La tavola unisce, o divide. La passione comune per gli stessi piatti, uguali sapori, le stesse salse, si rivela una base più solida per il matrimonio che la condivisione di ideologie fumose, o di “princìpi” astratti. Si divorzia, infatti, più per il cibo, che per gli ideali.
Il peso che la cucina rivela oggi nell’accordo sentimentale della coppia scandalizza gli inappetenti, o gli spiritualisti incalliti. Non ci si innamora per un soufflé, dicono. Si tratta, però, di una posizione astratta.
Anzi, la riscoperta del valore del cibo per l’unione affettiva può solo aiutare l’istituzione matrimoniale, oggi tutt’altro che florida. Del resto, le nostre nonne lo sapevano già benissimo, e proprio per questo passavano con attenzione i loro saperi culinari alle figlie.
In ogni dialetto italiano c’è almeno un proverbio che spiega come la cucina decida, ancor più del letto, nell’armonia di un matrimonio. La cosa sembrava aver perso di importanza col femminismo, e la conseguente autonomia culinaria dei maschi. Si è pensato che, poiché gli uomini ormai sapevano cucinare da soli, la condivisione dei gusti in cucina non avesse più alcuna rilevanza affettiva. Era esattamente il contrario.
Le loro recenti competenze gastronomiche, maturate nei periodi più o meno lunghi e difficili in cui rimangono “single”, rendono questi nuovi uomini estremamente esigenti in tema di coscienza alimentare. Sono molto più competenti dei loro padri, e considerano certe trasandatezze in cucina (di cui si accorgono subito), un vero e proprio sintomo di insensibilità.
A tutto questo si aggiunge la comune consapevolezza, di uomini e donne, dell’importanza e degli effetti che i cibi hanno sulla salute.
Un tempo non ci si badava troppo, anche perché tutti erano molto più poveri, ed i cibi a disposizione meno ricchi e numerosi, e quindi anche più sani. Oggi invece il salutismo dietetico, la conoscenza delle intolleranze alimentari, per non parlare dello sfondo ideologico dei vari gusti (bene illustrato dal conflitto tra carnivori e vegetariani), confermano l’importanza dell’accordo sul cibo, come base solida di un’unione che vuole durare.
La cena, l’incontro a tavola, ridiventa dunque, nel matrimonio postmoderno, quello che è sempre stato: una delle situazioni centrali della vita umana.
Proprio per questo, del resto, il “convito” è un archetipo presente nell’inconscio collettivo di tutte le culture, dalla cena pasquale ebraica all’ultima cena, come simbolo dell’incontro, e dell’affetto. E’ lì, a tavola, che ti incontri davvero con l’altro, è nella condivisione di un cibo apprezzato che ti avvicini davvero a chi hai di fronte, fisicamente e spiritualmente.
La tavola, più che il salotto, dove si possono dire parole vuote o stereotipate, è il vero luogo dello scambio: di sguardi, di parole, di affetti ed esperienze. Tutto, però, parte, incomincia, dalla condivisione del cibo.
E’ a tavola, di fronte alla prova del “convito”, che scopri anche se l’altro è capace di relazione, di condivisione, oppure se è un mangiatore solitario, come l’autistico Don Giovanni (non in grado di avere una vera relazione affettiva), che nell’opera si diverte ad abbuffarsi da solo, stuzzicando la fame del servo. E’ da come l’altro sta nel convito, dalla sua attenzione e sensibilità verso il cibo e verso gli altri, che scopri se l’altro/a può diventare un amante, e un compagno, o se è semplicemente un predatore che si appaga divorando.
Per questi amati sbagliati il cibo è solo il momentaneo sostituto dell’altro, una donna, o un uomo da ingurgitare, per calmare un’insaziabile voracità.

da “Il Mattino di Napoli”