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Iraq, la ricostruzione che non c'è

di Ornella Sangiovanni - 16/02/2008




Dove vanno i soldi per la ricostruzione in Iraq? Mentre gli iracheni continuano a soffrire per la mancanza di elettricità, acqua pulita, e di servizi essenziali, i 20,9 miliardi di dollari approvati dal Congresso Usa dal 2003 sono stati quasi tutti spesi, secondo l'ultimo rapporto trimestrale del SIGIR, l'Ispettore generale per la ricostruzione in Iraq, pubblicato a fine gennaio.

Il 2008 sarà un "anno di transizione", dice il responsabile di questo ufficio, Stuart Bowen jr., e il ruolo degli Stati Uniti sarà quello di fare da supporto agli iracheni.

In un altro fondo, per la formazione dei funzionari di Baghdad, di soldi ce ne sono in abbondanza – 3,3 miliardi di dollari – ed è stato speso meno del 20%, si apprende leggendo il rapporto.

Ora la parola d'ordine sembra essere "capacity building": ovvero, mettere in grado gli iracheni di sviluppare le proprie capacità e competenze per poter fare da soli.

Il Dipartimento di Stato, quello della Difesa, e quello del Tesoro stanno finanziando programmi di formazione per i funzionari governativi. USAID, l'agenzia statunitense per gli aiuti allo sviluppo, nell'agosto 2006 ha iniziato un programma triennale da 209 milioni di dollari, Tatweer, che fornisce "consiglieri" statunitensi a dieci ministeri.

Ma anche la formazione sta incontrando gli stessi problemi della ricostruzione: ovvero una gestione incompetente.

Sia il SIGIR che il Government Accountability Office (GAO), il braccio investigativo del Congresso, hanno sottolineato che le azioni degli Usa mancano di coordinamento e di un focus.

Ma c'è anche il fatto che non si sa in che modo Baghdad spenda i soldi.

Un sistema computerizzato di gestione finanziaria da 26 milioni di dollari per il governo, dopo avere avuto problemi di vario tipo, è stato sospeso nel giugno dello scorso anno. Il colpo di grazia l'ha dato il rapimento di un contractor britannico, e delle sue guardie del corpo, avvenuto in maggio, in un edificio del ministero delle Finanze nella capitale irachena.

Agli iracheni però il sistema non era mai piaciuto, e nei ministeri la gestione delle spese continua a essere cartacea, con una burocrazia farraginosa che fa sì che ci vogliano una decina di firme per l'approvazione di qualunque progetto il cui costo superi i 10 milioni di dollari.

Ma, soprattutto, il governo di Baghdad ha problemi a spendere il suo cosiddetto capital budget – i soldi destinati alla ricostruzione.

Secondo il rapporto del SIGIR, nel 2006 l'Iraq aveva speso solo il 23% dei 6,2 miliardi di dollari stanziati.

E l'anno scorso ha avuto problemi simili.

Oltretutto, non si sa quanto è stato speso. La Casa Bianca, in un rapporto del settembre scorso sui cosiddetti "benchmarks", i parametri che dovrebbero misurare i progressi fatti in Iraq, dava il 24% (su un totale di 10,1 miliardi di dollari), al 15 luglio 2007. Ma il Dipartimento del Tesoro parla del 15%, mentre, secondo un rapporto del GAO, pubblicato il 15 gennaio, all'agosto 2007 era stato speso solo il 4,4%, ovvero meno della metà della percentuale dello stesso periodo dell'anno precedente.

Cifre aggiornate della stessa agenzia, che dice di utilizzare i dati del ministero delle Finanze di Baghdad, mostrano che all'ottobre 2007 la percentuale era salita solo all'8%.

Un pozzo senza fondo?

In questo contesto, non stupisce che i donatori internazionali non abbiano tenuto fede agli impegni presi alla conferenza di Madrid dell'ottobre 2003.

Secondo il rapporto del SIGIR di cui si è detto, solo il 16% della cifra promessa è stato effettivamente pagato: circa 2,5 miliardi di dollari a fronte di un totale di 15,8 miliardi.

Su una quarantina di Paesi donatori, quelli che hanno maggiormente disatteso gli impegni sono i ricchi produttori di petrolio vicini dell'Iraq, e alleati degli Stati Uniti.

Kuwait e Arabia Saudita, ad esempio, hanno dato finora rispettivamente solo il 27% e il 17,4 % dei 500 milioni di dollari che entrambi avevano promesso a Madrid, secondo un rapporto del GAO pubblicato nel dicembre scorso.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno speso circa 62,6 milioni di dollari dei 215 milioni su cui si erano impegnati.

Le difficoltà dell'Onu

Sul fronte dell'Onu le cose non è che le cose vadano molto meglio.

Anche se al 31 dicembre 2007 nell'UNDG Iraq Trust Fund, il fondo gestito dalle Nazioni Unite dell'International Reconstruction Fund Facility for Iraq (IRFFI), nel quale confluiscono i soldi dei Paesi donatori (l'altro fondo è gestito dalla Banca Mondiale), c'erano 1,28 miliardi di dollari, di cui 1,08 miliardi approvati per finanziare un totale di 134 fra progetti e programmi congiunti (per il 65% già spesi a fine novembre), i risultati non si possono certo definire brillanti.

Sono le stesse agenzie dell'Onu a sottolinearlo, quando riferiscono che una percentuale compresa fra l'11 e il 22% dei loro progetti ha avuto gravi problemi di implementazione, e il 55-80% problemi "moderati".

Difficoltà anche per il completamento dei progetti, che complessivamente hanno subito ritardi compresi fra i 12 e i 24 mesi rispetto ai tempi inizialmente previsti, dice un rapporto dell'UNDP dell'ottobre scorso.

Guy Siri, vice coordinatore umanitario e per la ricostruzione dell'UNAMI, la missione delle Nazioni Unite di assistenza all'Iraq, intervistato al telefono di recente dal quotidiano Usa Today, ha sottolineato le difficoltà in cui opera l'organizzazione internazionale.

"Siamo limitati dal fatto che, secondo le nostre regole, non possiamo andare in giro", ha spiegato il funzionario Onu. "Non siamo in grado di vedere di persona i risultati delle nostre azioni. E' una delle ragioni principali del ritardo nei progetti".

Anche Rick Barton, co-direttore del progetto sulla ricostruzione dopo i conflitti al Center for Strategic and International Studies di Washington, citato dal New York Times, dice che è difficile identificare con precisione tutti gli indicatori di progresso economico in Iraq. Proprio per questo, però, sottolinea, l'amministrazione Bush, tenendo conto di queste difficoltà, avrebbe dovuto essere cauta e non strombazzare progressi prima di avere dei dati di fatto.


Dati di fatto che è difficile procurarsi.

"Tanto per cominciare, i dati in questi posti sono estremamente inattendibili, principalmente perché nessuno esce sul campo per vedere cosa succede", osserva Barton. "Ma quello che probabilmente è preoccupante è che, sapendo questo, non bisognerebbe utilizzarli per creare impressioni sbagliate, o impressioni false, e far finta di sapere cosa succede".



Il rapporto del SIGIR (30 gennaio 2008)


U. S. Government Accountability Office, Iraq Reconstruction. Better Data Needed to Assess Iraq's Budget Execution (15 gennaio 2008) [pdf] (15 gennaio 2008) [pdf]