Un mare di plastica
di Pablo Ayo - 20/02/2008
“Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole”.
- Giovanni Verga
“Mare, profumo di mare”, recitava la sigla di una nota serie televisiva degli anni ’80. Ma che tipo di profumo può avere oggi l’Oceano Pacifico, dove secondo gli esperti esiste un minestrone galleggiante di plastica grande quasi il doppio degli Stati Uniti? Così gli oceanografi definiscono la massa di rifiuti che galleggia nel Pacifico, tenuta insieme dalle correnti sottomarine, che cresce a un ritmo vertiginoso e che costituisce di fatto la più grande discarica del mondo. L'isola galleggiante, scrive l'Independent, inizia a formarsi
Il “Pacific Trash Vortex”
Il “Pacific Trash Vortex”, ossia “gorgo di immondizia del Pacifico”, è un'isola di spazzatura, soprattutto plastica, formatasi nell'Oceano Pacifico a partire dagli anni Cinquanta, con un diametro di circa
Occasionalmente, improvvisi mutamenti nelle correnti oceaniche provocano la caduta, da parte di navi cargo di interi containers che non solo vanno ad alimentare il Nord Pacific Gyre, ma arenano su spiagge poste ai confini del PTV. La più famosa è avvenuta nel 1990; dalla nave Hansa Carrier sono caduti in mare ben 80.000, tra stivali e scarpe da ginnastica della Nike che, nei tre anni successivi, si sono arenati tra le spiagge degli stati della British Columbia, Washington, Oregon e Hawaii E questa non è stato l'unico caso: nel 1992 sono caduti in mare, decine di migliaia di vasche da bagno giocattolo e nel 1994 attrezzatura per hockey. Questi eventi sono molto utili per determinare, da parte di diversi istituzioni, i flussi delle correnti oceaniche su scala globale.
Per diversi anni alcuni ricercatori oceanici, tra cui Charle Moore, hanno investigato a fondo la diffusione e la concentrazione dei detriti plastici presenti nel North Pacific Gyre. La concentrazione della plastica è di 3.34x106 frammenti per km2, con una media di 5.1kg/km2 raccolti utilizzando una rete a strascico rettangolare delle dimensioni di 0.9x0.15 m2. A 10 mt di profondità è stata individuata una concentrazione di detriti pari a poco meno la metà di quella in superficie, detriti che consistono principalmente di monofilamenti, fibre di polimeri incrostati di plancton e diatomee.
Marcus Eriksen, ricercatore della Marine Research Foundation creata da Moore, spiega: “Inizialmente la gente si era fatta l'idea di un'isola di rifiuti di plastica sulla quale si sarebbe potuto camminare, ma non è così. È una specie di infinito minestrone di plastica, che si estende su di un’area grande forse il doppio degli Stati Uniti”. L'oceanografo Curtis Ebbesmeyer, che da più di 15 anni si occupa del problema della dispersione della plastica nei mari, paragona il gorgo di spazzatura a un organismo vivente: "Si divincola come un grosso animale senza guinzaglio", dice. Quando la “bestia” si avvicina alla terraferma, come è accaduto alle Hawaii, le conseguenze sono gravissime. “La massa di rifiuti rigurgita pezzi e le spiagge si coprono di un tappeto di plastica”.
Qualcuno potrebbe pensare che tutto sommato il mare è talmente grande che prima o poi riassorbirà anche l’odiata plastica. Ma il problema vero è l’effetto che il lento rilascio di PCB (Policlorobifenili) ha sulla catena alimentare che nasce dal mare, che coinvolge direttamente anche noi esseri umani.
Di recente, alcuni ricercatori dell’Università di Oslo, in cooperazione con gli esperti del Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell’Università di Tokyo, hanno pubblicato uno studio intitolato “Accertamento di contaminazione umana con agenti chimici che determinano disregolazione estrogenica ed il loro rischio per la riproduzione umana.” In questo documento, i ricercatori hanno postulato una teoria sui possibili effetti estrogenici di contaminanti ambientali come PCB, diossina ed insetticidi, che sta provocando molta preoccupazione. La "teoria estrogenica" indica che la persistente bioaccumulazione di agenti chimici influenza lo sviluppo fetale agendo come estrogeni. Questi determinano danni permanenti, in particolare negli organi riproduttivi. La teoria è basata sui rapporti su animali delle regione dei Gran Laghi in nord l'America, e sugli alligatori della Florida e sulla pesca nei fiumi in Gran Bretagna. Una riduzione della qualità del seme umano si è verificata durante il corso degli ultimi 50 anni, ed è stata indicata la possibilità che questo sia il risultato di una larga contaminazione ambientale. L'Incidenza più alta di altre malattie come ipospadia, criptorchidismo e cancro del testicolo indica anche che qualcosa sta colpendo la salute riproduttiva del maschio. Se l'incidenza più alta di endometriosi e cancro del seno può essere spiegata dall'ipotesi estrogenica è un forte interrogativo. Che molti contaminanti ambientali hanno effetti estrogenici, è stato documentato.
