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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 19/02/2008


 

a)      Kosovo. Il ministero degli Esteri italiano ribadisce di essere pronto a riconoscere la sedicente “indipendenza” del Kosovo (8), atto che porrà l’Italia in una situazione anche giuridica molto delicata e densa di incognite (Serbia / Kosovo / Italia 8). Fabio Mini, ex comandante NATO in Kosovo nel 2002-2003, per cui è stato persino premiato con la “Legion of Merit” USA dall’ex segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, condanna senza mezzi termini il preventivato riconoscimento, italiano ed europeo, del protettorato USA del Kosovo, non risparmiando critiche alla politica di Washington ed alla dirigenza kosovara (9, 15). C’è già chi fissa al 17 febbraio la proclamazione unilaterale (8). Intanto la popolazione civile kosovara e gli stessi soldati italiani continuano a morire di cancro, nel silenzio più assordante, a causa dell’uranio impoverito (1).

 

b)      Afghanistan. Washington paventa la sconfitta contro i Taliban. Lo affermano senza perifrasi il segretario generale NATO (7) ed il capo del Pentagono (10), che pretende da Stati come Francia, Italia e Germania maggior interventismo militare, senza limitazioni. Parigi obbedisce (9); forte imbarazzo a Berlino (1, 10) e risentimento a Roma (8), che registra la morte di un altro soldato (14). Intanto ancora Fabio Mini non risparmia critiche alla politica NATO in Afghanistan, affermando che Washington non può continuare a chiedere oneri ai propri “alleati” senza prima un bilancio dei risultati ottenuti (14).

 

c)      Palestina. Prosegue inesorabile la colonizzazione israeliana. Il governo (incostituzionale) di Salam Fayyad consente la vendita di terra palestinese a non-palestinesi (15); le forze di sicurezza israeliane intendono riprendere il controllo del confine tra Gaza ed Egitto (9) ed eliminare fisicamente i massimi dirigenti di Hamas se non addirittura invadere la Striscia (12). I posti di blocco in Cisgiordania tormentano la popolazione e motivano gli attacchi contro obiettivi israeliani, scrivono alti ufficiali israeliani (13) ed il governo di Tel Aviv intende dare nuovo impulso agli insediamenti sionisti a Gerusalemme est (15). L’arroganza sionista è tale che anche esplicitamente si proclama che non ci sarà nessun accordo di pace (12). In tale contesto, quale altra scelta hanno i palestinesi se non la resistenza? Ilan Pappè, israeliano, uno dei “nuovi storici” che ha dedicato la sua attività alla storia della pulizia etnica della Palestina (Nakba), la sostiene con il suo lavoro e con il suo atteggiamento, non partecipando alla Fiera del Libro di Torino 2008 perché ha come ospite d’onore lo Stato di Israele (14).

 

Sparse ma significative:

 

  • USA. No a proposta russa per un trattato che proibisca le armi nello spazio (12), sì alle intercettazioni telefoniche ed al “Terrorist Surveillance Program” (13) ed alla tortura (15). Un rapporto commissionato dal Pentagono ammonisce: Washington deve cambiare politica in Iraq ed Afghanistan (13), abbandonando il ricorso alla forza militare e sostenendo governi civili e forze locali (13).

 

  • Libano. In morte di Imad Moughniyye, numero due di Hezbollah (15). Presidenziali ancora rinviate (9).

 

  • Euskal Herria. In Kosovo si spaccia un protettorato per "indipendenza", nei Paesi Baschi si criminalizza –con arresti e continue illegalizzazioni di partiti– chi rivendica il diritto all'autodeterminazione (9 e 11).

 

  • Venezuela.  Gli interessi geopolitici di Washington dietro il contenzioso tra la Exxon Mobil ed il Venezuela (14).

 

  • Messico. Sovranità alimentare in piazza. Parti importante della società prendono coscienza di un pezzo importante di sovranità ed indipendenza nazionale (2). Violazioni dei diritti umani in Oaxaca (11).

 

Tra l’altro:

 

Corsica (13 febbraio).

Irlanda del Nord (2, 9, 12 febbraio).

Vaticano / Argentina (2 febbraio).

Perù (2 febbraio).

Iran / Francia (3 febbraio).

Australia (14 febbraio).

Iraq (15 febbraio).

Ciad (4 febbraio).

Colombia (5, 12, 15 febbraio).

Cina / Russia (10 febbraio).

Russia (6 febbraio).

Bolivia (10 febbraio).

Brasile / Francia (12 febbraio).

 

 

  • Italia / Kosovo. 1 febbraio. L’uranio impoverito rappresenta un crimine contro l’umanità. Lo afferma senza mezzi termini Domenico Leggiero, responsabile nazionale per le Forze Armate in seno al Comitato Permanente sulla tutela dei diritti dei lavoratori delle Forze Armate e di Polizia. Autore di “Uranio – storia di un’Italia impoverita” (Mir edizioni), incentrato sulle sofferenze ed anche le morti di soldati italiani inviati nei Balcani per gravi e dolorose patologie legate all’utilizzo di uranio impoverito e sulle colpevoli omissioni dei vertici militari italiani, Leggiero sostiene che gli USA dovrebbero bonificare il territorio e risarcire le popolazioni colpite dall’armamento all’uranio impoverito. Una sostanza, tra l’altro, messa al bando da una risoluzione ONU del 1989, proposta proprio dagli Stati Uniti d'America, «che non mi risulta si siano mai adeguati ad una risoluzione dell’ONU riguardante l'utilizzo di armamenti non convenzionali». Serbia e Kosovo, ma anche Iraq e Afghanistan, «stanno subendo danni certamente superiori a quelli causati in Europa (…) Non credo che gli Stati continuano a non imparare dai propri errori, credo invece che gli Stati non vogliono vedere ciò che non conviene vedere per i grandi interessi economici che la cosa comporta».

 

  • Italia / Kosovo. 1 febbraio. Interessanti le riflessioni di Leggiero in merito ai legami tra uranio impoverito e produzione di energia nucleare: «l’utilizzo di uranio impoverito nella costruzione di armi consente alle centrali atomiche di smaltire l’uranio derivante dalla lavorazione per la produzione di energia in prodotto economico attivo mentre invece, se si dovesse smaltire come rifiuto e scoria nucleare avrebbe un costo altissimo: ciò che dovrebbe essere un alto costo di produzione viene trasformato in grande reddito produttivo. Dietro la fabbricazione delle armi all’uranio vi è la necessità di smaltire grandi quantità di uranio impoverito prodotto dalle centrali nucleari (per ogni chilogrammo di uranio arricchito per la produzione di energia, 995 grammi diventeranno uranio impoverito da smaltire come rifiuto nucleare». Le armi all'uranio impoverito vengono dunque prodotte per smaltire uranio derivante da lavorazione nucleare, tanto che «si trova anche a costo zero, mentre gli altri elementi per la costruzione di armi hanno dei costi particolarmente elevati».

