Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / Cambogia, l’inferno che cambiò Tiziano Terzani

Cambogia, l’inferno che cambiò Tiziano Terzani

di Gabriel Bertinetto - 22/02/2008


MEMORIE L’incontro con la tragedia dei khmer rossi nel libro postumo del grande corrispondente. In Fantasmi, tra rigore e disillusione, un momento topico nella biografia del giornalista che proprio allora conobbe una svolta decisiva

La svolta nel percorso umano e professionale di Tiziano Terzani è datata 6 giugno 1976. Quel giorno il settimanale L’Espresso pubblica la corrispondenza in cui si racconta il cambio di governo a Phnom Penh. I khmer rossi hanno preso il potere già da un anno, ma sinora la «Repubblica democratica di Kampuchea» ha avuto come capo di Stato nominale l’ex-re Sihanouk. Sihanouk ora annuncia le dimissioni. Cade il simulacro di un’alleanza fra tutte le forze nazionali ostili al governo fantoccio che gli americani avevano messo in piedi nel 1970 per poter meglio combattere la loro guerra d’Indocina. I khmer rossi non hanno più bisogno di coperture formali. Pol Pot è il nuovo primo ministro. Annota Terzani: «Nessuno fuori dalla Cambogia ha sentito questo nome prima d’ora». Se ne sentirà parlare tantissimo negli anni a seguire. Ancora oggi quel nome è associato alla memoria del rivolgimento politico più ferocemente radicale che l’umanità abbia conosciuto in epoca moderna. Tre anni e mezzo di annichilimento fisico, culturale, sociale, nel nome di un progetto di palingenesi che prevedeva di costruire l’utopia comunista del futuro sull’azzeramento completo del passato.
Per la Cambogia la svolta è già avvenuta il 17 aprile del 1975, quando l’esercito di guerriglieri-contadini laceri e scalzi ha invaso le strade della capitale Phnom Penh ed ha immediatamente avviato la gigantesca deportazione dei suoi abitanti verso i campi di lavoro nelle campagne, nella jungla.
Per il grande inviato di guerra, innamorato dell’Asia, del mestiere giornalistico, degli ideali socialisti, la svolta inizia in quel giugno del 1976 in cui gli eventi lo costringono a rielaborare la sua visione della vita e del mondo. O perlomeno, è qui che ci sembra di coglierla nel suo momento di maturazione drammatica, in cui la nostalgia di un magnifico sogno infranto si fonde con l’obbligo di fare i conti con la realtà. Qui, in questo articolo del giugno 1976, raccolto nel volume Fantasmi dall’editore Longanesi assieme ad altre corrispondenze cambogiane uscite su vari giornali italiani e stranieri in un arco di tempo che spazia dal 1973 al 1993. Vediamo il professionista onesto mettere i lettori al corrente dei dubbi che stanno inesorabilmente affiorando in lui. Saltano i vecchi schemi di analisi, la realtà si presenta con più facce, ed emerge il timore che quella meno bella e gloriosa corrisponda purtroppo maggiormente al vero.
«I racconti dei rifugiati cambogiani - scrive Terzani - descrivono i khmer rossi come una banda di assassini assetati di sangue... I dettagli delle esecuzioni sono raccapriccianti. Per risparmiare le pallottole i condannati sarebbero stati finiti a colpi di bastone e di baionetta o soffocati con sacchetti di plastica legati attorno al collo. I bambini sarebbero stati semplicemente squartati o presi per le gambe e sbatacchiati contro gli alberi. Quanti i morti? Mezzo milione, settecento, ottocentomila. Un vero genocidio, dicono i rifugiati». Tiziano non può fare a meno di registrare quelle testimonianze. Ed è evidente che non sono solo raccapriccianti in sé, ma bruciano come altrettante coltellate al cuore per l’idealista che vede sgretolarglisi davanti agli occhi l’amato castello di convinzioni e di speranze. La prosa esprime obiettività narrativa e tormento interiore: «Le prove? Decisive, inconfutabili, nessuna. Anzi, ogni documento che dovrebbe avallare la storia dei massacri è così poco credibile da far pensare che il tutto sia un’abile montatura». Il giornalista espone i fatti e cerca di trovare un filo logico, una chiave esplicativa: «I massacri sono dunque una montatura propagandistica dei nemici della Cambogia, come affermano le autorità rivoluzionarie di Phnom Penh? O qualcosa di terribile è davvero successo nel paese, che è poi stato esagerato e distorto dalla propaganda anticomunista?». «La seconda ipotesi - conclude Terzani, quasi rassegnato a quella terribile ammissione -, è più verosimile».
