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Come Sarajevo nel 1914?

di Jürgen Elsässer* - 18/02/2008


L’indipendenza del Kosovo è la miccia di un barile di polvere




Il prossimo 17 febbraio, gli Stati Uniti hanno messo a punto un processo di dichiarazione unilaterale d’indipendenza del Kosovo, seguito dal suo riconoscimento da parte di un centinaio di Stati. In questo modo, non solo essi ammettono che l’operazione della NATO del 1999 era una guerra di conquista, ma aprono la porta a tutte le rivendicazioni separatiste nel mondo. E questo è proprio l’obiettivo, poiché per loro si tratta di provocare, per ripercussione, la disintegrazione della Federazione di Russia. Un gioco pericoloso, denuncia Jürgen Elsässer, tale da destabilizzare tutta l’Europa.

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9 febbraio 2008





In una celebre foto del dell’ottobre 1999, cinque personalità giurano di condurre il Kosovo all’indipendenza. Esse sono: Hachim Tachi (allora capo del gruppo terroristico UCK e oggi Primo ministro del govereno regionale del Kosovo), poi Bernard Kuchner (allora amministratore dell’ONU nel Kosovo, oggi ministro degli Esteri francese), Sir Mike Jackson (ex comandante delle truppe britanniche in occasione del massacro del Bloody Sunday in Irlanda, in qel momento comandante delle forze d’occupazione della NATO, oggi consulente di un’impresa di mercenariato), Agim Ceku (capo militare dell’UCK, accusato di crimini di guerra dall’esercito canadese) e il generale Wesley Clarck (allora comandante supremo della NATO, oggi consigliere militare di Hillary Clinton).



Il deputato al Bundestag Willy Wimmer (CDU) ha scritto di recente : « Quando, nel 1918, il mondo di ieri fu ridotto in cenere e con grande perfidia si preparavano le basi del successivo grande conflitto, non si volle perdere troppo tempo a ricercare le cause della guerra. Si dichiarò che era stato il colpo di pistola di Sarajevo, costato la vita alla coppia di eredi al trono d’Austria. Tutti ricordavano l’avenimento e non ci fu bisogno di porsi domande sui suoi annessi e connessi, molto più determinanti dell’attentato di Sarajevo. Finora, durante i negoziati sul futuro del Kosovo non abbiamo avuto sparatorie, ma alcune firme su certi documenti potrebbero avere lo stesso effetto dei colpi di pistola. Le micce stanno lì e vanno dall’Iralanda del Nord al Tibet e a Taiwan, passando per i Paesi basch, Gibilterra ed il Caucaso. »



La situazione attuale nei Balcani richiama in maniera inquietante quella che condusse alla Prima guerra mondiale. Dopo anni di disordini, la Germania e le altri grandi potenze avevano trovano, con la Conferenza di Berlino del 1878, un compromesso sul nuovo ordine dell’Europa del Sud-Est. La provincia ottomana di Bosnia doveva restare turca de jure ma essere amministrata de facto dall’Austria. Nel 1908, Vienna ruppe il trattato annettendosi, anche de jure, la provincia. Dove, nel 1914, l’arciduca Francesco Ferdinando venne ucciso, a Sarajevo.



Circa un secolo dopo, le potenze della NATO avevano tentato un compromesso del genere : dopo la loro guerra di aggressione contro la Jugoslavia nel 1999, avevano imposto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU la Risoluzione 1244 che manteneva de jure il Kosovo nella Serbie, ma lo ponevano de facto sotto l’aministrazione delle Nazioni Unite. Successivamente, le potenze occidentali si sono mostrate favorevoli alla secessione totale della provincia e alla sua consegna, controllata dall’UE, alla maggioranza albanese : tale è il progetto del negoziatore dell’ONU Martti Ahtisaari. Dal punto di vista del diritto internazionale, questo sarebbe possibile se Begrado fosse d’accordo o se, almeno, il Consiglio di sicurezza approvasse questa soluzione. In assenza di queste condizioni, il Kosovo non può dichiarare la sua indipendenza che unilateralmente, con un atto arbitrario illegale. Ed è precisamente quello che accadrà le prossime settimane.



Come già un secolo fa, gli interessi degli Stati dell’Europa centrale, della Russia e del mondo musulmano si scontrano ancora nei Balcani. Ogni cambiamento violento in questo fragile equilibrio può avere delle conseguenze per tutto il continente.



Abbiamo sfiorato la guerra mondiale.