  • Italia / Kosovo. 1 febbraio. Anche i bombardieri italiani hanno utilizzato nel 1999 in Kosovo bombe all’uranio impoverito. Lo scorso dicembre un soldato lo aveva rivelato su Sky alla trasmissione “Controcorrente” (cfr anche il Manifesto, 7 dicembre 2007). «Chi dà l’ordine, chi dà la direttive è indubbio che sapeva, un pilota li vede gli effetti che dà un'arma all'uranio impoverito rispetto a un'arma in dotazione classica». Tale soldato è stato in Kosovo nel 2003, missione dalla quale è ritornato ammalato di tumore, come molti suoi compagni. Ripreso di spalle per garantirne l’anonimato (è infatti ancora in servizio), le sue parole non rappresentano una testimonianza diretta, nel senso che lui personalmente non avrebbe mai sparato proiettili all’uranio impoverito, ma ha raccolto i racconti dei piloti che parteciparono alle missioni di guerra compiute nel 1999 sui cieli del Kosovo. Ed è proprio parlando con loro che ha appreso come anche l’Italia, e non solo gli Stati Uniti, non si sia fatta scrupoli nell'utilizzare bombe all'uranio impoverito. «Si sa che anche dai mezzi italiani sono avvenuti questi bombardamenti, non solo dai mezzi americani della basi NATO in Italia». Ma non è tutto. Nel corso della trasmissione vengono mostrate tre fotografie e un filmato che dimostrano come i nostri soldati siano stati inviati in Kosovo privi dell’equipaggiamento indispensabile per chi viene in contatto con l’uranio impoverito. Le prime due immagini mostrano due soldati del genio impegnati nell'opera di bonifica dell’aeroporto di Djakovica dopo un bombardamento NATO. Sono privi di qualsiasi protezione, lavorano a mani nude e senza neanche una mascherina. La terza fotografia mostra invece alcuni soldati statunitensi impegnati nella stessa operazione sempre nel '99 in Kosovo. La scena è completamente diversa: i due lavorano con indosso tute protettive, guanti e mascherine, chiaramente consapevoli dei rischi che avrebbero potuto correre toccando oggetti contaminati dalle radiazioni. Nel video, infine, si vede come già prima del 1990 il Pentagono conoscesse bene i pericoli derivanti dall'uranio impoverito, al punto da spiegare quali fossero le precauzioni da prendere. Secondo Leggiero i soldati morti ammontano ad oltre 160. «Il ministero della Difesa è l'unico in cui i ministri che si sono succeduti non hanno mai disposto ispezioni sull'operato dei verici responsabili, in questo caso, di una strage che continua a perpetrarsi», affermava un paio di mesi fa lo stesso Leggiero.

 

  • Germania. 1 febbraio. Berlino respinge la richiesta degli Stati Uniti di inviare truppe da combattimento nel sud dell’Afganistan. «Non ci stiamo pensando» ha detto il portavoce della Cancelliera Angela Merkel, Ulrich Wilhelm. Per il ministro degli Esteri Steinmeier, l’area di intervento delle forze armate tedesche continua a essere solo quella nel nord dell’Afghanistan. Il quotidiano di Monaco di Baviera Sueddeutsche Zeitung ha scritto che il ministro della difesa tedesco Franz Josef Jung ha ricevuto dal capo del Pentagono (Robert Gates) una lettera, inviata pure a Parigi, definita dai toni «insolitamente duri», nella quale si fanno pressioni sulla Germania affinché invii proprie truppe nel sud dell’Afghanistan, la parte più interessata dai combattimenti con la guerriglia talebana. Il giornale afferma che Gates, nella lettera, «esige la messa a disposizione subito, da parte della Germania, di unità munite di elicotteri e di truppe da combattimento, compresi paracadutisti». La Germania ha attualmente 3.200 militari in Afghanistan, dislocati a Kabul e nel nord, la regione relativamente più calma del paese, nel quadro della Forza ISAF. Berlino si è invece detta disposta ad accogliere la richiesta della NATO per un contingente di 250 militari destinati alla cosiddetta "Forza di reazione rapida", truppe finora fornite dalla Norvegia ma destinate a rientrare in patria nel luglio prossimo. La localizzazione delle truppe rimarrà però concentrata al nord dell’Afghanistan.

 

  • Irlanda del Nord / USA. 2 febbraio. Arrestato un membro dell'IRA a 25 anni dall'evasione dal supercarcere di Maze. Il fatto, avvenuto lo scorso lunedì, è stato reso noto solo nelle ultime ore. È stato ieri un portavoce del Sinn Féin a comunicare che Paul Brennan, uno dei 38 membri dell'Esercito Repubblicano Irlandese (IRA), evaso il 25 settembre 1983 dal carcere di Maze è stato arrestato ad un posto di controllo in Texas, in località Brownsville. Permane lì, agli arresti, in attesa che «si chiarisca la sua situazione legale», hanno poi detto fonti ufficiali statunitensi. La formazione repubblicana ha negato che Brennan fosse sprovvisto di documenti e ha ricordato che ha vissuto e lavorato negli Stati Uniti senza alcun problema da quando Londra annullò, nel 2000, la richiesta di estradizione contro di lui. Il carcere di massima sicurezza di Maze ha chiuso i battenti nel 2000. L'evasione da Maze, mai avvenuto in quelle proporzioni da carceri britanniche, è un evento impresso ancora nella memoria politica irlandese. Al tempo Londra organizzò subito una spettacolare operazione di "caccia all'uomo" che portò alla cattura, poche ore dopo, di dieci fuggitivi. Degli altri si persero le tracce.

 

  • Vaticano / Argentina. 2 febbraio. Il Vaticano respinge l'ambasciatore argentino e scoppia un caso internazionale. Il nuovo esecutivo di Cristina Fernández (insediato dal 10 dicembre) si è vista respingere la nomina di Alberto Juan Bautista Iribarne come ambasciatore presso la Santa Sede. Motivo? Il Vaticano non gradisce un divorziato che per giunta vive con una nuova compagna. Buenos Aires non fa marcia indietro e la rappresentanza argentina verrà garantita solo dall'incaricato d'affari Hugo Gobbi. L'episodio colpisce tanto più perché le gerarchie ecclesiastiche ancora non hanno preso provvedimenti nei confronti dell'ex cappellano della Policia Bonaerense Christian Von Wernich, condannato lo scorso ottobre all'ergastolo per «delitti di lesa umanità commessi nel quadro del genocidio che ebbe luogo in Argentina tra il 1976 e il 1983». Von Wernich quindi, nonostante abbia sulla coscienza sequestri, torture e omicidi, resta a tutti gli effetti un sacerdote di Santa Romana Chiesa.

 

  • Messico. 2 febbraio. In piazza per la Sovranità Alimentare e contro il TLC. Nello Zocalo di Messico D.F., una folla oceanica di centinaia di migliaia di persone ha rivendicato, giovedì scorso, un pezzo importante di sovranità nazionale e denunciato la cancellazione dei dazi, previsti dal Trattato di Libero Commercio (TLC), per le merci in entrata di Stati Uniti e Canada. Tra i prodotti interessati, essenziali per il Messico, quelli di base come mais, fagioli, latte e zucchero. La manifestazione ha espresso contrarietà anche alla privatizzazione del settore energetico e alle riforme (neoliberiste) del lavoro previste dal TLC. Produce «solo morte e povertà», hanno denunciato le organizzazioni contadine, sindacali e sociali promotrici dell'iniziativa. I piccoli produttori verranno strangolati dai prezzi al ribasso (e dalla peggiore qualità) dei prodotti delle multinazionali. Al termine della manifestazione, gli organizzatori hanno sancito un'alleanza che avrà come luogo organizzativo e decisionale un consiglio nazionale sociale ed economico in favore della sovranità alimentare.

