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L'etica ontologica di Spinoza

di Andrè Tosel - 18/02/2008

Fonte: emsf

 

 

 

  • Quali sono gli elementi di originalità di Spinoza nell'ambito dalla tradizione razionalistica? (1)
  • Nell'ambito di questa maniera di concepire l'essere, c'è un posto specifico per l’etica? (2)
  • Spinoza non si limita a criticare il finalismo teologico o teologizzante. È anche un critico radicale dell'idea del libero arbitrio, dell'idea di "dover essere". In queste condizioni è veramente possibile costruire un'etica? (3)
  • Professor Tosel, Lei ha sottolineato il rilievo che ha in Spinoza l'idea di potentia. Come è coinvolta l'idea di 'potenza' nel quadro della fondazione di un'etica? (4)
  • In che senso si può ricondurre l'etica di Spinoza ad una "geometria delle passioni", che rapporto sussiste in essa tra ragione e mondo delle passioni? (5)
  • Lei, Professor Tosel, ha insistito sulla dimensione mondana e materialista dell'etica di Spinoza, ma quest'etica, in ultima analisi, non finisce con lo sfociare nel misticismo? (6)
  • È possibile per Spinoza pensare ad una storia, ad un’evoluzione delle diverse forme di vita, che si concluda in uno stadio in cui l’uomo sia in grado di vivere esclusivamente all'insegna della ragione (7)
  • Nella filosofia di Spinoza qual è la natura specifica della politica e che rapporto lega la politica all’etica? (8)

 

 1. Professor Tosel, quali sono gli elementi di originalità di Spinoza nell'ambito dalla tradizione razionalistica?

Si può dire che l'originalità di Spinoza consista nell'aver completamente integrato la scienza moderna, la scienza galileiana, in una filosofia, in una teoria generale dell'essere o ontologia, che ne radicalizza la matrice razionalista. In questo senso lui, che è un cartesiano, va più lontano di Cartesio perché elimina le divisioni che Cartesio ancora lasciava sussistere all’interno dell'essere. Come Cartesio, Spinoza vuole assolutamente integrare la scienza moderna nell’ambito di una definizione generale dell'essere che si fondi sui concetti di necessità e determinismo. A differenza di Cartesio però egli non teorizza le dualità con cui questi, ad esempio, separava il mondo dei corpi da Dio. Dio rimaneva infatti, nella metafisica cartesiana, un principio spirituale, uno spirito creatore, e ciò in aderenza a tratti fondamentali della tradizione speculativa. Cartesio inoltre sostiene che esiste una grande, radicale, differenza tra l'uomo, che è un'unità di corpo e di spirito, ed il resto della natura. Per Spinoza, bisogna riunificare questi dualismi, superarli, per capire la grande lezione della scienza della natura, che si svolge tutta nella prospettiva dell’unità del mondo dei fenomeni.

È quindi soprattutto il Dio di Spinoza, la teoria generale della natura, che costituiscono una innovazione nel campo della filosofia: Dio, la sostanza, è uguale alla natura - "deus sive natura" - è la grande affermazione spinoziana, l'affermazione "scandalosa", quella che fa di lui un pensatore moderno in un senso diverso da tutti gli altri. Causa sui, dice Spinoza per definire Dio: Dio è causa di se stesso, e, di conseguenza, non ha bisogno di essere pensato attraverso gli schemi, le categorie, della creazione o dell'emanazione. Se questo è il punto di vista fondamentale, Dio "traspare" nel mondo, poiché tutto quanto si produce in natura, nella natura che è Dio, si trova in Dio, e Dio consiste in questa stessa produzione. È quindi quest'unità di Dio con la natura, questo nuovo concetto dell'essere come prodotto di se stesso per se stesso, che, producendosi autonomamente, produce tutto quanto può esistere, a costituire la novità assoluta dell’ontologia di Spinoza, del suo panteismo.

Si può allora dire, in sintesi, che la novità radicale di Spinoza è la sua diversa maniera di concepire l'essere.

Spinoza dice che Dio si produce in virtù di se stesso e che, producendo se stesso, produce un'infinità di cose finite - le res particulares - in un'infinità di modi. C'è quindi una sorta di simultaneità o coincidenza all'interno dell'essere tra l'atto attraverso il quale Dio si produce e l'atto attraverso il quale egli produce l'universo. Si può dire che, in generale, Spinoza concepisca l'essere come una produzione: e pensare l'essere come una produzione significa effettivamente rinnovare in modo radicale la metafisica. Conducendo all’estremo il discorso, è possibile affermare che per Spinoza la natura è l'unità del suo processo produttivo e dei prodotti che sono tali all'interno di questo processo produttivo.

Spinoza supera le prospettive di Cartesio e di Leibniz. L'idea che tutto venga prodotto, che nulla venga creato, che nulla derivi da un principio che in qualche modo sarebbe al di qua del processo produttivo della natura naturans, fa emergere la natura come una struttura ontologica unitaria. L'unità non significa astrazione, eliminazione delle differenze, in quanto è "unità nella distinzione"; Dio non finisce mai di produrre un'infinità di modi e tutti i suoi prodotti sono chiaramente intelligibili in se stessi. E questo è il secondo elemento fondamentale dello spinozismo: se nel primo viene radicalizzato il grande principio del materialismo secondo cui nulla nasce dal nulla - ex nihilo nihil fit - e, di conseguenza, viene confutato il concetto di "creazione", superando secoli di teologia, il secondo consiste nell’affermare che ciò che viene prodotto è in sé intelligibile.

