Una minoranza pagana: i Kalash
di Baryonyx walkeri - 12/01/2006
Fonte: Baryonyx walkeri
Le valli della catena dell'Hindu Kush (letteralmente: "distruttore di
indiani", per la difficoltà di superamento dei suoi alti passi) appaiono
così aspre e brulle da farle ritenere inospitali. Invece, da tempi
immemorabili, tra queste gole rocciose e impervie, lavorate per millenni
dall'erosione eolica e dalle acque di torrenti impetuosi, vive un' etnia le
cui origini sono tuttora avvolte nel mistero. I Kalash sono individui
dall'aspetto indoeuropeo caratterizzati da lineamenti fini, nasi sottili,
occhi e capelli spesso chiari e dal carattere gioviale.
La valle è abitata da un antico e magico popolo, i Kalash. Una volta li
chiamavano Kafiri, che in arabo vuol dire "infedele", e occupavano il
Kafiristan, regione dell'Afghanistan oggi ribattezzata Nuristan. Tra le
varie teorie formulate da etnologi e antropologi sulle origini dei Kalash,
la più suggestiva è quella che li vuole eredi dei disertori dell'armata di
Alessandro il Macedone il quale, dopo essersi spinto sino all'Indo nella sua
campagna del 325 a.C. prese la decisione di ritornare in patria. Decisione
non da tutti condivisa; infatti, alcuni soldati che si erano uniti a donne
locali, per nulla attirati dall'intraprendere la faticosa marcia di ritorno,
decisero di restare.
Essi vivono una vita di clan dalle abitudini ancestrali legate ai ritmi
della natura. La loro esistenza si basa su un'economia strettamente
agricola, integrata in parte dall'allevamento di ovini e animali domestici.
Da qualche anno, i loro villaggi sono stati raggiunti dall'elettricità e
dotati di cisterne per l'acqua potabile. Le regole politiche sono ispirate
ad una forma antichissima di democrazia che in qualche modo ricorda le
città-Stato della Grecia antica: il consiglio dei tredici magistrati che
viene eletto dagli uomini adulti regge per un anno le sorti del villaggio,
amministra la giustizia, veglia sul rispetto del diritto consuetudinario; a
sua volta, il consiglio elegge un suo rappresentante che ha compiti
esecutivi e contemporaneamente rappresenta il villaggio nell'assemblea
plenaria di tutte le tribù nella quale si decidono i problemi collettivi,
dal pascolo alla difesa, alla vendita del bestiame. La comunità dei Kalash è
un mondo fatto di sorrisi, di dignitosa povertà, di grande fierezza e di
immensa ospitalità. Da questo mitico momento si entra in un mondo in cui per
millenni nulla sembra essere cambiato: né la natura delle vallate piene di
boschi che ricordano certe strette e verdi valli svizzere, né le tecniche o
le abitudini di vita, né la complessa religione.
La lingua il Kalashwar è solo parlata e la totale assenza di testi scritti
che possano rappresentare dei solidi punti di riferimento su cui le nuove
generazioni possano contare fa si che molti si convertano all'Islam per
poter studiare, per non essere emarginati nella loro terra, nella loro
valle.
I Kalash mantengono una cultura unica e misteriosa che ha almeno 4mila anni
di storia. Per la festa della primavera (Joshi) le donne sfoggiano abiti e
monili diversi dal quotidiano, mentre gli uomini, vestono come i musulmani,
uniche differenze: una cintura di stoffa colorata tenuta ad armacollo e
qualche piuma di uccello appuntata sul tondo berretto in lana. L'abito delle
donne kalash è di cotone nero ricamato a vari colori con disegni geometrici
a greche; al collo portano centinaia di collane fatte con perline di vetro o
di plastica coloratissime. Sul capo invece, troneggia una stola che scende
sulle spalle composta da conchiglie, bottoni di madreperla e piastrine
metalliche. Più la donna è ricca e più prezioso è il suo kopas (così si
chiamano questi copricapi). Alcune di loro, specie le ragazze nubili si
tingono le mani con l'henné e in occasione di feste come questa, usano un
pesante trucco, dall'effetto simile a tatuaggi. Incontrandosi due donne
kalash si baciano tre volte sulle guance e sulla mano destra.
La festa offre parecchi spunti di colore - gli abiti più belli e le
acconciature più elaborate. Ciò che più colpisce è lo spirito di socialità
col quale gli abitanti di ciascun villaggio accolgono gli ospiti dei
villaggi vicini; si abbracciano, si scambiano calorose strette di mano e
sorridono spesso, denunciando un carattere allegro e mite.
Nella festa Joshi le danze si protraggono, senza un attimo di sosta, per
tutta la giornata fino a notte inoltrata. Intanto, a valle, si cuoce il pane
per il giorno seguente.