 

  • Perù. 2 febbraio. Fujimori era a conoscenza e anche mandante dei massacri. Le prove del coinvolgimento dell'ex presidente-dittatore, sostenuto fortemente dagli Stati Uniti, nei massacri compiuti durante il suo governo crescono con il prosieguo del processo in corso a suo carico. Julio Chuqui, ex membro dello squadrone della morte noto come Grupo Colina, è un fiume in piena: Alberto Fujimori era al corrente delle attività del gruppo paramilitare. Chuqui ha raccontato alla Corte i retroscena di diverse operazioni di mattanza. Anche del caso in cui i membri del Colina furono incaricati di eliminare nove lavoratori, rei di aver scioperato per ottenere aumenti salariali: a ordinare la strage era stato il padrone dell'impresa, fratello del comandante generale dell'esercito Nicolás Hermoza Ríos. Testimoni che avevano preceduto Chuqui avevano indicato nel generale Hermoza Ríos e nell'ex eminenza grigia del regime, Vladimiro Montesinos, gli uomini che davano il via alle azioni del Grupo Colina: entrambi riferivano direttamente a Fujimori.

 

  • Iran / Francia. 3 febbraio. Se Parigi concreterà il suo progetto di costruire la sua prima base militare negli Emirati Arabi, nella regione ci sarà ulteriore «instabilità». Sul progetto francese di una base militare permanente ad Abu Dhabi, reso noto il mese scorso, interviene duramente Teheran: la sua politica nei confronti di Parigi potrebbe cambiare se la Francia continuerà nelle sue «politiche ostili».

 

  • Ciad. 4 febbraio. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha condannato l'attacco dei ribelli alla capitale N’Djamena e ha dato il nulla osta ai Paesi membri per aiutare il governo a respingere l’armata ribelle. Il comunicato è stato diramato dopo che l'ambasciatore ciadiano Mahamat Adoum ha inviato una lettera al Consiglio chiedendo a tutti gli Stati di «fornirgli tutto l'aiuto e l'assistenza necessari ad aiutare» il Paese a fermare l'aggressione dei ribelli che, dice, stanno cercando di «rovesciare il legittimo governo con la forza». Il consiglio ha chiesto ai propri membri di «fornire assistenza in conformità alla Carta delle Nazioni Unite come richiesto dal governo del Ciad». I ribelli, dal canto loro, accusano la Francia di aver «causato un numero enorme di vittime civili» nella città con un «intervento diretto». «Coscienti delle sofferenze della popolazione ciadiana e sottoscrivendo le iniziative di pace dei paesi fratelli, la Libia e il Burkina Faso, le forze della resistenza nazionale danno il loro accordo per un cessate il fuoco immediato», ha detto il portavoce dell'alleanza ribelle Abderaman Kulamallah, in un comunicato letto alla France Press da un telefono satellitare. Le forze della resistenza «si sbalordiscono del coinvolgimento diretto della Francia nel conflitto e condannano l'intervento diretto dell'aviazione francese che ha causato un numero enorme di vittime civili, soprattutto sul Liceo della Libertà e sul mercato centrale» di N'Djamena, ha aggiunto.

 

  • Colombia. 5 febbraio. La destra in piazza contro le FARC. Mezzo milione di persone, in piazza, ieri, a Bogotá, per dire basta ai sequestri che le FARC (Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia) compiono per ottenere uno scambio con i propri uomini e donne prigionieri nelle carceri di Uribe. Significativa la presenza, nel corteo, di membri dei gruppi paramilitari "smobilitati". L'iniziativa è stata promossa dal sito web Facebook che, secondo molti, è sostenuto finanziariamente dalla CIA (uno dei servizi segreti statunitensi). L'iniziativa ha coinciso con le dichiarazioni alla stampa del sergente Alexander Rodríguez e relative polemiche. L'ufficiale si è presentato alla magistratura per raccontare nei particolari come l'esercito uccida contadini e militanti sociali, facendoli passare per guerriglieri: una pratica che le organizzazioni per i diritti umani denunciano da tempo. In questi giorni l'immagine del presidente Uribe era fortemente appannata. Alla manifestazione di ieri non hanno partecipato i sindacati e il Polo Democrático Alternativo di Carlos Gaviria che pure critica le FARC.

 

  • Russia. 6 febbraio. «La nostra corsa al riarmo è tutta colpa degli Stati Uniti». Lo ha sostenuto nel suo ultimo discorso da presidente russo al Consiglio di Stato, ripreso dalla televisone di Stato, Vladimir Putin, che accusa NATO e Stati Uniti di espansionismo militare che non tiene conto degli interessi russi. Lo scudo stellare in Europa sul suolo polacco e ceco, la Serbia e il Kosovo, l’Iran, sono tutti segnali di un mondo che rischia di diventare gravemente instabile e dove è ricominciata una nuova fase di corsa agli armamenti nella quale la Russia, sostiene Putin, si troverebbe ora costretta alla rincorsa. Il presidente russo ha ricordato ai suoi cittadini come la ripresa dei voli strategici a lungo raggio, di sovietica memoria, debbano essere inquadrati in questa rincorsa russa per la difesa dei propri interessi e nuove armi tecnologiche saranno sviluppate per «adeguarsi» ai tempi che corrono. «Non è colpa nostra, altri hanno cominciato», ha detto Putin alludendo agli Stati Uniti.

 

  • Afghanistan. 7 febbraio. La NATO rischia la sconfitta in Afghanistan. Questo, in sintesi, il pensiero del segretario generale della NATO Jaap de Hoop Scheffer, in un’intervista rilasciata alla BBC a margine del vertice NATO a Vilnius, Lituania. «Se il terrorismo non viene affrontato in Afghanistan, le conseguenze non verranno avvertite solo localmente, ma anche a Londra, Bruxelles e Amsterdam», ha affermato Scheffer. Il segretario alla Difesa statunitense Robert Gates ha rincarato la dose affermando di essere «piuttosto preoccupato che la NATO in Afghanistan si stia evolvendo in un’alleanza spaccata in due, in cui vi sono alcuni alleati pronti a combattere e morire per proteggere la sicurezza della gente, e altri che non lo sono». Al centro delle critiche è soprattutto la Germania, che dispone di circa 3.000 soldati nel Nord dell’Afghanistan, e ha respinto al mittente la richieste di inviare soldati nel Sud. «Non sarà possibile risolvere il problema nel Sud se non avremo più soldati», ha fatto presente Soeren Gade, il ministro danese. Anche Peter McKey, ministro canadese, il cui esercito ha subito 80 caduti, ha minacciato di ritirare le truppe se non arriverà almeno un migliaio di uomini di rinforzo: «Quello che vogliamo vedere è un approccio tutti per uno, uno per tutti, che comprende, ovviamente, anche una divisione degli oneri nel Sud».

 

  • Italia / Kosovo. 8 febbraio. «L’Italia riconoscerà subito l’indipendenza del Kosovo». Così il portavoce della Farnesina Pasquale Ferrara ribadisce la posizione dello Stato italiano sul Kosovo, fugando ogni dubbio nato in seguito alla crisi di governo. L’Italia riconoscerà subito l’indipendenza del Kosovo, non appena la provincia l’avrà dichiarata con un atto atteso per le prossime settimane, sostenendo che «una posizione isolata» potrebbe per noi essere «problematica», vista la presenza di truppe italiane sul terreno.

