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Depressione: in 15 milioni con i sintomi

di Mario Pappagallo - 25/02/2008


La maggioranza delle persone che accusa i sintomi della depressione non va dal medico Tra chi usa farmaci, un terzo non usa gli antidepressivi

L'Italia s'è... depressa. Povertà in aumento, giovani senza lavoro, sempre più vecchi pensionati e soli. Crisi demografica, la paura di truffe, rapine e scippi. Le varie caste contro cui sembra impossibile confrontarsi. La fotografia dell'Istat sembra influire anche su quella della salute psichica degli italiani. E così tra diagnosticati e non, tra chi è a rischio e chi non vuole accorgersene, oggi sono ben 15 milioni i depressi d'Italia. Poco più di 10 milioni nel 2000. Più nelle donne che negli uomini: incidenza all'incirca doppia. Non tutti depressi gravi, per fortuna: si va dalla malinconia all'ansia, dai bipolari agli effetti collaterali di droghe varie. E gravi possono sempre diventare perché (questo è il vero allarme) le diagnosi spesso o sono sbagliate o arrivano con un ritardo medio di un anno. L'Italia, però, non è sola. Si può parlare di epidemia mondiale: prevalenza dall'8 al 10 per cento, secondo l'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) che indica nella depressione la prima causa in assoluto di disabilità nel 2020. Ma già oggi prima per la fascia d'età 15-44 anni. Gli specialisti sono costretti ad aggiornare la «bibbia» mondiale dei disturbi psichici, il Dsm. Alla quinta stesura collabora anche l'italiano Mario Maj, 54 anni, presidente della Società mondiale di Psichiatria.
Ma sono le storie dei pazienti a dare uno spaccato del problema emergente. Luca, 26 anni, si è appena laureato in Giurisprudenza. 110 e lode. Silenzio, seduto sul bordo del letto, nella sua camera (vive in famiglia, con i genitori), tapparelle semichiuse. Silenzio. E' così da giorni. Luca è un «bamboccione» (a dirla alla Padoa-Schioppa) senza prospettive. Depresso senza diagnosi, o sulla via per esserlo. Laureato brillantemente, ma «fuso» perché non vede il futuro. Il suo presente è un call center da 900 euro al mese. E due genitori che sono in ansia per lui. La madre lo guarda, lo coccola. Il padre, docente delle medie superiori, prossimo alla pensione, è un iper. Irrompe nella sua stanza, apre le finestre, lo sgrida e lo «deprime» ulteriormente con la classica frase: «Ma esci, sei giovane.
Io alla tua età ero in giro con gli amici... Con le ragazze». Tutte coltellate per la mente di Luca, ma forse non le ascolta più nemmeno. Eppure ci vorrà ancora del tempo prima che qualcuno pensi di farlo visitare da uno specialista.
Lo psichiatra. Lo «strizzacervelli». I luoghi comuni si sprecano: «Chi va dallo psichiatra è matto, ha qualche rotella fuori posto... Poi la gente che dice?». Le sedute di psicanalisi? La psicoterapia? Uno stigma. «Poi se si viene a sapere... ».
E poi, «troppo costose: una a settimana, 150-200 euro l'una... Non ce la facciamo». Forse meglio le pillole, le passa il servizio sanitario. E nessuno sa niente. In fin dei conti una pillola vale l'altra... Storia vera, in una città del Sud. Di quello che passa nella testa di Luca, se non per l'immagine del brillante laureato offuscata dalla paura dello stigma, pochi si interessano. E' come il bicchiere riempito a metà: mezzo vuoto o mezzo pieno. E' questo il momento per riempirlo del tutto. Ma la diagnosi, e non solo in Italia, spesso ritarda. E così la cura. Luca è demoralizzato, forse depresso. Forse peggio. Tante le sfumature: dall'uso generico della parola depressione per momentanei stati d'animo negativi o di stress alla malattia vera e propria. Psicofisica.
Colpiti, con diagnosi, sei milioni nel nostro Paese. Ma altri nove milioni sono come Luca. In tutto, il 25% degli italiani: uno su quattro. Soprattutto donne, casalinghe in particolare. Ma i giovani non ridono (mancanza di prospettive) e nemmeno pensionati e famiglie, sempre più numerose, «povere». Tutti senza un domani. Quelli come Luca soffrono in silenzio, non si curano e difficilmente accettano la malattia. Predisposti alla disabilità. Il napoletano Maj conferma: «La depressione è la malattia non fatale che comporta la maggiore disabilità ». Se non fonte di guai peggiori: Giovanni, 15 anni, suicida per una brutta pagella (nessuno immaginava!); Maria, 30 anni, ha tentato di uccidere il figlio di pochi mesi (depressione post partum mai diagnosticata); Antonio, 45 anni, clochard dopo aver perso lavoro, moglie e figli. Storie. Tante, mai scritte nemmeno nelle cartelle cliniche. Di malati non curati o predisposti alla malattia. A volte (raramente) ne escono da soli. A volte con l'aiuto di famiglia o amici. Per lo più, il finale è un intervento d'urto: farmaci e psicoterapia insieme.
Spiega Maj: «Il punto essenziale è che la depressione (intesa nel senso clinico del termine) va distinta dalla naturale demoralizzazione (o tristezza normale), esperienza a cui va incontro praticamente il 100% degli esseri umani a seguito di eventi di perdita, separazione o insuccesso. La distinzione si basa sul quadro clinico, su intensità e durata, sul grado di compromissione dei rapporti sociali e lavorativi. Distinzione che può essere difficile nel soggetto molto giovane, nell'anziano e nella persona con patologie fisiche concomitanti ». Dal diabete alla pressione alta, dall'obesità all'impotenza, dai disturbi nei rapporti con il cibo ai deficit immunitari. Ai tumori. Ecco il punto: diagnosi precoce, precisa e cure giuste. A volte si danno farmaci a chi non ne deve prendere, a volte non si danno. Tra le cause anche la diffidenza degli italiani a rivolgersi ai servizi sanitari: i maschi anziani i più ostici. Tra le persone che hanno sofferto di qualunque forma di depressione, solo il 20,7% si è rivolto al servizio sanitario (pubblico o privato). Di questi, il 40,8% ha ricevuto solo farmaci. Inoltre, la percentuale delle persone senza diagnosi che, nel corso dell'ultimo anno, ha utilizzato almeno uno psicofarmaco è stata del 12,9%. E di questi solo il 2,1% ha preso un antidepressivo. Quindi? Risponde Maj: «La grande maggioranza delle persone depresse non va dal medico. Tra quelle che ci vanno, una su sette non riceve trattamenti. E tra chi prende farmaci, quasi un terzo non prende antidepressivi».