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Che cosa accadrebbe al cristianesimo se dovesse rinunciare alla storicità di Gesù?

di Francesco Lamendola - 22/02/2008

 

 

 

 

Abbiamo visto, nel precedente saggio Rudolf Bultmann, la religione e l'immagine mitica del mondo, lo sforzo compiuto dal teologo tedesco per enucleare dalla scorza del mito la verità originaria del cristianesimo; sforzo che ci era sembrato mal concepito e mal condotto, nonché tipica espressione di una teologia razionalista che, nell'ansia di demitizzare la religione, finisce per demolirne, involontariamente, le fondamenta stesse.

Eppure c'è stato un altro teologo tedesco che si è spinto ancora più lontano ed è giunto a domandarsi - sia pure come ipotesi estrema - che cosa accadrebbe se, dall'indagine storica, dovesse emergere non diciamo la non storicità di Gesù, ma l'impossibilità di stabilire il suo autentico e attendibile nucleo storico. Si tratta di Albert Schweitzer (Kaysasberg, Alsazia, 1875-Lambaréné, Gabon, 1965), universalmente noto come filantropo, fondatore di un lebbrosario nella foresta dell'Africa Equatoriale, e anche come grande studioso di Bach ed eccellente esecutore della sua musica organistica.

Egli giungeva a formulare quella ipotesi estrema in un monumentale saggio giovanile, apparso a Tubinga nel 1906 (quando l'autore era appena trentenne), intitolato Geschichte der Leben-Jesus-Forschung, ossia Storia della ricerca sulla vita di Gesù (traduzione italiana di Francesco Coppellotti, Brescia, Paideia Editrice, 1986).

In quest'opera dottissima e monumentale di circa 800 pagine, che, pur procedendo con il rigore dello specialista, è scritta in uno stile semplice e piano, che invoglia anche il lettore comune, si avverte il particolare contesto storico nel quale essa nacque: uno storicismo razionalista che, procedendo da una "demitizzazione" all'altra, sembrava ormai avviato a concludere per l'impossibilità di esprimere una valutazione sulla esistenza storica di Gesù o, quanto meno, sulla nostra possibilità di ricostruirne in modo attendibile la personalità, la reale prospettiva escatologica, il rapporto fra escatologia ed etica.

Si ragionava, specialmente nell'area di lingua tedesca - ove tali ricerche erano più rigorose e avanzate - più o meno così: i cristiani della chiesa nascente aspettavano fermamente una prossima fine dei tempi. Ora, anche Gesù sembra aver condiviso tale aspettativa apocalittica; ma allora che cosa bisogna pensare: che i primi cristiani abbiano attribuito a Gesù una simile prospettiva escatologica, adattandone l'insegnamento alle loro proprie idee "paoline" (chiamiamole così, per semplificare), oppure essene, o, ancora, neotestamentarie; oppure che Gesù ritenesse davvero imminente la fine del mondo e l'avvento del Regno divino? In ogni caso, il dubbio rimane: ergo, non è possibile stabilire storicamente quale fosse la convinzione esatta di Gesù su una questione di così fondamentale importanza. E lo stesso genere di ragionamento vale per tante altre questioni; al punto che, alla fine della ricerca, alcuni studiosi si sono trovati a domandarsi che cosa fosse rimasto della realtà storica di Gesù, e se essa non sia altro che una base oscura ed incerta, sulla quale è stata elaborata una concezione puramente teologica del Risorto, il Figlio di Dio.

Oggi questa  prospettiva storicistica sembra, in parte, sorpassata.

È vero che, ancora pochi anni fa, uno storico delle religioni come Ambrogio Donini (discepolo di Ernesto Buonaiuti) riecheggiava il dubbio radicale di uno storicismo esasperato. Nella sua breve storia delle religioni (Roma, Newton & Compton, 1994 (revisione dell'edizione del 1959 per gli Editori Riuniti), egli interpretava la scoperta dei rotoli di Qumran non come una conferma della base storica fornita dai Vangeli, ma bensì come un colpo decisivo inferto al "mito di Gesù". Riportiamo qualche passo dall'opera citata (pp. 243 sgg):

 

"Da alcuni decenni un intero stato maggiore di esegèti cattolici, ebrei e protestanti è impegnato nella disperata impresa di dimostrare che tra il movimento sorto sulle rive del mar Morto  e il cristianesimo delle origini esistono solo marginali e che tre il 'Maestro di giustizia' del Qumran e il Maestro della 'nuova alleanza cristiana' non c'è possibilità di confronto. L'interpretazione autentica dei nuovi testi, secondo costoro, farà rientrare a poco a poco il messaggio evangelico nell'alveo della 'rivelazione'.