Nei giorni successivi al 10 giugno 1999, abbiamo potuto vedere come l’Europa del Sud-Est possa essere all’origine di un importante conflitto mondiale. Dopo 78 giorni di bombardamenti, della NATO, l’esercito jugoslavo era già pronto a ritirarsi dal Kosovo ; su questo, era già stato firmato l’accordo militare tra Belgrado e l’Alleanza atlantico ed era stata adottata la Risoluzione 1244. Tuttavia, mentre le truppe del presidente Milosevic si ritiravano, alcune unità russe di stanza in Bosnia avanzarono, in maniera del tutto inattesa, verso Pristina. Sui loro carri, i soldati avevano trasformato l’iscrizione SFOR — che indicava la loro appartenenza alla truppa di stabilizzazione nello Stato vicino, sotto mandato dell’ONU — in KFOR, sigla della forza d’occupazione del Kosovo appena decisa. Il presidente russo Boris Eltsine aveva dato il suo consenso perché essa fosse costituita sotto l’alto comando della NATO, ma i suoi generali volevano che la Russia ottenesse almeno una testa di ponte strategica.



Il ministro tedesco degli Esteri di allora, Joschka Fischer ricorda nelle sue memorie come la situazione fosse drammatica : « I pochi paracadutisti russi non potevano sfidare veramente la NATO dopo il suo ingresso nel Kosovo, perché erano troppo poco numerosi e il loro armamento troppo leggero. L’occupazione dell’aeroporto non poteva significare che una cosa : essi aspettavano rinforzi aerei. Questo poteva portare ben presto ad un pericoloso confronto diretto con gli Stati Uniti e la NATO. [...] La situazione divenne ancora più pericolosa quando fu confermata la notizia secondo la quale il governo russo aveva chiesto ai governi ungherese, romeno e bulgatro un’autorizzazione al sorvolo per i suoi aerei Antonov da trasporto di truppe. Aveva l’intenzione di trasportare 10 000 soldati per via aerea, parte verso il Kosovo e parte verso la Bosnia per poi avviarli verso il Kosovo via terra. L’Ucraina aveva già accordato il permesso, ma gli altri paesi mantennereo inamovibile il loro no. Ma dove si sarebbe arrivati se gli aerei russi fossero passati sopra il divieto ? Gli USA e la NATO avrebbero loro impedito di atterrare o di sbarcare il loro carico una volta a terra o sarebbero arrivati ad abbattere gli aerei in volo ? Si profilava l’eventualità di una tragedia dalle conseguenze imprevedibili. » Parallelamente alla guerra dei nervi circa gli aerei russi, la crisi si inasprì all’aeroporto di Pristina. Le truppe del contingente britannico della KFOR erano arrivate rapidamente ed avevano puntato I loro cannoni sugli indomiti occupanti dell’aeroporto. L’alto comandante della NATO, Wesley Clark, ordinò di dare l’assalto ma Michael Jackson, alto comandante britannico della KFOR, mantenne il suo sangue freddo e rifiutò di ubbidire. Chiamò Wesley Clark al telefono e urlò : « Non rischierò di scatenare la Terza guerra mondiale per lei ! »



Si ignora come l’Occidente abbia indotto il presidente russo a fermare gli Antonov. In ogni caso, il combattimento all’aeroporto di Pristina fu impedito solo perché Jackson rimase fermo. Clark accettò quell’atto di disobbedienza. A dire il vero, avrebbe dovuto far arrestare Jackson dalla polizia militare. Un generale tedesco, ha successivamente criticato questo atteggiamento. « L’arretramento dei Britannici e degli Americani è stata una pessima risposta in una situazione che non avrebbe mai portato ad un serio conflitto tra la NATO e la Russia », ha scritto Klaus Naumann, allora presidente del Comitato militare della NATO e, di conseguenza, ufficiale più alto in grado dell’Alleanza.



Missili su Bondsteel



Nelle prossime settimane può riprodursi una situazione così pericolosa ? Già nel 2006, la Fondazione Scienza e Politica (Stiftung Wissenschaft und Politik, SWP), una delle più importanti commissioni di esperti tedesche, si inquietava circa una soluzione alla questione del Kosovo imposta dall’esterno : « Queste missioni richiederanno un impegno diplomatico duraturo ed esigeranno risorse politiche, militari e finanziarie dall’UE. » Con « risorse militari », gli autori intendono la KFOR, che attualmente comprende 17 000 soldati di cui circa 2500 Tedeschi.



Un intervento potrebbe prendere di mira non solo il Kosovo ma anchela Serbia propriamente detta. La Fondazione prevede una situazione « che ricorda la crisi del 1999», ossia i bombardamenti. Dei disordini nel Kosovo potrebbero estendersi alle province serbe di Vojvodina e di Sandzak e anche nella valle di Presevo. Si può leggere più in là : « Manifestazioni di massa con scontri tra le forze moderate e le forze radicali o con la polizia potrebbero portare alla dissoluzione delle strutture statuali ». Se esplodono le strutture statuali della Serbia, l’UE, conformemente alla sua concezione politica, potrebbe addossarsi il ruolo di stabilizzatore ed apportare una « fraterna assistenza ». I « battle groups » non servono ad altro.