 

  • Serbia / Kosovo. 8 febbraio. Il 17 febbraio ci sarà la proclamazione unilaterale contro la Risoluzione 1244 dell'ONU che riconosce la sovranità della Serbia. La dà per certa la data il giornale Koha Ditore. La proclamazione sarà appoggiata dall'Unione Europea. Proprio il giorno dopo la proclamazione, il 18, infatti, il vertice dei ministri degli esteri dell'Unione Europea (UE) darà l'avallo alla «missione civile e di polizia» che andrà a gestire l'indipendenza. Di fatto la decisione della UE vincola tutti i paesi europei. Se Italia, Gran Bretagna, Germania e Francia riconosceranno subito l'indipendenza anche se proclamata in modo unilaterale, contrari sono Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna, pur per ragioni anche interne ai propri confini statuali. Belgrado per protesta non firma, per ora, il vago mini-accordo di adesione all'Europa. Le enclave serbe si sono dette pronte a rivendicare l'appartenenza alla Serbia. La «missione civile e di polizia» si pone di fatto fuori dal diritto internazionale della Risoluzione 1244, giacché va a definire un improbabile quadro legale in alternativa alla missione NATO, com'è accaduto per la Bosnia con l'accordo dell'ONU. Stavolta è contro il Consiglio di Sicurezza dell'ONU dove la Russia annuncia il veto anche contro gli Stati Uniti che hanno alimentato l'indipendenza e la considerano cosa loro e già fatta. Il ministro serbo per il Kosovo, Slobodan Samardzic, d'altro canto, ha chiesto e ottenuto dai militari della NATO e dalla polizia dell'ONU garanzie che, nel caso di violenze, «devono agire rispettando il loro mandato, proteggendo la vita e i beni dei cittadini serbi». Se questo atteggiamento dovesse cambiare e questi patti non venissero rispettati, nessuno può escludere, tantomeno il governo serbo che potrebbe appellarsi alla Risoluzione 1244 e anche a quella unitaria del parlamento serbo di dicembre, anche un intervento con la forza per proteggere i serbi del Kosovo.

  • Serbia / Kosovo / Italia. 8 febbraio. Il servilismo nei confronti di Washington pone l'Italia, in Kosovo, in una situazione molto delicata e densa di incognite. Il ministro degli esteri Massimo D'Alema ha annunciato, un'ora e mezza prima dello scioglimento delle Camere in Italia, il sì al riconoscimento dell'indipendenza autoproclamata del Kosovo insieme alla missione civile e di polizia dell'Unione Europea (UE), per applicare –ha dichiarato– il Piano Ahtisaari che prevede una indipendenza controllata. Non l'ha discusso il governo e nemmeno il parlamento. Siamo al fatto compiuto. Eppure una missione internazionale così delicata non è certo disbrigo di «affari correnti» come il riconoscimento di una indipendenza unilaterale, giustificata in questi giorni dalla Farnesina come mezzo per «non isolare e proteggere in Kosovo i 2683 soldati italiani». È semmai vero il contrario: i soldati italiani della Kfor-NATO sono lì per garantire l'applicazione della Risoluzione 1244 che riconosce la sovranità della Serbia sul Kosovo. Decidere il contrario vuol dire metterli in un quadro non di maggiore legalità ma di aperta illegalità e perfino di paradossale conflitto con la «missione civile e di polizia» della UE che invece va a gestire il protettorato USA spacciato per «indipendenza». Visto che non è stato possibile fare come in Bosnia, dove la NATO ha dato il passo ad una missione UE: lì c'era l'accordo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, qui quell'accordo non c'è, anzi c'è conflitto aperto.

 

  • Afghanistan. 8 febbraio. Per il portavoce della Farnesina, Ferrara, le critiche statunitensi al comportamento degli alleati europei sono «pretestuose e inopportune». «Abbiamo già detto che l’Italia è al massimo delle sue possibilità in termini di presenza di truppe all’estero», ha ribadito in un incontro con i giornalisti Pasquale Ferrara, «non è certo l’Italia, tra i Paesi occidentali, quello che deve mandare più uomini. Il nostro contingente è in assoluto tra i più numerosi». Il problema sottolineato da Gates non riguarda comunque il numero, quanto la modalità di impiego delle truppe. E sotto questo punto di vista l’Italia, così come la Germania, è in serio imbarazzo. Basti vedere le reazioni suscitate dalle indiscrezioni raccolte dal sito Peacereporter.net sulle operazioni segrete condotte da truppe italiane, immediatamente (ed inevitabilmente) smentite dal Comando italiano in Afghanistan.

 

  • Irlanda del Nord. 9 febbraio. L'autista di Gerry Adams era nel libro paga dell'Mi5 (il controspionaggio interno britannico). Lo rivela oggi il quotidiano The Times. Roy McShane, detto "The Rat" (il ratto), 58 anni, uno degli autisti della direzione dello Sinn Féin, era un informatore, sul libro dell'Mi5. Poco dopo lo stesso Sinn Féin ha comunicato che l'autista era stato accantonato proprio perché sospettato di lavorare per i servizi segreti e che aveva lasciato Belfast. Sebbene O'Shane non ricoprisse incarichi di rilievo all'interno dell'Ira o dello Sinn Fein, avrebbe potuto essere a conoscenza di notizie riservate, data la sua vicinanza ad Adams. Fonti del partito repubblicano hanno affermato che l'uomo era sospettato già da anni di essere al soldo dell'Mi5. Secondo Alex Maskey (Sinn Féin), McShane era rimasto, nonostante ciò, al suo posto proprio per filtrare ai servizi ciò che facesse comodo al Sinn Féin. Si tratta del secondo caso in quasi tre anni, dopo quello analogo che inchiodò uno stretto collaboratore di Adams, Denis Donaldson, 56 anni. Donaldson fu ucciso a colpi d'arma da fuoco nell'aprile del 2006 in un'isolato cottage nella contea di Donegal, in circostanze mai chiarite, due mesi dopo aver ammesso di fare il doppio gioco.

 

  • Euskal Herria. 9 febbraio. Sospesa per tre anni, estendibili a cinque, l'attività del partiti indipendentisti Accion Nacional Vasca (Anv) e Partito comunista delle terre basche (Ehak, reo di aver ospitato nelle proprie liste gli indipendentisti illegalizzati). Incriminati i tre principali dirigenti di Anv. Lo ha stabilito ieri il giudice spagnolo Baltasar Garzon. Sono accusati di «collaborazione con una organizzazione terroristica» per i presunti legami con Batasuna, il braccio politico dell'ETA fuori legge dal 2003. La sospensione, con il placet del governo, impedirà ai partiti indipendentisti baschi di partecipare alle prossime elezioni legislative del 9 marzo. La scelta dei tempi, secondo non pochi osservatori, denota la natura «politica» del provvedimento. Intanto la magistratura ha trasformato in arresto, giovedì, il fermo di Pernando Barrena, ultimo portavoce in libertà del partito basco illegalizzato Batasuna, e di Patxi Urrutia, altro dirigente di Batasuna. Entrambi accusati di appartenenza all'ETA, si sono rifiutati di rispondere. In prigione è ormai quasi l'intera direzione del partito.