L'intelletto umano non è in grado di sapere tutto, ma quel che sa lo conosce esattamente com'è in sé, per cui anche la teoria gnoseologica è fondata dal principio della necessità. La necessità è l'unica e sola determinazione dell'essere-sostanza e l’attività conoscitiva dell’intelletto, che ne è un attributo fondamentale, può quindi cogliere parzialmente l’ordine in sé delle cose. Credo che anche in ciò emerga l'originalità assoluta del pensiero di Spinoza ovvero nel non introdurre suddivisioni nell'essere, nel non pensare che l’essere abbia dentro di sé diverse, indipendenti, dimensioni. La natura è un tutto, un tutto organizzato secondo modalità diverse; ai suoi differenti livelli di complessità corrisponde un’intelligibilità specifica, che non infrange però mai il fondamentale principio della causalità e del determinismo. Attraverso tale "rivoluzione ontologica", Spinoza offre la possibilità di riesaminare il rapporto dell'uomo con la natura, il rapporto dell'uomo con il proprio corpo, il rapporto dell'uomo con se stesso e le sue relazioni con gli altri, che segnano l’ambito della politica.

2. Nell'ambito di questa maniera di concepire l'essere, c'è un posto specifico per l’etica?

L'etica è lo scopo fondamentale di Spinoza. Non è un caso che la sua opera principale, quella che lui ha completato alla fine della vita, si intitoli Etica. Credo che sia veramente l’intenzione di fondare un etica su base ontologica a determinare la particolarità del pensiero di Spinoza. Bisogna percorrere molti stadi all’interno della struttura ontologica da lui definita, la quale ha al suo vertice l’essere, la sostanza-Dio, e che si specifica con la teoria degli attributi, della produzione dei modi; bisogna analizzare la natura nella sua intelligibilità, per poter effettivamente considerare l'uomo come la parte di un tutto ed evitare di vederlo in una dimensione a sé stante.

Spinoza esce così dalla tradizione religiosa occidentale, ebraica e cristiana, per quel che concerne la sua teoria dell'essere, perché il fatto che questo sia in sé produzione esclude qualsiasi interpretazione del senso dell’essere in termini di creazione o emanazione. È sulla base della sua grande svolta ontologica, che Spinoza sarà in grado di costruire una originale teoria etica evitando qualsiasi elemento di moralismo. Egli liquida ogni "visione morale" o moralista del mondo fondata su valori che siano oggetto di un'intuizione specifica, su norme assolute che appartengano ad un sistema ontologico-ideale fissato una volte per tutte.

L'uomo è un essere naturale e dev'essere incluso nell'ambito della produttività infinita della natura, come una parte, un "frammento" di questa stessa produttività. È determinando il suo posto in un sistema di relazioni naturali, che l'uomo accede alla comprensione di se stesso e arriva a comprendere meglio la propria capacità di pensare e ad usare meglio la propria capacità di produrre. Questo implica un nuovo rapporto con il corpo, in cui si rifiutano i principi normativi dell'etica, i suoi tradizionali concetti, il bene e il male in sé, il peccato, l'ingiustizia, le nozioni dell'antropologia tomista e le possibili conseguenze che questa poteva avere nell'era culturale in cui Spinoza si è formato, segnata dalla riforma religiosa nei Paesi Bassi del XVII secolo.

È quindi la posizione di un'ontologia laica, immanentistica, che condiziona una giusta visione del problema etico, al di fuori di ogni moralismo, di ogni "visione" morale del mondo. Non si può incatenare la natura ad un Dio trascendente, antropomorfo, che interverrebbe a regolarne il corso, con la sua saggezza e con la sua superiore volontà. Non si deve incatenare l'uomo ad una visione antropologica che gli assegna un privilegiato posto nella natura, sul fondamento del quale egli possa realizzare, oltre la natura, la sua superiore essenza rendendosi così "omologo" a Dio. In tutto ciò, Spinoza riconosce il segno delle aspirazioni, dei desideri incontrollati dell'uomo: è l’origine immaginifica di tutte le determinazioni che si attribuiscono a Dio come persona. La perfezione della volontà, dell'intelletto, per Spinoza, non sono altro che proiezioni dell'umano desiderio in Dio. La visione moralista del mondo non è che l’esplicazione di una idea che non trova una collocazione nell'essere, di un desiderio, d'una forza d'essere che non riesce a riconoscere se stessa in quanto prodotta, in quanto effetto nella natura, e che vuole, di conseguenza, essere principio e causa.

3. Spinoza non si limita a criticare il finalismo teologico o teologizzante. È anche un critico radicale dell'idea del libero arbitrio, dell'idea di "dover essere". In queste condizioni è veramente possibile costruire un'etica?

Non solo è possibile costruire un'etica attraverso la critica del libero arbitrio, della finalità e del dover essere, ma è indispensabile passare attraverso questa critica. Non si può porre il problema dell'azione dell'uomo e delle sue possibilità, se si resta legati ad un concetto dell'uomo che lo definisce come un essere a parte nella natura, un essere che si ritiene abbia un potere di dominio su tutte le cose naturali, che si ritiene padrone di se stesso e, al tempo stesso, padrone dell'universo. Credo che in questa concezione di Spinoza si trovi un elemento di "modernità non moderna", di una critica lungimirante della modernità. Egli non accetta di formulare, come faceva Cartesio, un progetto, faustiano o prometeico, di dominazione della natura.