Esaminiamo gli avvenimenti prevedibili della primavera 2008. Tanto la NATO che gli Albanesi del Kosovo hanno escluso categoricamente nuovi negoziati, come invece chiedevano Belgrado e Mosca. Il 24 gennaio, Hashim Thachi, già capo dell’organizzazione terroristica UCK e, poco dopo, Primo ministro della provincia del Kosovo, ha annunciato che la dichiarazione formale di indipendenza avverrebbe « entro 4-5 settimane ». Il giorno dopo, si poteva leggere sull’International Herald Tribune — che si basava su fonti diplomatiche — che « la Germania e gli USA [si erano] messi d’accordo per riconoscere l’independenza del Kosovo » e questo « dopo il secondo turno delle elezioni presidenziali serbe del 3 febbraio ». E’ ciò su cui Angela Merkel e George W. Bush erano convenuti. Si può supporre che il Cancelliere CDU abbia chiesto consiglio al suo collega di partito Willy Wimmer, per lunghi anni Segretario di Stato al ministero della Difesa sotto Helmut Kohl.



Dopo la proclamazione ufficiale della « Repubblica kosova », I comuni serbi situati a nord dell’Ibar affermeranno senza dubbio la loro fedeltà alla Serbia, dunque la loro non appartenenza al nuovo Stato. Si può immaginare che allora delle truppe armate di Albanesi del Kosovo penetrino nelle enclavi della minoranza, in particolare nel suo basione Nordmitrovica e reprimano brutalmente la resistenza. A metà del marzo 2004,in occasione di un simile inizio di pulizia etnica, i terroristi riuscirono a mobilitare una folla di 50 000 persone. La violenza di quell’attacco poté essere frenata solo perché i soldati della KFOR si opposero, almeno parzialmente, agli estremisti. Essi ne uccisero otto. Nell’attuale situazione, bisogna invece aspettarsi che la KFOR si comporti nel suo insieme come a suo tempo il contingente tedesco in seno alla KFOR : che chiuda gli occhi e lasci fare ai terroristi. Nel 2004, nel settore tedesco d’occupazione attorno a Prizren, tutte le chiese e tutti i conventi serbi furono incendiati. Certo, da allora, il Serbi del Kosovo hanno costituito delle formazioni di autodifesa di cui la più chiassosa è la Guardia Zar-Lazar che deve il suo nome ad un eroe della storica battaglia di Amselfeld del 1389. Questi paramilitari hanno annunciato che lanceranno dei missili sulla base militare statunitense di Camp Bondsteel in caso di dichiarazione di indipendenza del Kosovo. È difficile sapere se qui si tratti di una fanfaronata o di un progetto serio. Secondo alcuni conoscitori della regione, è possibile che dietro l’etichetta di Zar Lazar si nasconda una banda di provocatori dei servizi segreti occidentali.



Nell’interesse dei paesi membri della NATO, la secessione della provincia deve, in ogni caso, avere meno ripercussioni possibili ed effettuarsi senza conflitti militari. Ci si accontenta delle proteste diplomatiche della Russia e anche di piccoli paesi dell’UE come la Slovacchia, la Romania e Cipro. La Fondazione Bertelsmann, vicina al governo, ha menzionato, in uno studio del dicembre 2007, l’esempio di Taiwan : Si sa che questa repubblica insulare non è stata riconosciuta che da un piccolo numero di Stati e che non ha seggi alle Nazioni Unite, ma che ha goduto da 60 anni di una certa stabilità e anche di una certa prosperità. L’auspicio degli Stati membri della NATO è probabilmente che gli Albanesi del Kosovo, dopo la proclamazione di indipendenza, rinuncino alla violenza nei confronti della minoranza serba e non tocchino, in un primo tempo, le loro strutture di auto-amministrazione nel Nord. Se la NATO bloccasse simultaneamente tutti I legami con la Serbia, i Serbi di Mitrovica non avrebbero, alla lunga, altra scelta che accettare i nuovi poteri attorno a Hashim Thachi.