L’origine misteriosa di un continente di rifiuti
“La vittoria ha molti padri, la sconfitta è orfana” dicevano latini, e così anche per quello che riguarda il nostro maremagnum di rifiuti vagante, nessuno sembra avere particolarmente fretta di dichiararsene l’autore. Ma da dove può essere nata una tale marea di plastica e rifiuti non biodegradabili? Di sicuro non può essere semplicemente frutto del rilascio di oggetti o scarti da parte di navi in transito nei mari del pacifico. Le enciclopedie alla voce “rifiuti oceanici” hanno due voci, il “jetsam”, vale a dire il volontario lancio fuori bordo (jettisoned) di oggetti, generalmente per situazioni di emergenza, e il “flotsam”, descritto come la perdita di materiale di bordo in seguito a incidenti o schianti. Appare evidente che nessuna di queste due spiegazioni si attaglia alla situazione in essere, quante navi avrebbero dovuto naufragare per produrre una tale quantità di materiale inquinante? Certo, esistono casi limite come quello succitato della nave Hansa Carrier, che il 27 maggio del 1990, mentre procedeva verso gli Stati Uniti provenendo dalla Corea, naufragò a causa di una terribile tempesta tropicale, e 80.000 scarpe finirono in mare. Ma si tratta di casi rari e isolati, tant’è vero che il caso della Hansa Carrier è tutt’ora uno dei più studiati dagli oceanografi perchè è stato utilissimo per capire la struttura delle correnti oceaniche (http://www.msc.ucla.edu/oceanglobe/pdf/nike_invest.pdf ).
Ma se si tratta di casi così rari, come ha fatto a formarsi un’isola galleggiante di rifiuti grande quasi il doppio degli Stati Uniti?
Tornano in mente i traghetti nostrani, che carichi di rifiuti che nessuno desidera, approdano in Sicilia o in Sardegna in cerca di una zona di stoccaggio, con carichi di 800 tonnellate di immondizia per viaggio. Riguardo ai rifiuti del Pacifico, l’ipotesi più credibile allo stato attuale è che si tratti di rifiuti domestici che nessuno voleva, provenienti da parti del mondo dove lo stoccaggio e lo smaltimento dei rifiuti rappresenti un grosso problema. Nella sterminata discarica infatti si può trovare un po’ di tutto, dai palloni da calcio ai mattoncini del Lego, fino ai famigerati sacchetti di plastica, difficile quindi pensare a materiale di uso comune su di una nave. La massa inquinante in realtà è formata da due parti: la massa orientale, a sud-ovest del Giappone e quella occidentale a nord-ovest delle Hawaii. Curtis Ebbesmeyer, un oceanografo che da oltre 15 anni studia il problema della plastica dispersa in mare, ha paragonato il ”minestrone” ad un gigantesco organismo vivente: “Si divincola come un grosso animale senza guinzaglio”. E quando si avvicina alla terraferma, come succede all’arcipelago delle Hawaii, le conseguenza sono drammatiche: “È come se vomitasse e le spiagge si coprono di ‘confetti’ di plastica”. David Karl, un oceanografo dell’università delle Hawaii ha dichiarato che ulteriori ricerche sono necessarie per stabilire l’estensione e la composizione del ”minestrone di plastica”. Ma da dove proviene, fisicamente, la marea di plastica che sta imbrattando le isole Hawaii?
Il tratto di mare interessato all’inquinamento è sito tra Giappone e le coste della California, e interessa la zona delle isole Hawaii, in genere considerato un autentico paradiso ecologico. Una rapida analisi delle correnti oceaniche ci dimostra che per giungere in quel punto, la massa inquinante può provenire solo dal nord, e più esattamente dal Mare di Bering. In quel punto probabilmente si è generata la marea di plastica grande due volte gli USA che ora affligge il cuore del Pacifico. Lo Stretto di Bering è uno stretto marino tra Capo Dezhnev, il punto più ad est del continente asiatico, e Capo Principe di Galles, il punto più ad ovest del continente americano. È largo circa
Naturalmente, solo lo stato americano dell’Alaska e
Difficile pensare che interi carichi di ecoballe siano stati rilasciati dallo stato dell’Alaska così vicino a casa propria. Gli americani, quando devono disfarsi di rifiuti (specie se tossici o radioattivi), lo fanno ben lontano dalle loro coste, possibilmente in qualche sperduto paradiso ecologico del terzo mondo, dove non esistono quei diritti civili a cui sembrano così allergici. Dall’altra parte del mare di Bering, invece, abbiamo l’amministrazione Russa, che da anni riceve numerosi ammonizioni internazionali per la scarsa attenzione all’ambiente.