Per Spinoza partire dal libero arbitrio significa porre l'uomo al centro di tutto, significa considerare la coscienza, il rapporto immediato col corpo, il rapporto non riflesso con se stesso, come un principio, ignorando che quel tanto di azione, attività, che si attribuisce all'uomo, ha senso soltanto se si capisce cosa la determina, cosa la produce come effetto. Non può esserci liberazione dall’idea di una "causalità umana" se non con la comprensione della necessità. Da questo punto di vista, Spinoza è uno di quei pensatori che, prima di Hegel, prima di Marx, svilupperà l'idea che la libertà non può essere altro che la "comprensione della necessità" e che, di conseguenza, il nostro rapporto spontaneo con l'essere, il rapporto nel quale pensiamo di avere il dominio delle cose, il libero arbitrio, deve essere criticato in quanto rapporto immaginario con la realtà.

La critica a questa idea del libero arbitrio non implica la radicale svalutazione delle nostre percezioni, dei sentimenti, della sensibilità. Significa che si deve purificare il "rapporto con il mondo" per arrivare veramente a formarci un'idea adeguata del nostro posto in esso, della nostra stessa struttura naturale. Per Spinoza, la finalità, il libero arbitrio, la coscienza, sono l'illusione costitutiva dalla quale bisogna staccarsi per lasciare posto alla scienza e alla filosofia. Bisogna comprendere il sistema relazionale che individua e distingue l’uomo e, partendo da questo, costruire, produrre, in base alle nostre possibilità e condizioni, sistemi di vita adeguati per appropriarci dell'essenza delle cose. Tali sistemi adeguati sono anche degli schemi per intervenire ed operare nel mondo, il che ci permette di procurarci le cose di cui abbiamo bisogno, di costituire le reti della comunicazione e le basi della comunità.

In Spinoza è dominante l'idea che la conoscenza non sia mai conoscenza pura, che non esista una gnoseologia pura, in quanto questa si costruisce sempre sul fondamentale elemento del "rapporto col mondo", su quelle che possiamo chiamare "forme di vita" preconoscitive, sul rapporto immediato, esperienziale con le cose, prima dell’intervento della critica e della formazione di idee "adeguate". È quella che Spinoza definisce conoscenza del "primo tipo", la quale è legata ad un grado minimo di realizzazione del nostro desiderio d'esistenza, del nostro conatus essendi, ovvero dello sforzo per l’autoconservazione nell'essere. In questo caso, l’uomo è legato ad una situazione di passività, di eteronomia e di condizionamento, è parte passiva della natura, parte prodotta piuttosto che produttiva, attiva, e si trova quindi nell’impossibilità di realizzare le proprie capacità. C'è uno sviluppo parallelo della conoscenza e della capacità di vivere ed agire, nonché della vita affettiva, poiché ciò che corrisponde ad una conoscenza del primo tipo, cioè ad una situazione di passività del nostro corpo, dal punto di vista della vita affettiva è realmente un'esperienza nella quale il nostro potere d'esistere è sminuito, è dominato dal potere delle cause esteriori. Emerge, in questa situazione, il sentimento negativo per eccellenza, che tutto il pensiero materialista rifiuta: la tristezza, il dolore, la sofferenza.

Spinoza individua una specie di "storia modale" all'interno della sostanza infinita. Questa storia, rispetto alla totalità della natura-sostanza, è parziale, "interna". È nel suo corso, attraverso diverse modalità, che l’uomo può giungere alla formazione di idee adeguate e diventare, in certe condizioni e sotto certe forme, "ragionevole". Diventare ragionevoli non significa semplicemente comprendere la legge delle cose, comprendere i rapporti di reciproca appartenenza delle cose, ma significa anche dare al nostro corpo la possibilità di estendere le relazioni con altri corpi, di partecipare ad una natura comune; non esiste un dominio dell’uomo nell'appropriazione delle cose della natura. Si pone, a partire da qui, il problema dell'associazione, della comunicazione, con i corpi che ci somigliano, con altri corpi umani; questo implica, sul piano affettivo, la possibilità del passaggio dal sentimento della tristezza a quello della gioia, della trasformazione dei rapporti di eteronomia, di dipendenza, di schiavitù, in uno stato di liberazione, che è tale sempre soltanto all'interno, e per mezzo, della necessità.

4. Professor Tosel, Lei ha sottolineato il rilievo che ha in Spinoza l'idea di potentia. Come è coinvolta l'idea di 'potenza' nel quadro della fondazione di un'etica?