 

  • Euskal Herria. 9 febbraio. Immediate le reazioni agli ultimi arresti e alle illegalizzazioni dei due partiti. In diverse città basche gli indipendentisti della sinistra patriottica sono scesi in strada protestando contro Zapatero. Interrotto oggi, al grido di «indipendenza» e «rispettare i diritti di Euskal Herria», un meeting elettorale del premier José Luis Rodriguez Zapatero a San Sebastian. Alcuni dimostranti sono stati fermati. Durante la notte azioni di violenza urbana. La sinistra indipendentista ha convocato per domani una manifestazione a Bilbo (Bilbao) invitando il movimento a mobilitarsi in favore di «libertà e democrazia».

 

  • Italia / Argentina. 9 febbraio. Contro i Benetton, i mapuche resistono ancora. Il 14 febbraio dello scorso anno la comunità mapuche Santa Rosa Leleque occupava parte dei terreni di proprietà di Carlo e Luciano Benetton, facedone un simbolo della lotta indigena per il recupero dei territori ancestrali. La scelta dopo una serie di battaglie legali. Ora sono ancora lì. I Benetton sono proprietari, nel sud dell'Argentina, di quasi un milione di ettari, acquistati nel 1991 e rivendicati dalla popolazione nativa. Nella regione di Picún Leufú (provincia di Neuquén), intanto, la comunità indigena denuncia minacce e intimidazioni della compagnia petrolifera Piedra del Aguila: squadracce armate hanno incendiato case e ucciso numerosi capi di bestiame.

 

  • Francia / Afghanistan. 9 febbraio. Parigi offre di rinforzare il contingente canadese nel sud dell'Afghanistan (cfr. Afghanistan 7 febbraio). Ieri l'annuncio. L'esercito francese è posizionato nel sud del paese, a Kandahar, ed i suoi caccia bombardieri partecipano agli attacchi contro la resistenza afgana, attacchi che sovente vedono vittime civili giacché si bombardano anche villaggi. Parigi ha anche curato il pattugliamento, fino all'inverno 2006-2007, della zona montagnosa di Spin Boldak. La decisione della Francia sancisce un ulteriore, evidente avvicinamento alla NATO, integrandosi di fatto nell'ISAF, anche se è stata motivata come un gesto nel quadro degli storici legami con il Canada. Soddisfazione a Washington.

 

  • Kosovo. 9 febbraio. «La Ue ha già fallito, con la guerra e la mancata ricostruzione. Ora avalla una indipendenza unilaterale dove, dopo 9 anni, c'è solo il vuoto». Non usa mezzi termini sulla questione del Kosovo (e non è la prima volta) il generale Fabio Mini, ex comandante NATO in Kosovo. Critiche anche al ministro degli Esteri italiano («la fretta di D'Alema prepara un altro disastro»), che mercoledì, poco prima dello scioglimento delle Camere, aveva comunicato alle commissioni esteri di Camera e Senato che l'Italia avrebbe riconosciuto l'indipendenza unilaterale del Kosovo e aggiunto che, sui 2.000 uomini che l'Unione Europea vuole dispiegare in Kosovo per gestire l'indipendenza, 200 saranno italiani. Il parlamento italiano non l'ha mai discussa e nemmeno il governo in carica per il «disbrigo degli affari correnti». Secondo Mini, intervistato oggi da il Manifesto, «è un errore pensare che Tadic possa o abbia intenzione di barattare il Kosovo con l'ammissione della Serbia all'Unione Europea. Non può sfuggire a lui, e tanto meno a Kostunica, che legare l'accesso della Serbia all'Europa all'indipendenza del Kosovo significa sottostare ad un vero e proprio ricatto. La Serbia di Kostunica non è nuova ai compromessi. Milosevic è stato consegnato in cambio di una congrua ripresa degli aiuti finanziari, ma qui la situazione è diversa: la Serbia non sta cedendo un presunto criminale ad un tribunale internazionale, ma deve cedere la propria sovranità su una parte del paese che verrà gestita da chi deve ancora fare i conti con il tribunale internazionale. Se questo nella nostra logica è equivalente non lo è per quella di nessun serbo anche se smaliziato e desideroso di entrare in Europa come Tadic». Prosegue il generale: «l'Unione (Europea, ndr) non è in grado di sostituirsi alle Nazioni Unite neppure se lo volesse. Non ne ha la forza e non ne ha l'autorità neppure per una situazione regionale come quella del Kosovo proprio per le implicazioni globali che questa ha. Inoltre, l'Unione europea è già parte integrante del fallimento dell'Onu in Kosovo. Il cosiddetto pilastro della Ricostruzione era ed è gestito dall'Ue. Avrebbe dovuto rappresentare anche il perno per un cambio sostanziale di stile di vita delle popolazioni e avrebbe dovuto far decollare un Kosovo non vincolato alle politiche socio-economiche della ex-Jugoslavia. L'economia è il fallimento più grave del Kosovo, quello che ha vanificato un minimo di benessere che avrebbe consentito il ritorno dei rifugiati, l'attenuarsi delle rivendicazioni e delle vendette e il ristabilimento di una vera sicurezza. Tutto questo non è avvenuto e si sono sprecati anni e risorse infinite per essere ancora, e forse peggio, alla situazione del 1999. Se alle ultime elezioni oltre la metà dei kosovari albanesi non è andata neppure alle urne significa che hanno perduto la fiducia in tutte le organizzazioni internazionali che hanno preteso di dettare le condizioni. Oggi più che della negazione di qualsiasi compromesso da parte serba e albanese, bisognerebbe prendere atto della perdita di autorevolezza di tutte le organizzazioni internazionali agli occhi dei kosovari, serbi e albanesi, affrontando il problema con una buona dose di umiltà. Con la tendenza attuale si avalla una posizione estremista ed un atto unilaterale con altrettanto estremismo ed unilateralismo a scapito dell'intero quadro generale istituzionale».

 

  • Libano. 9 febbraio. Le elezioni presidenziali in Libano sono state nuovamente rinviate dall’11 al 26 febbraio. Lo ha detto oggi lo speaker del parlamento Nabih Berri, annunciando il 14° rinvio del voto. Il presidente viene eletto dal parlamento e secondo gli accordi di Taif, che posero fine alla guerra civile, deve essere scelto fra la minoranza di fede cristiano-maronita.