"Il turbamento del mondo ecclesiastico di tutte le denominazioni religiose non è ingiustificato: si tratta infatti del più serio attacco che l'evidenza storica abbia sinora portato alla consistenza e all'originalità.

"Si è arrivati persino a sostenere, per cercar di salvare qualcosa dell'autenticità della narrazione evangelica, che tra i dodici e i trenta anni della sua vita , su cui il Nuovo Testamento non offre particolari -  i cosiddetti 'diciotto ani di silenzio' - Gesù avrebbe trovato ospitalità presso la comunità del Mar Morto e avrebbe così assimilato  una parte notevole di quelle dottrine e di quelle pratiche rituali. In altre parole, si vorrebbe spiegare il mito con un altro mito: gli 'anni perduti' di Gesù, infatti, non sono altro che una pia invenzione  delle prime generazioni cristiane.

"Quello che si può senz'altro dire, è che anche nella figura del 'precursore' di Gesù, Giovanni il Battista, fatto arrestare e decapitare dal tetrarca di Galilea e Perea, Erode Antipa, riecheggiano i motivi centrali della predicazione del 'Maestro di giustizia' del Qumran. (…)

"Le testimonianze di Tacito, Svetonio, Plinio il giovane, Giuseppe Flavio e dei testi rabbinici sono tutte tardive, confuse o di origine sospetta. A uno storico ebreo  della seconda metà del I secolo d. C., Giuseppe Flavio, che prima di passare ai Romani aveva preso parte alla guerra giudaica del 57-70, gli interpolatori cristiani hanno addirittura fatto dire che Gesù era «il Messia», cosa due volte assurda in un autore di fede mosaica, che in un'altra sua opera aveva invece dichiarato che per lui «il Messia era Vespasiano» (Giuseppe Flavio, Antichità giudaiche, XVIII, 31; Guerra Giudaica, VI, 312-313).

"I quattro vangeli, d'altra parte, non costituiscono una testimonianza storica diretta, sia perché intessuti di ingenuità, di inesattezze e di stridenti contraddizioni, redatti come sono a tanta distanza di tempo dai fatti che intendono narrare, sia perché non sono stati scritti in terra di Palestina e tanto meno in una delle lingue correnti tra quelle popolazioni, l'ebraico e l'aramaico. Il paese che essi descrivono è in gran parte immaginario. I vangeli sono stati pensati e scritti lontano dalla Palestina, nel greco popolare dei centri urbani dell'Asia minore e dell'Africa settentrionale, dove esisteva da tempo una forte emigrazione ebraica, che si calcola in alcuni milioni. Ma là dove manca una documentazione attendibile, abbondano le tradizioni popolari e le elaborazioni di una accesa fantasia religiosa. Dobbiamo perciò seguire una traccia, che passa sempre attraverso la leggenda, pur nella suggestiva ricchezza di motivi ideali e morali legati alle esperienze di intere generazioni di credenti. (…)

"L'immagine esteriore di Gesù è (…) solo una creazione fantastica, elaborata nel corso dei tempi. Ma lo stesso è accaduto per ogni altro aspetto della sua personalità, per ogni suo detto, per ogni sua reazione. La leggenda cristiana è il frutto di una complessa opera di costruzione svolta dagli uomini nei secoli, attraverso un lento e laborioso processo di trasformazione e di adattamento. Asceso, secondo la fede, nell'alto dei cieli, ove siede alla destra di Dio, Gesù il Cristo ha perso ogni dimensione sul terreno della storia. A poco hanno giovato le minuziose ricerche intraprese in ogni tempo per rintracciare i segni della sua esistenza, anche quando ci si è potuti servire  dei metodi creati dalla critica moderna.

"Il processo di trasformazione di tutti i momenti salienti della vita di Gesù, dalla nascita alla passione e alla morte, appare confermato dalle ricerche più accurate, condotte in questi ultimi decenni, sulla religiosità del mondo mediterraneo.  Agli occhi della critica storico-religiosa, la figura di Gesù  non si presenta dissimile da quella delle altre divinità dei 'misteri', di cui dal VI sec. a. C. in poi si pretendeva conoscere una vicenda analoga  di nascita miracolosa, di sofferenza, morte e resurrezione."