Il pericolo Kamchatka
Dato il suo clima subartico e la natura selvaggia del luogo,
Eppure, un luogo di bellezza selvaggia come
Una grossa base navale nei pressi di Petropavlovsk è piena di sottomarini nucleari malmessi, e in tempi recenti si verificano spesso affondamenti dovuti alla problemi di manutenzione, carente o addirittura totalmente inesistente.
Già nel 2005, la giornalista Lucia Sgueglia, della testata Lettera22, scriveva:
“Il declino del complesso militare russo procede da almeno un decennio, ma a passarsela peggio è proprio l’ex flotta sovietica. Negli ultimi anni i disastri militari si sono inanellati uno dopo l’altro, e la più colpita è proprio la marina. Nel 2003, il naufragio del sottomarino K-159 (un modello degli anni Cinquanta) mentre veniva condotto alla rottamazione causò nove vittime.
In uno studio del Marine Pollution Bulletin, Volume 35, numero 7, del lontano Luglio 1997, si affermava che:
“Scorie nucleari sigillate e sotterrate dalla Russia, sono presenti in diverse località a sud est della penisola della Kamchatka, nelle vicinanze della costa. Questo documento analizza la possibilità e i modi con cui queste scorie, se non correttamente sigillate, possano disperdersi dai siti di interramento e nelle correnti oceaniche. Una analisi delle circolazione delle correnti oceaniche a larga scala e un modello di studio suggeriscono che eventuali rifiuti radioattivi seguirebbero una traiettoria diretta verso il nord-est del Pacifico. Le analisi suggeriscono la possibile creazione di due flussi principali di materiale altamente tossico, anche se la velocità del modello teorico è estremamente variabile: la diffusione di tale scorie radioattive potrebbe impiegare come minimo 5 anni, e come massimo 100, per raggiungere il nord-est del Pacifico. Riflussi verticali nelle correnti sarebbero necessari per trasportare gli elementi contaminati verso la superficie e in prossimità di zone costiere, come quelle dell’Alaska, ma le informazioni su questi riflussi verticali allo stato attuale sono troppo scarsi per stilare un modello credibile delle aree geografiche a rischio.”
Conclusioni
Cosa vuol dire tutto ciò? È possibile che i russi, in qualche maniera, siano responsabili del disastro ecologico in atto nell’oceano Pacifico? Di sicuro, negli anni scorsi diversi giornalisti sovietici pur di indagare sul degrado e la corruzione del proprio paese, hanno rischiato il lavoro, la salute o talvolta (come nel caso della reporter di Novaja Gazeta, Anna Politkovskaya) la vita stessa. Nella Russia di Putin esistono una serie di collusioni, omissioni, giri d’affari e di interessi economici poco leciti, corruzioni e stravolgimenti delle vita pubblica, nel novero delle quali il fine tende inevitabilmente a giustificare i mezzi. In un quadro sociale e politico del genere, è possibile immaginare che i controlli, specie in ambito ecologico, siano di certo minori di altre parti del mondo, e altresì è facile trovare persone disposte, per pochi rubli, a compiere lavori ai limiti del legale, o ben oltre. Non è un mistero, ad esempio, che ad oggi i maggiori commerci illegali di materiale radioattivo sembrano partire quasi tutti dall’ex Unione Sovietica. E allora, l’enorme blob di plastica e oggetti inquinanti che sta galleggiando nel Pacifico, è nato forse dal degrado sociale e dalla carenza di controlli esistenti oggi nell’ex Urss, già denunciati diverse volte dalle numerosi leghe ambientali di tutto il mondo? Questo allo stato attuale delle cose non è dato saperlo, ma probabilmente i responsabili delle agenzie ambientali internazionali farebbero bene a iniziare le loro ricerche da lì. Sempre che la sempre maggiore necessità, specie in Europa, delle risorse energetiche provenienti dall’Est, non finiscano per rendere l’occidente sordo al grido di dolore che oggi proviene dall’Oceano Pacifico.