La potenza, potentia, è davvero il fondamento dell'etica. Per comprenderne il significato bisogna risalire in primo luogo alla definizione che Spinoza dà della struttura costitutiva dell'uomo, all'antropologia spinoziana. Egli sostiene che la sostanza infinita, che è Dio o la natura, contiene effettivamente un'infinità di attributi. Degli attributi, di un identica sostanza, noi ne però conosciamo soltanto due: l'estensione, la materia, e il pensiero. Spinoza riformula la teoria cartesiana dell'interazione delle sostanze, nel quadro di quel che si può definire teoria del parallelismo degli attributi ed ancora una volta apre una nuova via, una nuova definizione dell’"essenza dell'uomo". Perché una nuova antropologia? Perché, se della sostanza non conosciamo che due attributi, l'estensione della materia ed il pensiero, noi umani siamo costituiti dall'unità di due modi finiti di questi attributi sostanziali: siamo un corpo e, d'altra parte, siamo lo spirito. Spinoza dice che lo spirito dell'uomo, l'anima dell'uomo è l'"idea del corpo". Senza bisogno di analizzare i rapporti di reciproca influenza tra corpo e spirito, Spinoza è l'unico, nel XVII secolo, che sviluppa una teoria libera dalle difficoltà dell'interazione e dell'"occasionalismo" di Malebranche, e che, contemporaneamente, definisce, in modo non aporetico, l'individualità umana come l'unità delle modificazioni (degli attributi estensione e pensiero) della sostanza. In questa prospettiva, si attua per Spinoza la fondazione della conoscenza, sulla base della strutturale corrispondenza dell'ordine e della connessione delle cose con l'ordine e la connessione delle idee.

Quello che è un principio generale per comprendere la legge dell'essere vale anche per l'uomo. Noi non siamo che corpo, ma abbiamo un'idea di quel che accade nel corpo. È a partire da questa idea che ci si può realmente mettere in cammino per passare da un primo ad un secondo tipo di conoscenza, dall'immaginazione alla ragione, dal dominio delle passioni negative - tristezza, dolore - e dal condizionamento dell'ambiente esterno, ad un rapporto "positivo" che consente l'appropriazione o la trasformazione di questo stesso mondo esterno. Così effettivamente ritroviamo la potenza, la potenza della natura che, per noi uomini, si esprime nelle due forme d'essere qualitativamente diverse, ma unite, della materia e del pensiero, che si esplica sotto il doppio ed unico registro della potenza del nostro corpo e del nostro spirito. La potenza del corpo è la capacità di agire, cioè di produrre esteriormente azioni ed operazioni delle quali siamo responsabili, le quali possono davvero venirci attribuite. Inoltre, se il nostro corpo può agire, il nostro spirito può pensare adeguatamente alle cose, al nostro stesso corpo. Da questo punto di vista, così come ha introdotto la materia in Dio e "divinizzato" l'estensione, la materia, Spinoza rivaluta la dimensione del corpo. Egli eleva un "inno alla corporeità": non al corpo esaltato come potenza assoluta, ma al corpo dell'uomo che è innanzitutto il corpo del lavoro, della fatica, della sofferenza e che può diventare il corpo della gioia, della soddisfazione.

È questo doppio registro della potenza del corpo e della potenza del pensiero che costituisce la chiave del problema etico. La morale di origine religiosa infatti disprezza il corpo, non prevede la possibilità della liberazione delle sue capacità, non sa in fondo neanche cosa sia. È in quanto Spinoza riconosce lo statuto fondamentale della corporeità che conferisce una nuova potenza allo spirito. Come spiegava, le due potenze sono uguali, quel che accade nel corpo non può contrastare lo spirito, se lo spirito lo comprende, così come quel che lo spirito comprende non può non liberare le potenze del corpo. Se vi è, apparentemente, un'equivalenza tra lo statuto della materia e quello del pensiero, in realtà sembra determinarsi però un leggero squilibrio perché bisogna sempre, in primo luogo, far riferimento al corpo. Lo spirito può produrre idee adeguate, soltanto perché esso è, fondamentalmente, l'idea del corpo. Da questo punto di vista, si potrebbe dire che la teoria spinoziana mostri un suo lato aporetico in quanto incentrata in maggior misura sull’elemento materialistico.

5. In che senso si può ricondurre l'etica di Spinoza ad una "geometria delle passioni", che rapporto sussiste in essa tra ragione e mondo delle passioni?

Effettivamente, essa è stata interpretata come una "teoria geometrica delle passioni", ma non direi che questa definizione sia negativa. L’interpretazione, la spiegazione razionale - "geometria" -, delle passioni (che rappresenta un elemento nuovo, non tanto rispetto a Cartesio, ma rispetto alla teoria dell'epoca scolastica o dell'era antica), secondo Spinoza, ci fa accedere alla realtà del pensiero, alla dimensione della ragione dell’uomo. La determinazione specifica dell'uomo, che viene prodotto attraverso la sostanza, è l’essere un corpo congiunto ad un anima, ad una mente. Spinoza cerca di analizzare il modo in cui le passioni si strutturano all’interno dell’uomo e come, a partire da queste, la nostra natura sia in grado di determinarsi in forme diverse e sempre più evolute. Nella teoria delle passioni si osserva come la struttura specifica dell'uomo si costituisce all'interno della teoria della natura.

Il primo stadio è quello del "desiderio", della forza con la quale ci conserviamo nell'esistenza, che non è ancora condizionata dalla ragione. Questo desiderio ci lega alla natura, a noi stessi, secondo due modalità fondamentali: nella prima l’uomo incontra cose che si accordano con l'essenza del suo corpo. Si tratta allora di un rapporto "positivo" che suscita passioni gioiose; il sentimento di gioia è una passione attiva, è un movente della dinamica delle passioni. Se invece incontriamo corpi che non sono in armonia con noi, che alterano l’equilibrio interno alla nostra persona, lo mettono in pericolo o lo distruggono, allora realmente proviamo un sentimento che sminuisce il nostro senso dell'esistenza, proviamo tristezza. Gioia e tristezza sono dunque le due modalità fondamentali della vita passionale, a partire dalle quali Spinoza definisce tutto il mondo delle passioni. Quella di Spinoza è una maniera assolutamente laica di elaborare una teoria normativa dell'uomo, un uomo che dovrebbe cioè essere in tutto e per tutto padrone della propria vita, a partire dal dominio del desiderio fino all’esercizio della ragione. Nell'antica teoria platonica si pongono in un rapporto gerarchico le diverse facoltà dell'uomo: il desiderio costituisce la parte inferiore della natura umana, sopra alla quale si trovano la sua dimensione etico-politica e quella teoretica. Spinoza delinea invece un’indagine sulla natura umana sempre nell’ambito delle sua effettiva esistenza nel mondo, e non in una prospettiva idealizzata; bisogna innanzitutto analizzare l'uomo così com'è e non sostituirlo con una astratta immagine ideale.