Questa strategia di vittoria soft dei secessionisti potrebbe tuttavia essere ostacolata abbastanza facilmente. A fine gennaio 2007, la Frankfurter Allgemeine (FAZ) ha espresso i suoi timori : « I Serbi potrebbero chiudere il lago artificiale di Gazivodsko Jezero, situato nella parte del Kosovo controllata dai Serbi e privare così dell’acqua numerose regioni del Kosovo. Ciò avrebbe delle conseguenze per le forniture elettriche, già insufficienti, del Kosovo perché l’acqua di quel lago serve a raffreddare le installazioni della centrale a carbone non lontana da Pristina. » La NATO reagirebbe rapidamente con la forza contro tale operazione relativamente facile da condurre : basterebbe una truppa paramilitare ad occupare la diga. « Già si sogna, precisa la FAZ, di far intervenire la KFOR per impedire questo, ma allora verrebbe raggiunto il livello di confronto militare che l’Occidente vuole giustamente evitare ».



La Serbia può replicare



Come reagirebbe il governo di Belgrado se gli Albanesi e dei soldati della NATO sparassero su dei Serbi ? Continuerebbe la sua attuale politica di non intervenire militarmente ? Si tratta innanzi turtto della tendenza del più forte partito di governo, quello dei Democratici (DS) attorno al presidente Boris Tadic e al ministro della Difesa Dragan Sutanovac. Il piccolo partito della coalizione, il Partito démocratico di Serbie (DSS) del Primo ministro Vojislav Kostunica è un po’ più audace. Il suo consigliere Aleksandar Simic ha dichiarato espressamente che ogni Stato ha il diritto di ricorrere alla forza delle armi per proteggere la sua integrità territoriale. Ma, in caso di crisi, sono il Consiglio della Difesa ed il Presidente ad avere l’ultima parola sull’Esercito, cioè, in concreto, Tadic. Di conseguenza, l’Occidente non avrebbe di che preoccuparsi... se non ci fossero state le elezioni presidenziali. Il candidato del Partito radicale (RS) Tomislav Nikolic aveva serrie possibilità di essere eletto. Già nel 2004, aveva messo Tadic in ballottaggio ed era stato battuto di poco. Stavolta, indignata per l’imminente dissidenza del Kosovo, unea maggioranza di cittadini avrebbe potuto eleggerlo. L’Esercito sarebbe stato allora posto sotto l’alto comando di un uomo politico che patrocina l’installazione di una base militare russa nel paese e il cui partito possedeva la propria milizia al momento delle guerre degli anni 1990.



Tale prospettiva ha stravolto il calendario dei secessionisti. Il Consiglio europeo voleva infatti decidere il 28 gennaio dell’invio in Kosovo di una truppa di circa 2000 poliziotti, contro la volontà di Belgrado e, dunque contro il diritto internazionale, ma necessaria per rendere sicura la secessione. Ma dal momento che il 28 gennaio precedeva di poco il secondo turno della decisiva elezione presidenziale del 3 febbraio, questo avrebbe costituito una provocazione favorevole a Nikolic. La questione è stata dunque differita. Bruxelles ha, lo stesso giorno, offerto un accordo di associazione all’ex Stato canaglia e ha rinunciato con benevolenza alla condizione posta finora, ossia l’estradizione dei «criminali di guerra» Radovan Karadzic e Ratko Mladic. L’UE sperava così di apportare a Tadic i voti di cui aveva bisogno. Alla fine è stato eletto di misura.



Belgrado ha attualmente il sostegno di Madrid.



Secondo il quotidiano serbo Express dell’11 gennaio, il Primo ministro José Zapatero avrebbe ottenuto l’assicurazione di altri governi dell’UE che il Kosovo non proclamerà la sua indipendenza prima del 10 marzo — dunque quattro settimane dopo la data annunciata da Thaci — perché il nuovo parlamento spagnolo deve essere eletto in quella data. Il governo socialista vuole così impedire ai movimenti separatisti spagnoli di utilizzare il precedente balcanico come argomento nella campagna elettorale, avendo i Baschi già cominciato a farlo. In reazione, la maggioranza degli Spagnoli potrebbe allora essere tentata di sanzionare i socialisti, accusati dall’opposizione conservatrice di essere troppo indulgenti nei confronti delle regioni desiderose di secedere. Questi ritardi di calendario mettono tuttavia a dura prova la pazienza degli Albanesi del Kosovo. Si può temere che essi tentino di dare una piccola spinta alla decisione diplomatica effettuando alcune clamorose azioni violente. Ci si domanda come reagirebbero in questo caso le potenze membri della NATO ... e i Russi. Anche questi ultimi eleggono un nuovo presidente in primavera ed ogni candidato che abbandonasse il fratello slavo dovrebbe aspettarsi di perdere voti.



* Journaliste allemand. Dernier ouvrage publié Comment le Djihad est arrivé en Europe, préface de Jean-Pierre Chevènement. Xenia, 2005.







Traduzione italiana dalla versione francese curata da Horizons et débats