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Una carovana è partita da Bhopal

di Marina Forti - 22/02/2008


 

Una carovana umana è partita ieri da Bhopal, la capitale dello stato del Madhya Pradesh, India centrale. Decine di donne e uomini, alcuni giovani, altri di età piuttosto avanzata; si muovono a piedi e sono diretti a New Delhi, la capitale federale, 850 chilometri più a nord. Sono tra i sopravvissuti del peggior incidente industriale della storia: quello avvenuto in uno stabilimento della Union Carbide India, filiale di una grande azienda multinazionale statunitense che produceva fertilizzanti e insetticidi agricoli. Nella notte tra il 2 e il 3 dicembre del 1984 una cisterna si surriscaldò al punto da esplodere, rilasciando circa 40 tonnellate di un veleno che solo più tardi fu identificato come isocianato di metile con altre sostanze. Portato dal vento, il gas investì in pieno i quartieri che costeggiano la fabbrica: mezzo milione di persone lo respirarono. Migliaia di persone sono morte quella stessa notte (1,600 disse il governo, forse 6.000 sostengono le organizzazioni che da allora si occupano delle vittime). Molti di più sono morti in modo lento nei mesi e anni seguenti, di tumore ai polmoni e di altre malattie: il bilancio sfiora le 20mila persone.
I sopravvissuti, persone che hanno perso qualcuno nel disastro e/o che ne continuano a portare le tracce sul proprio corpo, ora marciano verso Delhi per «affermare il proprio diritto fondamentale alla giustizia e a una vita in dignità e salute». Dicono che da quella notte la loro vita resta un inferno, e che l'azienda chimica non ha saldato il suo conto. In effetti, subito dopo il disastro il governo indiano si era costituito parte civile nei confronti di Union Carbide.
Nel 1989 però aveva chiuso la faccenda con un patteggiamento extragiudiziario: la multinazionale accettava di versare 470 dollari di risarcimento alle vittime. E il governo indiano rinunciava a ogni futura azione civile contro l'azienda, che aveva così esaurito le sue responsabilità. Solo parecchi anni dopo, tra il '95 e il '96, le vittime riconosciute, cioè circa mezzo milione di persone, hanno ricevuto 15mila rupie ciascuno, suppergiù 400 dollari di allora: una tantum, perché di pensioni per vedove o disabili non si parla neppure.
Nel frattempo Union Carbide è stata comprata da Dow Chemicals, che però non ha rilevato lo stabilimento di Bhopal - inattivo dalla notte dalla tragedia, ma mai bonificato: oggi la vecchia fabbrica arrugginita è un ammasso di rottami e sostanze chimiche tossiche che continuano a inquinare i terreni e le falde acquifere circostanti... Finché nel 2001 un gruppo di attivisti di Bhopal ha scoperto che i risarcimenti della Union Carbide non erano stati distribuiti per intero. Quei soldi infatti erano stati versati in un conto custodito dalla Corte Suprema indiana: un conto in dollari, mentre i risarcimenti sono stati distribuiti in rupie e solo anni dopo, quando il valore del dollaro era salito. Insomma: erano rimasti, tra interessi e apprezzamento della valuta, circa 15 milioni di rupie - 400 mila dollari di allora. Nel 2001 dunque gli attivisti sociali e operatori sanitari raccolti nel «Bhopal Group for information and action», insieme ai due sindacati formati da coraggiose donne sopravvissute alla tragedia, hanno cominciato a chiedere che quel «tesoretto» sia investito in risarcimenti ulteriori.
Chiedono un monitoraggio e cure sanitarie a lungo termine per i sopravvissuti, che continuano a soffrire di tumori, tubercolosi, febbri, difetti riproduttivi. E poi sostegno economico e sociale a quanti non sono più in grado di lavorare.
Infine la bonifica completa del sito dello stabilimento. Ora hanno deciso di portare queste richieste a New Delhi. «Le vittime della Dow e Union Carbide vogliono ricordare al primo ministro Manmohan Singh che le promesse da lui fatte due anni fa riguardo la riabilitazione economica, sociale e medica per le vittime, incluso la bonifica ambientale e l'accesso ad acqua potabile, restano da realizzare», dicevano ieri gli organizzatori e organizzatrici della marcia, alla partenza da Bhopal.