberista sbandierato sia da chi fa gli affari sia da chi si vanta di non farli. Con tutto il rispetto per le questioni morali, s'intende, quando si passerà finalmente alle questioni politiche?