L’intento di Spinoza è mostrare come la vita passionale, gradualmente, si trasformi in vita razionale. E questo è estremamente importante, perché la vita razionale non si determina in base alla ragione intesa come un'istanza trascendente, facoltà autonoma e autosuffuciente, o presupposto trascendentale: c'è una certa genesi della vita razionale, che si struttura a partire da ciò che la precede, a partire dal desiderio. La ragione non è l'"antagonista" del desiderio, non è l'inverso o la negazione delle passioni fondamentali: la ragione, in realtà, è una "trasformazione" del desiderio. Troviamo in Spinoza, a mio giudizio, una teoria quasi materialistica della ragione: per definire la ragione, bisogna pensare alla spontaneità di uno spirito che pensa idee adeguate, e, poiché lo spirito è l'idea del corpo, ciò significa in realtà pensare adeguatamente il corpo. La vita razionale è anche la vita del corpo liberato dalla passività, dall'eteronomia, di condizionamento esteriore.

La vita razionale ha quindi una dimensione intrinsecamente "fisica" e si manifesta con uno specifico sentimento che, per Spinoza, è l’originario sentimento filosofico: la gioia. L’importanza accordata al sentimento della gioia si pone controcorrente rispetto alla secolare speculazione sul senso angoscioso della morte, al culto delle passioni tristi, al disprezzo per la vita e i piaceri di questo mondo, all'aspettativa infelice di una vita nell'aldilà. Per Spinoza fondamentale è seguire lo sviluppo delle capacità del nostro spirito, capire il suo posto nel mondo, la capacità del nostro corpo di conquistare i gradi superiori della sua potentia. Di conseguenza, l'etica non è una 'liberazione dalle passioni', ma un "controllo della vita passionale" che sostituisce le passioni negative con quelle passioni positive, gioiose, che mettono in armonia con il mondo. Questa prospettiva è probabilmente ciò che può far presentare Spinoza come un moderno materialista. L'"ideale del controllo", presente nella teoria spinoziana, non è interpretabile come aspirazione al dominio sulla natura. Non si tratta di metterci al posto di Dio, di coincidere con il processo della totalità, ma si tratta di potenziare la nostra "finitezza". L'uomo di Spinoza non è animato dalla "volontà di potenza" all’interno di una natura ostile, che contrasta la sua realizzazione; ha invece in sé la possibilità di stabilire una comunicazione profonda, positiva, con questa natura, senza chiudersi nell’idea di una propria assoluta debolezza o potenza. Credo che sia esattamente questa "etica del controllo", l'etica della liberazione attraverso l'intelligenza e non l'etica della volontà di potenza e del dominio, che fa di Spinoza un moderno, critico di certi aspetti negativi della modernità.

6. Lei, Professor Tosel, ha insistito sulla dimensione mondana e materialista dell'etica di Spinoza, ma quest'etica, in ultima analisi, non finisce con lo sfociare nel misticismo?

È uno dei problemi più complicati dell’interpretazione del pensiero di Spinoza, perché effettivamente l'ultimo libro dell'Etica, il libro V, presenta un terzo tipo di conoscenza e forse anche un terzo "modo di vivere". Questo terzo staDio della conoscenza perfetta, adeguata, è caratterizzato dalla scienza intuitiva di Dio e dalla beatitudine. Spinoza inoltre parla dell'amore che Dio dovrebbe avere per l'uomo, in contrasto con la definizione di Dio, data nel I libro dell’Etica, come sostanza unica, infinita, o natura, che esclude perciò la possibilità di concepire Dio come persona, e quindi come dotato di sentimenti. Penso che questa lettura di Spinoza nella prospettiva del misticismo non sia corretta; per capirne il motivo bisogna iniziare a comprendere che cosa sia veramente la scienza intuitiva.

La scienza intuitiva è la conoscenza dell'essenza singolare d'un corpo, o di molti corpi, e l'essenza singolare della stessa conoscenza; non ha perciò ha nulla di misterioso. Mentre la ragione scopre le relazioni generali che legano le cose, che le fanno sussistere insieme, la scienza intuitiva, forma di conoscenza superiore, è quella che ci permette di cogliere, nell’insieme di relazioni, un elemento nella sua particolarità. Da questo punto di vista Spinoza si contrappone ad Aristotele, in quanto afferma l'esistenza di una "scienza del particolare". Ciò vuol dire in fondo che la conoscenza completa è l'unità della ragione e della scienza intuitiva. È l'unità della comprensione delle relazioni comuni che legano tutti gli esseri, i corpi e gli spiriti, e insieme, essendo effettuata da uno spirito, della conoscenza singolare. Inoltre, poiché si riflette su se stessa, viene generato quel sentimento di gioia che l’uomo prova quando, conoscendo una cosa particolare, un modo della sostanza, conosce meglio Dio.