  • Palestina. 9 febbraio. «La colonizzazione israeliana rende inutili i nostri sforzi». A dirlo, ieri, è il primo ministro palestinese in Cisgiordania, Salam Fayyad, premier scelto dal presidente Abu Mazen mai legittimato da un voto del parlamento, il più fedele referente degli Stati Uniti (insieme a Dahlan) tra i dirigenti di Fatah del presidente Abu Mazen, molto gradito a Israele nonché nemico dichiarato di Hamas. «Non credo che una soluzione di pace definitiva... sia completata nel corso di quest'anno. Non credo che ciò sia probabile», ha ammesso giovedì sera da Austin (Texas) Fayyad. È sempre più evidente che l'accordo israelo-palestinese che George Bush vorrebbe entro la fine dell'anno, prima di lasciare la Casa Bianca, può attuarsi soltanto alle condizioni di Tel Aviv. Fayyad ha detto che le colonie ebraiche continuano ad espandersi (soprattutto intorno Gerusalemme) e le continue incursioni militari israeliane in Cisgiordania rendono difficile una disponibilità all'accordo della popolazione palestinese. «I nostri sforzi sono ostacolati, la nostra credibilità è indebolita, soprattutto in zone dove abbiamo compiuto progressi», ha lamentato Fayyad riferendosi in particolare a Nablus, città dove il suo governo ha inviato centinaia di uomini dei reparti speciali per obbedire al diktat statunitense e israeliano di mettere fine alla rivolta contro l'occupazione. In concomitanza con le sue parole, e dopo un'ulteriore riduzione dell'1% delle forniture di energia nella Striscia, il portavoce del ministero della difesa, Shlomo Dror, ha annunciato che le misure punitive verranno ulteriormente inasprite. Un pugno di ferro sempre più duro che non sta dando alcun risultato, se non quello di rafforzare il sostegno popolare ad Hamas e alle altre fazioni che proseguono nella resistenza.
  • Palestina. 9 febbraio. «Ci sono sempre più possibilità che alle forze di sicurezza israeliane venga ordinato di riprendere il Corridoio Philadelphi (tra Gaza e il Sinai)», ha scritto il Jerusalem Post. Da più parti si pensa che una vasta operazione di terra di Israele all'interno di Gaza sia ormai solo una questione di giorni e dovrebbe concentrarsi nella zona di Rafah, al confine con l'Egitto. Una volta che i piani operativi saranno pronti, ha spiegato il quotidiano, verranno presentati all'apparato politico per ottenere il via libera. Dopo aver rioccupato il Corridoio Philadelphi, le forze di sicurezza dovrebbero sigillare ermeticamente il confine –abbattuto il 23 gennaio dai palestinesi esasperati dal blocco israeliano– e richiuso nei giorni scorsi dalle guardie di frontiera egiziane. Sarebbe la fine dell'accordo raggiunto nel 2005, con la mediazione statunitense, che prevede una gestione Autorità Nazionale Palestinese (ANP)-Egitto del Corridoio Philadelphi ed un'altra ANP-UE (attraverso la presenza di osservatori), ma Israele sa che ora la sua posizione è largamente accettata a Washington e a Bruxelles e che, pertanto, una azione di forza troverebbe consenso.

  • Serbia / Kosovo. 10 febbraio. Mosca avverte:  l'indipendenza del Kosovo aprirà «il vaso di Pandora». A sostenerlo è il vice primo ministro russo Serghei Ivanov nel corso della Conferenza internazionale sulla Sicurezza a Monaco di Baviera. L'opposizione di Mosca alla secessione del Kosovo dalla Serbia si esprimerà, ha detto, anche con il veto su una proposta di risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che garantirebbe alla regione un'indipendenza anche se sotto tutela. «Vogliamo restare nell'ambito del diritto internazionale», ha detto Ivanov, «siamo contrari a creare un precedente e riteniamo che se si arrivasse a un riconoscimento unilaterale dell'indipendenza del Kosovo, ciò costituirebbe proprio un precedente che andrebbe oltre il diritto internazionale e rischierebbe di aprire un vaso di Pandora». La dichiarazione giunge mentre circolano voci sul 17 (le fonti diplomatiche insistono sul 18) come data della proclamazione dell'indipendenza. L'ala più dura del governo serbo è però decisa a rigettare qualsiasi accordo proposto dall'Unione Europea che sta cercando ad ogni costo di far firmare a Belgrado un accordo purché sia prima del 17; in questo modo la firma della Serbia sarebbe interpretata come un riconoscimento dell'indipendenza. La coalizione di governo serba è spaccata e paralizzata dal contrasto fra il partito del premier Kostunica (Dss, minoritario in consiglio dei ministri, ma in grado di far prevalere la linea dura in parlamento grazie al sicuro soccorso delle opposizioni ultranazionalista e socialista) e il Partito democratico (Ds, liberale) del neo presidente Tadic: contrario anch'esso al riconoscimento d'un Kosovo sovrano, ma strenuamente impegnato a tenere distinto questo dossier da quello dell'integrazione europea della Serbia del dopo-Milosevic. In Kosovo Thaci, leader kosovaro, forte del tradizionale sostegno USA e dei segnali positivi di molti paesi europei, si mostra sicuro e incurante dell'opposizione di Belgrado e del mancato sì all'indipendenza dell'ONU, dove Mosca difende le ragioni serbe, e si è detto convinto che «100 governi» siano già pronti a riconoscere il Kosovo indipendente. Uno Stato che per gli albanesi come lui è un sogno che s'avvera. Mentre per il Santo Sinodo della Chiesa ortodossa serba è addirittura un passo verso il vecchio «progetto nazifascista di Grande Albania: una metastasi a lungo termine per i Balcani e per tutta l'Europa».

 

  • Cina / Russia. 10 febbraio. Pechino dispone di più sottomarini della Russia. Per Andrei Chang, esperto di strategie militari cinesi e direttore della rivista Kanwa Defence Review, «la velocità con cui li stanno costruendo è stupefacente». E gli Stati Uniti sentono una forte minaccia in questo. Secondo analisti militari statunitensi la Cina avrebbe oggi più di 30 sottomarini invisibili a tecnologia avanzata, più molte decine di sottomarini più vecchi. Entro la fine del decennio, secondo questi esperti, la Cina avrà più sottomarini degli Stati Uniti e sarà una diretta minaccia ad un dispiegamento nell'area di flotte di portaerei USA. In una chiara dimostrazione della vulnerabilità delle portaerei USA, alla fine del 2006 uno dei nuovi sottomarini cinesi Song è stato capace di seguire a lungo la Kitty Hawk al largo di Okinawa, in Giappone, ed è stato avvistato solo quando è emerso alla superficie. Lo scriveva David League, “China enhances fleet of modern submarines”, su The New York Times (8 febbraio 2008).

 

  • USA / Afghanistan. 10 febbraio. Washington teme una sconfitta in Afghanistan. È stato molto chiaro il numero uno del Pentagono, Robert Gates, alla 44^ conferenza sulla sicurezza internazionale tenuta a Monaco di Baviera (Germania). Il suo intervento aveva il significativo titolo "Il futuro sviluppo dell'Afghanistan". Gates ha criticato le forti resistenze di molti membri dell'Unione Europea della NATO ad inviare truppe da combattimento nel Sud dell'Afghanistan, nella regione allo stato più pericolosa (per l'occupante) del Paese. Gates ha detto seccato che, «nella NATO, alcuni alleati non dovrebbero avere il lusso di optare solo per la stabilità e le operazioni civili, costringendo gli altri alleati a farsi carico di una parte sproporzionata dei combattimenti e delle perdite di vite umane». Nei giorni scorsi, la Germania aveva respinto richieste USA/NATO in tal senso. Salvo poi, nonostante le prese di distanza ufficiali, farsi insistenti le voci secondo cui la Germania starebbe pensando di aumentare di 1.000 (cioè fino a a 4.500) il numero di soldati da destinare all'Afghanistan e di allargarne il raggio d'azione anche all'Ovest del Paese (oltre che al Nord, dove operano adesso). Anche l'agenzia stampa tedesca Dpa –dopo il settimanale Der Spiegel– riporta che Berlino sta valutando questa possibilità. Avverrà prima del prossimo summit della NATO a Bucarest ad aprile? E cambierà la posizione della maggior parte dei paesi europei che si rifiuta di inviare le proprie truppe nel Sud del Paese, cioè nella zona più a rischio, come chiedono da tempo gli USA e la NATO? Intanto la Germania invierà una forza di reazione rapida nel nord dell'Afghanistan. Ad annunciarlo è stato il ministro della Difesa tedesco Josef Jung, a Berlino. Sostituiranno i militari norvegesi pronti a lasciare il paese in estate, ha detto.