Il giornalista cerca di spiegare, si aggrappa alle circostanze storiche per giustificare avvenimenti che lo lasciano ora perplesso, ora disgustato. L’evacuazione manu armata della capitale dipese dal fatto che la città era senza riserve di cibo. «L’unico modo di sfamare la gente era mandarla nelle campagne dove anche le radici di alcune piante potevano in un primo momento tenere in vita la gente... Il lavoro più o meno forzato dell’intera popolazione nei campi o alla costruzione di un intero nuovo sistema di irrigazione fu una decisione ugualmente dura, ma obbligata».
Cinque anni dopo, il velo è squarciato. Il 7 aprile 1980 Terzani narra così per il settimanale tedesco Spiegel il suo viaggio attraverso la Cambogia: «Dovunque mi sono fermato, spesso per caso ... sono incappato nelle fosse comuni, negli ex-campi di sterminio di Pol Pot. A volte traversando una risaia mi è stato impossibile non cammninare sui resti di gente massacrata fra il 1975 ed il 1978 dai khmer rossi». La settimana seguente il reportage prosegue con una serie angosciante di orrori meticolosamente documentati, che sfociano in immagini di cupa amarezza: «La Cambogia è sempre stata un paese di leggende e fantasmi... Oggi ogni collina, ogni fiume, ogni pianura, ogni pozzo, ogni stagno è popolato di terrificanti storie di fantasmi, tutte legate ai massacri e alle fosse comuni di Pol Pot».
Aveva già usato quel termine, «fantasmi» - che dà il titolo al libro -, varie altre volte nelle corrispondenze cambogiane. Ma era per designare l’incertezza ed il dubbio. Fantasmi erano i leader del movimento insurrezionale alla macchia, Khieu Samphan ed altri, che la propaganda di Lon Nol dava per morti, e ricomparivano invece continuamente come protagonisti di gesta che la fantasia popolare riportava amplificate e circonfuse di aspetti talvolta leggendari. Erano quei fantasmi presunti ad avere poi trasformato la vita dei connazionali in una concretissima spettrale ossessione.
Spiega Angela Staude, la vedova, nella prefazione: «Con i khmer rossi il sogno socialista con cui Tiziano era partito per l’Asia si trasforma in un incubo. Siccome con la Cambogia si apre e venticinque anni dopo si chiude la sua vita di corrispondente dall’Asia, sembra quasi che la sua storia personale e quella recente cambogiana siano andate di pari passo, che l’una abbia inseguito i meandri dell’altra».
Molto tempo dopo la caduta dei khmer rossi, negli anni Novanta, Terzani torna ancora varie volte in Cambogia. L’Onu vuole mettere in moto un processo di pace e organizzare elezioni. A Pattaya, in Thailandia, si svolge una conferenza internazionale per coinvolgere nelle trattative gli stessi khmer rossi che dopo essere stati rovesciati avevano continuato a resistere nella jungla grazie all’aiuto americano e cinese. La real-politik della guerra fredda dava meno importanza alle atrocità da loro commesse che alla loro ostilità verso il governo filo-vietnamita e filo-sovietico installatosi a Phon Penh. A Pattaya Tiziano intravede Khieu Samphan, complice di Pol Pot nel genocidio, e sente che i diplomatici lo chiamano “eccellenza”. E commenta: «Mi sento addosso la paura dei vecchi fantasmi della depressione, sempre pronti a riprendermi alla gola». Oggi se fosse ancora in vita si consolerebbe forse sapendo che, seppure con enorme ritardo, per quei crimini Khieu Smaphan ed altri sono sotto processo.