L'amore che Dio manifesta per noi non è altro che una maniera per dire che, in un certo momento, nel tempo, abbiamo potuto, grazie alla conoscenza di una cosa singolare, assumere un elemento di potenza attiva; questo elemento di potenza attiva appartiene alla sostanza, è nella natura. È quindi l'obiettività dell'esperienza soggettiva di conoscenza che Spinoza ha intenzione di analizzare. Quando dunque conosciamo davvero le cose singolari, facciamo un passo avanti nella conoscenza e si può dire allora, metaforicamente, che Dio ama se stesso: ciò significa che abbiamo veramente raggiunto la conoscenza obiettiva. Penso, a questo proposito, che al libro V dell'Etica, il quale forse non ci ha ancora svelato tutti i suoi segreti, possa essere data un'interpretazione laica ed immanentistica. È semplicemente l'efficacia della conoscenza, il vantaggio che ne ricaviamo nella capacità di agire e di pensare, ciò che Spinoza vuole esaminare. Egli dice che, attraverso tale conoscenza sub specie aeternitatis, noi che siamo esseri prodotti nel tempo finiamo per "coincidere con noi stessi", partecipiamo in qualche modo dell’eternità.

Uno degli elementi filosofici più straordinari del libro V dell'Etica è il rifiuto radicale dell’idea dell'immortalità dell’anima. Tutto si svolge nel tempo, tutto si svolge nella vita del corpo, quindi tutto si svolge sul piano, "laico", della conoscenza. Noi abbiamo, in funzione della nostra capacità di agire e di pensare, la proprietà di poterci "rendere eterni" nel tempo e, da questo punto di vista, si può dire che sfuggiamo alla morte. Sfuggire alla morte non significa quindi avere la possibilità di un’esistenza futura. L’uomo non esisterà più, ma mediante la conoscenza adeguata, perfetta, eterna, di sé e del corpo, scopre la sua esistenza, la sua mente, come "effetto" dell’eterna sostanza, di Dio. Mi pare quindi che Spinoza vada fino in fondo nel suo razionalismo in quanto ripensa i problemi fondamentali della metafisica e ne cerca una soluzione radicale, al di là delle risposte delle religione tradizionale.

7. È possibile per Spinoza pensare ad una storia, ad un’evoluzione delle diverse forme di vita, che si concluda in uno stadio in cui l’uomo sia in grado di vivere esclusivamente all'insegna della ragione?

No, non è possibile. Spinoza descrive nell'Etica diversi tipi di esistenza. Ad esempio il tipo di vita della schiavitù, dominato dalle passioni tristi, dall'immaginazione, da una conoscenza inadeguata. Egli conclude l'Etica evocando la bellissima ed antica figura del saggio, che rappresenta la liberazione del corpo, il passaggio dell’uomo alla dimensione in cui il corpo può produrre. Questo saggio che ha la possibilità di conoscere se stesso, di conoscere i corpi e il loro rapporto reciproco, il rapporto del proprio corpo con i corpi degli altri, è però una figura dai tratti idealizzati. Spinoza, che non è uno stoico, non ha mai detto che questa saggezza possa essere acquisita da qualcuno una volta per tutte. In questo caso infatti si tornerebbe alla teoria antichissima del passaggio definitivo dalla vita delle passioni, o del desiderio, alla vita della ragione. L'etica, o piuttosto il processo dell'"eticizzazione", infatti non può essere inteso come l’instaurazione di uno stato, irreversibile, di pura razionalità. La condizione umana resta rinchiusa in una dimensione finita: l’uomo ha la propria essenza e la propria mutevole esistenza nel sistema delle interrelazioni che lo legano agli altri corpi.

La vita umana è "modale" e di conseguenza implica una dipendenza che non può mai essere superata; per questo motivo l'uomo, compreso il saggio, rimane tutta la vita soggetto alle passioni. L’uomo può costruire, partendo da se stesso, dei sistemi di controllo delle sue passioni e del suo rapporto con la natura, ma non può acquisire la saggezza una volta per tutte. Nulla esclude che, in un certo momento della storia individuale o collettiva, anche il saggio finisca per essere nuovamente coinvolto nel mondo delle passioni. D'altronde, ciò è testimoniato anche dalla vita stessa di Spinoza: quando furono assassinati i fratelli de Witt, che erano i responsabili politici dell'Olanda repubblicana, pare che egli avesse, con foga e risentimento, denunciato la massa, il popolo che si era lasciato trasportare dalle proprie passioni fino ad uccidere i suoi illuminati dirigenti. Quest'attitudine di Spinoza non era propriamente un'attitudine razionale; in ogni caso, era dettata dall'indignazione.