 

  • Bolivia. 10 febbraio. Studente denuncia la CIA di aver cercato di reclutarlo come spia. Ieri, il dipartimento di Stato USA lo ha ammesso in un comunicato. Il tentativo di reclutamento si inseriva nel quadro del programma Fulbright (dal nome del senatore USA William J. Fulbright che lo concepì nel 1948 come scambio accademico tra i migliori studenti e borsisti). Durante il colloquio di orientamento, al borsista statunitense, John Alexander van Schaick, l'ambasciata statunitense a La Paz aveva chiesto di spiare cittadini venezuelani e cubani che partecipano a programmi di solidarietà in Bolivia. Il giovane ha poi raccontato il fatto alla catena tv statunitense Abc e la sua denuncia è stata confermata da altri studenti, che avevano ricevuto la stessa proposta. Quando ancora la cosa non era molto chiara, alla richiesta di chiarimenti del governo Morales, l'ambasciatore USA Goldberg aveva giurato che «mai nessun membro dell'ambasciata ha chiesto a un cittadino statunitense di compiere opera di spionaggio» e che il suo paese rispetta la sovranità e la dignità del popolo boliviano.

 

  • Euskal Herria. 11 febbraio. Ennesima ondata di arresti fra gli indipendentisti. A Bilbo (Bilbao) arrestato anche, fra i militanti del partito indipendentista basco Batasuna, Karmelo Landa, che aveva sostituito l'ultimo portavoce del partito, finito in carcere con l'accusa mossagli dal giudice Baltasar Garzon di far parte di ETA, il quale ha sospeso per tre anni anche due partiti legati in un modo o nell'altro all'indipendentismo.

 

  • Serbia / Kosovo. 11 febbraio. Per Belgrado l'indipendenza del Kosovo sarà dichiarata nulla. A dichiararlo ieri, alla stampa, il presidente serbo Boris Tadic e il primo ministro Vojislav Kostunica, al termine di un incontro sulla crisi politica in atto in Serbia che vede i vertici istituzionali divisi sull'opportunità di firmare un accordo con l'Unione europea, ma uniti sulla questione Kosovo.

 

  • Messico. 11 febbraio. Nello Stato di Oaxaca le violazioni dei diritti umani proseguono e la situazione è «più preoccupante» di quanto ci si aspettasse. Lo sostiene Ignacio García, rappresentante della ong spagnola Comisión Civil Internacional de Observación por los Derechos Humanos. «L'impunità continua a essere una politica di Stato», ha detto García. Sempre in tema di diritti umani, la settimana scorsa l'alto commissario delle Nazioni Unite Louise Arbour, dopo una visita di quattro giorni in Messico, aveva chiesto al governo di raddoppiare gli sforzi per combattere i feminicidios, l'uccisione di giornalisti e le reti di pedofili.

 

  • Irlanda del Nord. 12 febbraio. La Real IRA rompe il silenzio dopo cinque anni di silenzio e rilascia un'intervista all'Irish Republican News. «Stiamo uscendo da un periodo di riorganizzazione durato tre anni, in preparazione di una rinnovata offensiva. (...). Se c'è stata una attività militare minima visibile negli anni recenti, di contro c'è stata una grande ristrutturazione 'dietro le quinte'. Un importante lavoro di base è stato completato. Lo scorso novembre, l'IRA ha compiuto operazioni in pochi giorni in tre diverse località (...)». E aggiunge: «(...) I Britannici sono preoccupati. Si era parlato di un 'nuovo stile' della RUC/PSNI (RUC - Royal Ulster Constabulary. Corpo di polizia nordirlandese, perlopiù composto da protestanti (oltre il 90%), rinominato PSNI - Police Service of Northern Ireland in ossequio ai termini dell'Accordo del Venerdì Santo ndr) disarmata, in divise non da combattimento. Bene, sono tornati ad indossare giubbotti anti-proiettile ed a portare pistole. Le caserme di Strand Road sono state rifortificate a prova di razzi. Con altri attacchi alla RUC/PSNI crediamo sarà raggiunto il livello che riporterà i soldati inglesi nelle strade per sostenere i poliziotti. Cadrà la finzione che la presenza britannica è ormai andata e che la normalità regna. Il popolo sarà ancora una volta visibilmente conscio che rimaniamo una nazione occupata». Real IRA rivendica l'obiettivo «di sempre dell'IRA, costringere gli inglesi a ritirarsi. Non siamo diversi dagli uomini e dalle donne del 1916, del 1919 o del 1969 (...) Noi seguiamo la tradizione di Pearse e Connolly» e come obiettivi militari indica «quelli che promuovono e proteggono l'occupazione illegale delle sei contee i soldati Britannici, membri della RUC/PSNI e i ministri del governo Britannico. Nei confronti del pesonale delle prigioni abbiamo sempre avuto un approccio pragmatico basato sulle condizioni delle carceri». Alla domanda se i membri dell'esecutivo di Stormont, inclusi Martin McGuinness ed altri politici del repubblicano Sinn Féin, siano considerati come ministri britannici e quindi obiettivi agli occhi della Real IRA, il portavoce dell'organizzazione armata risponde pragmaticamente: «...gli obiettivi non sono sempre scelti sulla base della legittimità ma valutando se, colpendoli, sia politicamente vantaggioso o contro producente e, inoltre, sugli effetti che tali azioni avrebbero sul sostegno pubblico». Dopo la strage di Omagh (autobomba esplosa nell'agosto del 1998; morirono 29 persone. La Real IRA, accusata della strage, negò ogni coinvolgimento, ndr) l'organizzazione armata repubblicana dichiarò un cessate il fuoco per poi riprendere gli attacchi. All'intervistatore che chiede se la decisione non abbia mostrato «mancanza di rispetto per la vita umana e disprezzo per il sentire della gente», l'interlocutore risponde: «L'IRA ebbe un coinvolgimento minimo ad Omagh. Fu usato il nostro codice, nulla di più. (...) Questo è l'unico dettaglio che siamo preparati a rivelare per il momento. Omagh fu un'assoluta tragedia. Qualsiasi perdita di vite civili è deplorevole. Nessuno, in alcun esercito, eccetto forse quelli delle forze armate israeliane e americane, vogliono uccidere i civili. Ma le guerre non finiscono perché i civili vi muoiono durante».
  • Irlanda del Nord. 12 febbraio. Alla domanda su come possa «la Real IRA riuscire a costringere al ritiro i britannici quando la più grande e più potente Provisional IRA ha fallito», la replica è dura: «La Provisional IRA non ha fallito come organizzazione, la sua dirigenza l'ha portata al fallimento. Aveva un vasto arsenale ed un gran numero di Volontari. Avrebbe potuto essere molto più forte militarmente. Il declino nelle operazioni è stato causato dalla dirigenza. Vincere le elezioni divenne più importante che vincere la guerra. Non siamo militaristi  irriflessivi. La politica è importante e c'è chi condivide le nostre analisi politiche ma non rispondiamo ad alcun partito politico e questa è una forza non una debolezza». Su come possa «la Real IRA giustificare una campagna senza alcun mandato elettorale», la risposta è caustica: «Oglaigh na hEireann (nome gaelico dell'IRA, ndr) deriva il suo mandato dall'occupazione illegale dell'Irlanda ed il diritto del popolo irlandese di prendere le armi in difesa della sovranità nazionale. Solo durante gli ultimi anni i Provos ricevettero un mandato elettorale. Nel 1916 e nel 1969 non c'era alcun mandato elettorale». Quindi l'intervistato risponde a domande sulle armi a disposizione («pistole, fucili, pistole semi automatiche, fucili d'assalto, esplosivi plastici e nostre armi improvvisate. Dal 1997 il nostro arsenale è aumentato e cerchiamo sempre nuovi modi per riarmarci. Naturalmente, l'acquisizione di armi è un problema ma è un problema che l'IRA ha sempre risolto e che continuerà a risolvere») e su come «possa una campagna militare repubblicana avere successo, considerati gli enormi progressi tecnologici dei britannici nella sorveglianza» («Non abbiamo illusioni su questi progressi che abbiamo imparato e stiamo ancora imparando a superare. Storicamente, i britannici hanno avuto un equipaggiamento più sofisticato di quello dei repubblicani e noi siamo ancora qui. Non sottostimiamo i britannici al contrario tendiamo a sovrastimare le loro capacità»). Sul reclutamento: «Abbiamo abbastanza volontari per operare azioni armate. Stiamo reclutando in tutta l'Irlanda. Non posso essere più specifico per motivi di sicurezza. Le Volontarie svolgono un ruolo attivo e completo. Oglaigh na hEireann (l'IRA nella lingua gaelica, ndr) è aperta a chi ha più di 17 anni. Abbiamo una giusta proporzione tra elementi giovani e quelli di esperienza. Molti Volontari erano operativi e nuovi Volontari vengono addestrati (...) A chi vuole arruolarsi, gli si fa capire chiaramente la possibilità della prigione o della tomba. Se sono ancora interessati affrontano un periodo di rigoroso addestramento. Se, dopo, sono insicuri possono andarsene. L'IRA è un esercito di volontari».