 

La posizione di Donini, ad ogni modo, risente di un evidente pregiudizio ideologico e tradisce la volontà di forzare i dati storici (ad esempio, l'epoca di composizione dei Vangeli) per dimostrare una tesi preconcetta: che tutta la biografia di Gesù sia puramente leggendaria e che, in ogni caso, il Gesù che noi conosciamo sia totalmente frutto della rielaborazione mitica delle antiche comunità cristiane.

Noi non vogliamo, tuttavia, in questa sede, addentrarci sul terreno puramente storico, bensì riflettere su che cosa sarebbe del cristianesimo, dal punto di vista teologico, qualora esso si trovasse nelle condizioni di dover rinunciare alla figura storica di Gesù, così come essa è presentata nei racconti  evangelici e come è stata elaborata, nel corso dei secoli, dalla tradizione cristiana.

Nell'opera citata, Schweitzer si è coraggiosamente confrontato con questo problema, nel corso di una approfondita panoramica delle posizioni espresse da una lunga serie di studiosi circa il dato storico della vita di Gesù, partendo da Reimarus e arrivando fino a Wrede e Arthur Drews, attraverso Scheliermacher, D. F. Strauss, Bruno Bauer, Ernest Renan.

Così, a un certo punto, egli si esprime in proposito (p.  622-23):

 

"Da un punto di vista puramente logico la storicità e la non storicità di Gesù restano sempre soltanto congetture. Una teologia che sul piano filosofico-religioso non fa i conti con questa riflessione si espone alle casualità più imprevedibili e non può mai pretendere di essere scientifica. È come un esercito che marcia senza nessuna copertura e può quindi venir sorpreso e messo in pericolo da uno scarso numero di forze nemiche.

"La questione filosofico-religiosa è pertanto molto più importante di tutte le prove e di tutte le confutazioni storiche. Fin dall'inizio il cristianesimo moderno deve sempre fare i conti con la possibilità di un eventuale abbandono della storicità di Gesù. Non può accrescere artificiosamente la sua importanza, riportare a lui ogni conoscenza e trasformare la religione in senso 'cristocentrico'. Il Signore può essere sempre solo un elemento della religione, ma non può mai venir presentato come il suo fondamento..

"In altre parole, la religione deve disporre di una metafisica, cioè di una visione fondamentale dell'essenza e del significato dell'essere, che sia completamente indipendente dalla storia e dalle conoscenze trasmesse dalla tradizione e possa venir creata di nuovo in ogni istante e in ogni soggetto religioso. Se non possiede questa realtà immediata e imperitura, la religione si fa schiava della storia e il suo spirito servile deve sentirsi sempre minacciato e in pericolo.

"Chi diede le parole d'ordine 'cristocentrico' e 'basta con la metafisica' non era dunque un grande stratega nel campo dello spirito. A lui dobbiamo se la teologia ha dovuto marciare sulla linea di combattimento contro le ipotesi non troppo scientifiche dei Robertson, degli Smith e dei Drews, costretta a resistere in una serie di battaglie indecise. Ma questi attacchi, che hanno tenuto la teologia con il fiato sospeso e l'hanno demoralizzata, diventeranno scontri di avamposti che occupano le truppe storiche ma non coinvolgono il grosso dell'esercito, se la teologia saprà darsi un assetto che la renda intimamente indipendente dalla storia. Un assetto al quale ricorrere di fronte a questi attacchi, perché presuppone una visione filosofico-religiosa che prevede fin dall'inizio la possibilità della perdita della storicità di Gesù."

 

Si può non condividere questa impostazione del problema - e, di fatto, la teologia cristiana odierna, e specialmente quella cattolica, è schierata su tutt'altre posizioni -, tuttavia non si può fare a meno di ammirare l'audacia concettuale di Schweitzer, la sua capacità di pensare in grande, la vastità del colpo d'occhio con cui afferra tutta la portata del problema della biografia storica di Gesù e ne coglie al volo le possibili, forti ripercussioni teologiche.

Di fatto, l'avere impostato la religione cristiana sull'elemento cristocentrico - spostamento che, rispetto alla predicazione del Gesù storico, si deve soprattutto alla teologia paolina, focalizzata sulla figura meta-storica del Risorto - implica il rischio, come acutamente vedeva Schweitzer già un secolo fa, di esporla a un eventuale collasso, qualora dovessero emergere dati irrefutabili circa la non storicità della figura di Gesù, quale ce la presentano i Vangeli.