Non si deve interpretare la teoria spinoziana dei diversi generi di vita come una teoria che implichi una necessaria, irreversibile, successione di stadi diversi. Se si facesse così, si potrebbe realmente vedere in Spinoza una specie di teorico della natura che pensa alla possibilità di una storia, come fa la filosofia illuminista, in termini di passaggio dalla barbarie, dalla schiavitù alla vita governata dalla ragione. Credo che Spinoza non abbia sviluppato una teoria storica o storicizzante dei modi di vita; la concatenazione dei modi di vita non si svolge in modo univoco nel corso del tempo. La storia non può essere che "ideale". Essa può essere pensata come una storia individuale in cui vi si aper l’uomo la possibilità di passare realmente dalla passività all'attività, ma senza alcuna garanzia, alcuna certezza definitiva. Da questo punto di vista si potrebbe dire che vi è, all'interno del mondo e della natura, la possibilità di una storia "particolare" per l'uomo, definita dal processo di eticizzazione. Ma questa storia non è governata da un principio; Spinoza imposta una teoria della storia senza garanzie teologiche. La teoria dei modi di conoscenza e di generi di vita indica la precarietà della condizione umana e la necessità che abbiamo, ogni volta che si sia verificato un regresso, di ricominciare a liberarci dalla passività, di ripercorrere il processo etico. Questo processo si ripete in modo indefinito, ogni qualvolta l’uomo tende a superare la sua condizione di schiavitù.

8. Nella filosofia di Spinoza qual è la natura specifica della politica e che rapporto lega la politica all’etica?

Innanzitutto per Spinoza anche la politica ha una sua specificità e un suo statuto di autonomia, ma il problema fondamentale, a mio giudizio, per quanto concerne la comprensione della "topologia" del sistema spinoziano, è quello di capire come l'etica e la politica, nonostante l’irriducibilità dell’una all’altra, si stringano in un rapporto ben definito. L'etica spinoziana, nella mia interpretazione, si presenta come "una teoria della concatenazione sincronica dei modi di vita", dei modi di pensiero, delle possibilità di realizzazione, immanenti alla natura umana, al di fuori di ogni prospettiva teologica. Spinoza analizza il possibile "percorso" dell'uomo che si autodetermina in senso etico. Da questo punto di vista, è evidente che proprio in conseguenza delle differenti condizioni umane - ognuno nasce in un paese, in un luogo determinato, è erede di una certa storia, è sottoposto a certi sistemi di relazioni che solo in alcuni casi gli consentono di realizzare le proprie capacità - non può esservi, nello stesso tempo, una liberazione etica di tutti. Di conseguenza, questo processo agisce nella singolarità di una esistenza individuale.

L'etica offre una possibilità all'umanità intera; ma non dà alcuna certezza del fatto che questa possibilità si realizzi per la totalità degli uomini. Anche da questo punto di vista, Spinoza si trova al di fuori delle prospettive tradizionali. Nella antica concezione etico-politica il saggio poteva trovare la salvezza a prescindere dalle condizioni della vita pubblica. Qualsiasi fosse lo stato della città, questi poteva trovare il modo di sviluppare le sue capacità e la moltitudine, con le sue passioni, rimaneva una figura negativa. Per Spinoza la realtà della situazione umana è quella della concreta vita nella comunità. La politica designa il luogo concreto del confronto, dell'associazione dei desideri umani. Essa ha quindi un'autonomia poiché, se c'è liberazione etica, non potrà essere la liberazione dalla politica, l'uscire al di fuori della politica. Potrà aver luogo invece soltanto in una situazione politica di coesistenza del saggio e del popolo, di colui che si suppone abbia acquisito il controllo razionale di se stesso e della natura, e di coloro che non l'hanno raggiunto.

Da questo punto di vista, la politica assume un'importanza straordinaria poiché, anche se non è mediante questa che si compie la totalità del processo etico, rimane comunque il cuore, la condizione di tale processo. Quindi, il saggio non può neanche pensare di uscire dalla dimensione della politica; ogni uomo libero deve vivere nella città. Spinoza è distante da Aristotele, il quale ritiene possibile contemplare la struttura del mondo e dell’esistenza umana, al di fuori del "tumulto degli affari umani". Il complesso dei rapporti sociali, politici, è la realtà stessa dell'esistenza umana. La politica assume quindi in Spinoza una notevole importanza, testimoniata anche dal fatto che la sua ultima opera, rimasta incompiuta a causa della sua morte, è un trattato politico. Il luogo del concreto sviluppo dell'esistenza umana è quello in cui gli uomini sono associati naturalmente, e quindi proprio quello della prassi politica, elemento fondamentale anche per la costruzione del mondo etico.

Gli uomini, soggetti alle passioni, cercano la propria utilità e vedono ciascuno nell'altro un concorrente; questi però per Spinoza possono anche capire come, al di là del rapporto di opposizione all'altro, vi sia anche la possibilità d'un rapporto di collaborazione. La politica per Spinoza, di conseguenza, è strutturata sulla base di due principi contraddittori: uno per il quale gli uomini cercano di trasferire l'utile agli altri, di garantire loro la sicurezza e la proprietà; l'altro per il quale gli uomini, nella loro egoistica ricerca dell'utile, si affrontano ed entrano in conflitto. Da questo punto di vista, Spinoza non è un pensatore del liberalismo, è un pensatore critico del liberalismo, per il quale il principio d'"associazione", secondo cui è possibile formulare l'idea di un bene e di un interesse comuni, contrasta con il principio dell'"appropriazione esclusiva".