 

  • Irlanda del Nord. 12 febbraio. «La vita nel Nord è enormemente migliorata per i cattolici. Non esiste più alcuna seria ingiustizia socio economica che possa giustificare la lotta armata. Perche continuare?». Il portavoce della Real IRA così risponde: «La lotta dell'IRA non è mai stata per il riformismo o i diritti civili ma per resistere ad un'occupazione straniera. L'IRA si è impegnata a combattere per la libertà del nostro paese, non soltanto per migliorare la parte sociale ed economica di un popolo occupato. Non è il caso di 'Britannici fuori' se la popolazione è povera e invece 'Britannici in casa' se c'è molto lavoro». Infine, a quali condizioni la Real IRA dichiarerebbe il cessate il fuoco? «Una dichiarazione di intento dei britannici relativa al ritiro della loro presenza militare dall'Irlanda e la fine di tutte le attività parlamentari nella nostra isola».

 

  • Palestina / Israele. 12 febbraio. Israele punta all'eliminazione fisica dei massimi dirigenti di Hamas. Se nemmeno così sarà piegata Gaza, allora l'esercito procederà ad un attacco in massa. Già da settimane, da quando Israele ha intensificato i suoi raid militari, i dirigenti di Hamas hanno fatto perdere le loro tracce. Irreperibile anche il primo ministro a Gaza del movimento islamico, Ismail Haniyeh. «È in un bunker sotto terra e solo alcune sue guardie del corpo conoscono il nascondiglio», scriveva ieri al Quds al Arabi di Londra. In cima agli obiettivi di Israele ci sono Mahmud Zahar (gli ha già ucciso due figli) e Said Siyam, ritenuti da Tel Aviv l'anello di congiunzione tra la direzione politica di Hamas ed "Ezzedin al Qassam", il braccio militare del movimento islamico. Hamas sta replicando con lanci di razzi. Nel corso di questa seconda Intifada, Hamas ha già visto uccidere alcuni dei suoi fondatori e capi militari – tra cui il leader spirituale Ahmed Yassin e il suo successore Abdel Aziz Rantisi. Comunque il ministro della difesa Ehud Barak ha ordinato alle forze armate di mettere a punto i preparativi per una vasta operazione militare. Ieri alla Commissione esteri e difesa della Knesset, ha detto che «i raid dell'esercito vanno avanti notte e giorno e saranno ampliati». Il ministro dell'interno Meir Shitrit ha chiesto addirittura la distruzione di interi quartieri di Gaza. Per il vice premier Haim Ramon, ex «colomba» laburista, passato a Kadima, «ogni palestinese implicato direttamente o indirettamente in tentativi di uccidere nostri cittadini è per noi un obiettivo».

 

  • Palestina / Israele. 12 febbraio. Nel 2008 non ci sarà nessun accordo di pace, ma solo una dichiarazione di principi. È l'ennesima doccia fredda che viene da Tel Aviv. Ieri, il numero due dell'esecutivo israeliano, Haim Ramon, è stato esplicito in tal senso in conferenza stampa. Insomma, per i palestinesi resta la ricetta di sempre: parole e morte. Durante la conferenza di Annapolis (novembre 2007), il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, ed il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese, Mahmud Abbas, si erano impegnati con il presidente statunitense, George Bush, a raggiungere un accordo di pace nel 2008.

 

  • USA. 12 febbraio. No USA a proposta russa per un trattato che proibisca le armi nello spazio. Washington ha speso somme ingenti sullo sviluppo di nuove generazioni di satelliti, in grado di colpirne altri appartenenti a Stati nemici. Il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov aveva proposto alla Conferenza sul Disarmo a Ginevra, con il sostegno della Cina, l’istituzione di un trattato che vieti il dispiegamento di armi nello spazio e l’uso o la minaccia di usare la forza contro satelliti o altri mezzi spaziali, avvertendo che in caso contrario c’è il rischio di una nuova corsa agli armamenti che potrebbe portare a una nuova Guerra Fredda, «che è durata quattro decenni e ha prodotto un gigantesco spreco di materiale e di altre risorse a spese della ricerca di soluzioni al problema dello sviluppo (…) Ha un senso ripetere questa storia?». Washington si è ritirata nel 2002 dal trattato antimissili balistici (ABM) per portare avanti il progetto di scudo antimissile, eredità del progetto dell’era Reagan (anni Ottanta). Al momento già esiste un trattato firmato nel 1967 che vieta l'installazione di testate nucleari in orbita o sulla luna ma che non prevede alcun ostacolo alle armi anti satellite.

 

  • Colombia. 12 febbraio. Uribe lancia un segnale di vicinanza ai paramilitari: il governo non parteciperà il 6 marzo alla marcia contro i gruppi paramilitari promossa dal Movimiento Nacional de Víctimas de Crímenes de Estado. Ad annunciarlo è stato José Obdulio Gaviria, stretto collaboratore del presidente Uribe. Motivo: la mobilitazione sarebbe stata «convoca