Già adesso è sufficiente che si facciano avanti un mediocrissimo romanziere come Dan Brown, o dei saggisti poco scrupolosi sul piano storico-filologico, come quelli che hanno sfornato tutta una letteratura sulla identificazione del Graal con la discendenza diretta di Gesù e Maria Maddalena, per gettare un certo scompiglio tra le file dei teologi cattolici, che si stringono e fanno quadrato per smentire l'attendibilità di tali teorie; ma, intanto, incassano il colpo. Oppure si pensi a quanti autori cristiani si sono schierati a favore dell'autenticità della Sindone di Torino e all'evidente imbarazzo con cui hanno dovuto accogliere, poi, alcune recenti risultanze dei test sulla sua datazione, che sembrano collocare la reliquia in un contesto di falsificazione medioevale, probabilmente in ambiente costantinopolitano. Ora, che cosa accadrebbe se dovessero emerge elementi seri e oggettivi che depongano a favore di una diversa interpretazione della vita e dell'insegnamento di Gesù, rispetto ai dati acquisti dai Vangeli e dalla tradizione?

Ci sembra, pertanto, che l'intera questione, comunque la si voglia considerare e da qualunque punto di vista, rimandi sempre all'alternativa di cui abbiamo parlato nel precedente saggio La fede in Gesù esclude che si possa parlare della fede in Gesù?; all'alternativa, cioè, fra una teologia interamente basata sul dato storico (che presenta, però, numerosi punti oscuri o di dubbia interpretazione) ed una che sia,invece, autonoma e svincolata da esso.

Si badi, non intendiamo dire che la teologia cristiana possa fare del tutto a meno della figura storica di Gesù. Quel che intendiamo dire è che, se tale figura presenta, come presenta, una serie di elementi che non ne consentono una lettura univoca ed auto-evidente - quali fossero le sue premesse culturali e il suo orizzonte escatologico; se si ritenesse il Messia nel senso tradizionale del termine o non, piuttosto, l'incarnazione di Dio; se ritenesse imminente, o meno, la Parusia; come interpretasse la propria morte sulla croce; ecc. -, allora bisogna forse pensare alla teologia non semplicemente come l'elaborazione dottrinaria del dato storico, ma come una costruzione autonoma che, partendo da quel dato, ha sviluppato una serie di valori autosussistenti: primo fra tutti la fede nel Padre e nello Spirito santo.

In genere, sono i cattolici di impostazione razionalista che ritengono indispensabile restare saldamente ancorati al dato storico della biografia di Gesù, come è provato dall'esultanza con la quale essi accolgono ogni nuovo elemento archeologico e paleografico che confermi i dati storici trasmessi dai Vangeli (come, ad esempio, il ritrovamento dell'iscrizione relativa al procuratore Ponzio Pilato, altra figura storica che era stata più volte messa in dubbio dalla critica storica). La conferma dei dati archeologici riesce particolarmente gratificante per questo genere di persone, perché consente loro di conciliare, entro certi limiti, il rigore metodologico della scienza storica con il paradosso e lo scandalo (per usare un linguaggio kierkegaardianoo) che stanno al fondo del Vangelo: l'annunzio della morte, risurrezione e ascensione al Padre di Gesù Cristo. L'ideale, per esse, sarebbe di poter giungere, grazie a qualche nuova scoperta archeologica (sul genere della Sindone), a una qualche conferma oggettiva del dato della fede: il che è, manifestamente, impossibile. Aver fede significa, infatti, credere in una realtà invisibile, come ha più volte sottolineato, stando al racconto evangelico, lo stesso Gesù.

Se l'oggetto della fede diventa visibile, allora la fede non è più tale, ma diventa un dato oggettivo e incontrovertibile, una realtà storica dalla quale viene allontanato ogni elemento di trascendenza e di mistero. A Tommaso, infatti, che ha creduto nella resurrezione del suo Maestro, solo dopo averlo veduto, Gesù esplicitamente dice: "Tu hai creduto perché hai visto; beati quelli che hanno creduto senza aver visto" (Giovanni, 20, 29).

Cediamo ancora la parola ad Albert Schweitzer che, nel capitolo conclusivo del so poderoso trattato, afferma (pp. 744-755):

 

"Chi parla di teologia negativa pronuncia senza difficoltà un giudizio negativo sui risultati della ricerca sulla vita di Gesù.