Tutto il problema della politica è allora quello di far restare insieme, senza che il corpo civile, sociale, si disgreghi, uomini che sono naturalmente mossi da questi due principi contraddittori. È su questo terreno che Spinoza cerca di fondare l’autonomia della politica. Questa politica autonoma non è una politica della ragione, così come non è un'utopia razionalista. Constatiamo quindi ancora una volta che il razionalismo di Spinoza è un razionalismo critico delle illusioni o delle ambizioni smisurate di un certo tipo di filosofia, è un "razionalismo ragionevole". Il problema politico è quello di capire le leggi dell'associazione dei corpi e di trovare i meccanismi che permettano a questi corpi di formare un corpo unico, un corpo come totalità "armonica"; vorrei far notare che questo tema del corpo è un tema tipico del materialismo. L'interesse etico infatti è un interesse per la liberazione dei corpi, mentre l'interesse politico riguarda la composizione e la coesistenza dei corpi. Diventa possibile allora mettere a punto una politica che abbia una forza costruttiva, e mediante questa definire le strutture e le regole della convivenza civile tra gli uomini. In questa prospettiva Spinoza fornisce un contributo notevole; egli supera il liberalismo del diciassettesimo secolo e si presenta come uno dei primi teorici della democrazia. Egli ritiene che l'obiettivo da realizzare per consentire agli uomini di vivere insieme, di collaborare anche all'interno di situazioni conflittuali, non riguardi soltanto la sicurezza.

È la libertà che, oltre la sicurezza, rimane lo scopo immanente di un organismo politico. Ed ecco perché, mentre Hobbes individua una forma di sicurezza che ha come conseguenza la rinuncia dell'individuo alla propria libertà di pensiero e azione, Spinoza vede nell'opinione pubblica e in questa stessa libertà, il regolatore fondamentale delle istituzioni democratiche. Anche individui passionali, che non hanno una cognizione chiara e ragionevole di ciò che per loro è utile, possono accordarsi su un'istanza politica che permetterà loro di esprimersi, di soddisfare i propri bisogni. A partire da qui, Spinoza immagina un sistema, un "circuito" di relazioni tra le masse, lo Stato e la regolazione del corpo politico; tale sistema o circuito deve sempre avere però un fondamento etico. In queste condizioni, la democrazia rappresenta, all'interno della vita politica, il miglior mezzo che possono sfruttare gli "uomini passionali" per conquistare, quasi loro malgrado, contro le loro stesse intenzioni, una qualche autonomia. Mentre il saggio si "sostanzializza", acquista una capacità di agire e di pensare da sé, e, all'interno di una condizione di finitezza, diventa "causa sui", per quanto riguarda invece la massa degli uomini associati, è la democrazia che permette loro di evolversi.

In ultima analisi, per Spinoza, - che ritengo rientri assolutamente nella tradizione del pensiero materialista -, se la liberazione dalla paura è l'obiettivo fondamentale d'una filosofia materialista, allora, quando si entra nel campo della politica, tale filosofia deve liberarci anche dalla paura che abbiamo gli uni degli altri, dalla paura che abbiamo del potere o che il potere ha di noi. È quindi il tema della paura e quello della ricerca di una giusta e controllata "composizione dei corpi" che costituisce il centro unitario del pensiero etico-politico di Spinoza. In esso c'è, in definitiva, un fondamentale legame tra panteismo e democrazia, che ne fa davvero un pensatore fuori dal comune.

Intervista realizzata il 9 dicembre 1988  -  Parigi -  Chateau Laffitte

 

 

Abstract

André Tosel ritiene che l' originalità della riflessione di Spinoza rispetto alla tradizione razionalista stia nel superamento del dualismo cartesiano in una unità panteistica in cui Dio e natura coincidono e l'essere si configura come coincidenza tra l'atto producente e il prodotto dell'atto, all'interno della cui totalità l'uomo può comprendersi. Con ciò, Spinoza liquida ogni concezione morale del mondo fondata sulla trascendenza normativa dei valori ed elabora un'etica laica, che prospetta l'uomo come un essere naturale che deve essere incluso nell'ambito della produttività infinita della natura . Superando il finalismo teologico, criticando l'idea del libero arbitrio e del dover essere, Spinoza supera l'antropocentrismo moderno inaugurato da Cartesio, anticipando l'idea hegeliana e marxiana di una libertà che può realizzarsi e comprendersi solo all'interno di una superiore necessità . La potenza della natura si manifesta nei modi dell'estensione e del pensiero, cioè nella forza dello spirito e del corpo che Spinoza esalta e valorizza, anche perché materializza la divinità . Tosel interpreta l'etica spinoziana non come un'etica del dominio delle passioni che prende le mosse da un ideale normativo dell'uomo, ma piuttosto come un'etica del controllo del desiderio, che, liberando l'esistenza dalla tristezza e dalla disperazione, sostituisce alle passioni negative la gioia e prende le mosse dall'uomo così com'è . Diversamente da Aristotele, Spinoza ammette una conoscenza intuitiva che coglie il particolare e nell'atto del conoscere attinge l'immortalità e la beatitudine . Secondo Tosel, però, è assente un esito mistico o ascetico nell'etica spinoziana: per Spinoza il saggio rimane perennemente schiavo delle passioni e la ragione è una lenta e difficile conquista non sempre irreversibile . Distinto dal luogo dell'etica, nella prospettiva spinoziana, è il luogo della politica, in cui l'uomo, realizzando la sua natura di essere sociale, tende alla liberazione all'interno della città e della comunità. Lo scopo della politica, per Spinoza, sta nel far coesistere il conflitto (principio d'appropriazione) e il bene comune (principio d'associazione), ma non solo in vista della sicurezza, come riteneva Hobbes, ma in vista di un incremento della libertà .