Anche il secondo giorno è all'insegna di canti e danze; inoltre appaiono i
kasi, gli anziani, coloro che, in mancanza di testi scritti, hanno il
compito di raccogliere la tradizione orale e di tramandarla di generazione
in generazione. A turno, con le loro luccicanti tuniche, si pongono al
centro della scena e rievocano l'epopea del popolo kalash. Bashara Khan, uno
dei capi-villaggio, brandendo un lungo bastone ricoperto d'argento avuto in
eredità dal nonno, esorta il suo popolo a rispettare le tradizioni e a non
piegarsi alle tentazioni del mondo, il vero grande pericolo per l'integrità
della cultura kalash.
Tra il 1895 ed il 1898, l'emiro di Kabul, Abdur Rahman, scatenò una guerra
ferocissima contro questi infedeli che avevano ai suoi occhi due torti
fondamentali: erano, appunto, infedeli e avevano velleità
indipendentistiche. L'emiro afghano risolse il problema in modo radicale e
particolarmente cruento: li sterminò quasi tutti.
I kasi, titolo che viene dato a coloro che raccolgono la tradizione orale e
la tramandano, passando di casa in casa, di villaggio in villaggio,
sostengono che l'assalto dei nemici alla loro libertà per costringerli a
rinunciare alla loro religione, è stato continuo per secoli. Per questo
dovettero spostarsi poco alla volta sempre più lontano ed in luoghi sempre
più appartati sino a quando un dehar, un veggente, nel corso di una trance
vide una divinità che gli parlò: "Io, disse, lancerò tre frecce nel cielo,
saranno di tre colori, una rossa, una gialla ed una nera. I tre figli
dell'ultimo capo Kalash, Rumboor, Birir e Bumburate dovranno andare a
cercarle e costruire un paese che porterà il loro nome e così vivranno in
pace in mezzo agli dei". I tre giovani percorsero le montagne dal fondo
delle valli alle cime innevate, e, finalmente, trovarono le tre frecce nelle
valli che scendevano a raggiera come un fiore per incontrarsi nella valle
del Chitral.
Forse leggendaria è la loro origine. Nel 327 a.C. Alessandro il Grande con
il suo immenso esercito passò per questi luoghi in un'epica marcia di
conquista verso l'India. Alcuni suoi soldati, incantati dalla bellezza dei
luoghi, decisero di rimanere; i Kalash sarebbero loro discendenti.
Di certo c'è, per ora, che, varcata la porta magica, si entra in un mondo
popolato da Dei il cui padre e Di-Zao (nel pantheon greco è Dias-Zeus) ed il
cui messaggero è il dio Balumain, i cui simboli il sole, la luce ed il
cavallo sono gli stessi di Apollo; Dei che pretendono di essere adorati
almeno tre volte l'anno con complessi riti purificatori della durata di
svariati giorni ciascuno, durante i quali si compie il sacrificio di molte
capre.
I Kalash, gli ultimi infedeli nel cuore dell'Islam, non più di 4mila uomini
schiacciati tra la minaccia dei Talebani e gli interessi economici di
Karachi.
Molto prima dei turisti che oggi scendono dalle jeep con le macchine
fotografiche spianate, quasi andassero a un safari, i primi europei a
scoprire l'esistenza del popolo Kalash, abbarbicato sulle montagne impervie
dell'Asia, furono gli hippie in cerca dell'anima che migravano come formiche
verso l'India, alla fine degli anni '60.
La Kalash Indigenous Survival Programme è un'organizzazione che lavora per
le indigenti persone Kalash: "...ancora oggi ci atteniamo alla nostra
cultura, alle convenzioni e tradizioni ma a causa di varie ragioni sia il
nostro popolo, sia la nostra cultura s'indeboliscono sempre più e senza
immediati provvedimenti sarà troppo ritardi per fermarne il declino. Con
questo scopo e per migliorare le condizioni di vita è nata, alla fine del
1998, la KISP e questi sono alcuni dei nostri sforzi: abbiamo iniziato a
tenere seminari nazionali ed internazionali per presentare il popolo Kalash
e per lottare per i nostri diritti, come pure abbiamo organizzato una
campagna locale e nazionale sull'unità consapevole fra le maggioranze e le
minoranze del Pakistan. Stiamo sostenendo due piccoli ospedali a Rumboor e
Birir e più di 5000 mille persone hanno avuto benefici con i medicinali
gratuiti. Stiamo sostenendo studenti alcuni dei quali presso i collegi di
Peshawar...".
Il governo pakistano, un tempo più nettamente ostile ai Kalash, oggi invece
ne utilizza il territorio in tre modi: come attrattiva turistica (nei poster
della compagnia di linea ci sono le donne kalash in costume tipico), come
cuscinetto per i profughi che arrivano a frotte dall'Afghanistan, martoriato
da 20 anni di guerra civile, e infine come luogo dove i grandi proprietari
di hotel stanno costruendo senza infrastrutture".