"Il Gesù di Nazareth che comparve come messia, annunciò l'etica del regno di Dio, fondò sulla terra il regno dei cieli e morì per consacrare la sua opera non è mai esistito. Si tratta di una figura che il razionalismo ha costruito, il liberalismo ha ravvivato e la teologia moderna ha rivestito storicamente.

"Quest'immagine non è stata distrutta dall'esterno, ma si è frantumata in se stessa, sconvolta e lacerata da tutti quei problemi storici reali accumulatisi l'uno dopo l'altro e che nessuna astuzia, nessuna tecnica, nessun artificio e nessuna violenza sono riusciti a sradicare da quella visione complessiva che aveva prodotto il Gesù della teologia degli ultimi centocinquant'anni. Questi problemi risorgevano ogni volta in forma nuova, non appena si credeva di averli sepolti.

"Qualunque possa essere la soluzione definitiva, il Gesù storico che la ricerca disegnerà sulla base dei problemi riconosciuti ed ammessi non potrà rendere alla teologia moderna quei servigi che essa pretese dal suo Gesù storico, che era semistorico e semimoderno insieme. Non sarà più quel Gesù Cristo a cui la nostra epoca religiosa può mettere in bocca secondo le vecchie abitudini le sue concezioni e le sue conoscenze, come ha fatto con il suo Gesù Cristo. E non è nemmeno quella figura che essa può rendere universalmente comprensibile al popolo nei particolari storici, come credeva di poter fare con il suo Gesù Cristo. Le sue idee e il suo agire tutto particolare manterranno sempre per la nostra epoca qualcosa di estraneo e di enigmatico. (…)

"Il fondamento storico del cristianesimo come è stato presentato dalla teologia razionalistica, liberale e moderna non esiste più, ma ciò non significa che il cristianesimo abbia perduto per questo il suo fondamento storico. Il lavoro che la teologia storica credeva di dover svolgere e vede crollare, proprio nel momento in cui è prossimo il suo compimento, è solo il rivestimento in mattoni del fondamento vero, irremovibile e storico che è indipendente da ogni conoscenza e giustificazione storica, poiché è qui davanti a noi.

"Gesù è qualcosa per il nostro mondo, perché una grande corrente spirituale è nata da lui e pervade anche il nostro tempo. Nessuna conoscenza storica può scuotere o rafforzare questo dato di fatto. (…)

"Un'epoca ha (…) con Gesù un legame vero e vitale solo se il suo universo ideale si esprime in termini etico-escatologici e se nella sua visione del mondo appaiono gli equivalenti di quella volontà e speranza che stanno per lui in primo piano. Dev'essere perciò un'epoca dominata da pensieri corrispondenti a quelli riscontrabili nel concetto di regno di Dio proprio di Gesù.

"Se i segni non ingannano, noi ci avviamo verso un'epoca di questo tipo. (…)

"Il nostro rapporto con Gesù è in fin dei conti di carattere mistico. E d'altra parte nessuna personalità del passato può venir collocata nel presente in modo vitale mediante una considerazione storica o attraverso riflessioni che pongono in luce il suo significato decisivo. Noi possiamo acquisire un legame con essa solo se ci incontriamo nel riconoscimento di una volontà comune, se constatiamo che nella sua volontà la nostra si chiarisce, si allarga e si ravviva e se in essa ritroviamo noi stessi. In questo senso ogni rapporto più profondo tra gli uomini è di carattere mistico e la nostra religione, nella sua specificità cristiana, è non tanto un culto di Gesù, quanto piuttosto una mistica di Gesù.

"Solo così Gesù crea anche comunione tra di noi. Non lo fa in quanto simbolo o qualcosa di simile. Se noi siamo uniti reciprocamente e con lui, nella volontà di porre il regno di Dio sopra tutto per servire a questa fede e a questa speranza, nasce una comunione fra lui e gli uomini di tutte le generazioni che hanno vissuto e vivono nello stesso pensiero."

 

Sono riflessioni ancor oggi attuali, benché scritte più di cento anni fa, le quali toccano questioni centrali del cristianesimo.

Basterebbe questo per farci comprendere quale sia stata l'eccezionale  statura di Schweitzer come teologo, che i più conoscono, invece,  quasi soltanto come medico, filantropo o, tutt'al più, come  musicista.

Perché un libro di teologia che si fa ancora leggere con tanto pathos a oltre un secolo dalla sua pubblicazione, di certo non è un'opera effimera, ma una pietra miliare nella storia del pensiero religioso.