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Emir Kusturica: «L'America ha ucciso il Kosovo, mio mito»

di Francesco Battistini - 25/02/2008

 

 

«C'era una volta un Pa­ese...», dice Ivan nel finale di Under­ground, quando l'isolotto si stacca e tra­scina tutti sul Danubio. «C'è ancora un Paese che si chiama Serbia», dice Emir Kusturica nella sua casa di Kustendorf, quell'impresa alla Fitzcarraldo che da Hollywood l'ha portato sulle Alpi Dinariche a investire due milioni e costruirsi una sua Città Ideale tutta di legno.

 

Il Kosovo è indipendente da una setti­mana, anche l'ultimo pezzo della fu Ju­goslavia se n'è andato e questa dissol­venza non fa dormire Emir. Dopo 53 an­ni, un Leone d'Oro a Venezia e due Pal­me d'Oro a Cannes, neanche la serata degli Oscar lo risolleva. Pristina Dream: «Giovedì ero in piazza a Belgrado. Sono salito sul palco. Ho parlato col cuore. So­no contro quest'idea che fa passare i ser­bi per un popolo primitivo, distrutti­vo».

 

Beh, dopo il suo discorso gli hooli­gan sono andati a incendiare l'amba­sciata americana...

«Condanno quel gesto. Ma l'incendio di un'ambasciata non è lontanamente paragonabile alla distruzione che i serbi sopportano da anni. La stessa distrazio­ne esportata in Iraq. Voi giornalisti lo chiedevate sempre agli americani: per­ché non proteggete la culla della civiltà mesopotamica? Loro vi rispondevano sempre: sorry, ma questa non è la no­stra civiltà. Ora, nessuno che domandi agli americani: perché non proteggete la culla della civiltà serba? Il cinismo del Pentagono vi ha contagiati tutti».

 

Tira aria di guerra fredda.

«Il problema Kosovo parla a tutti. C'entra la differenza di culture, l'accetta-zione d'un patrimonio diverso. Le chie­se, i monasteri, i poeti sono cultura europea. Ma gli americani non rispettano la cultura che non riconoscono come propria. E dov'è l'Onu che deve battersi per le società multietniche? Nessun eu­ropeo può accettare che un mondo ven­ga distratto».

 

Distruzione? Nessuno sta toccando i serbi...

«Parlo d'un Paese messo nell'angolo buio del mondo. Eppure abbiamo dato il genio d'un Ivo Andric, siamo una co­lonna d'Europa. Non siamo l'Africa, né guerrafondai. Siamo come gli altri euro­pei».

 

Però c'è un'intellettuale serba come Natasha Kandic che è per l'indipen­denza di Pristina ed è minacciata di morte...

«Amico mio, sono il primo a difende­re il diritto di Natasha a parlare. Ma bi­sogna dirlo: questi non sono intellettua­li. E gente pagata da Soros (il miliarda­rio americano, ndr)».

 

Lei ce l'ha con l'America, ma a lei l'America ha dato molto...

«Io rispetto il mito di Hollywood. Non la Hollywood di oggi, ma quella del passato sì: è un mio mito. Come lo è il Kosovo. Ad Angelina Jolie, nessuno si sogna di togliere Frank Capra. Allora nessuno uccida la mia mitologia».

 

Farebbe un film sul Kosovo?

«Se serve un videogame, lo faccio. Un film classico non è possibile. La mi­tologia del Kosovo è qualcosa di molto spirituale. Adesso vado in Messico a gi­rare "Gli amici di Pancho Villa". Un'altra mitologia».

 

E in Kosovo ci andrà?

«L'ultima volta, ci sono stato cinque anni fa. A Mitrovica faticano a costruire qualcosa. Ma sanno anche loro che il mi­to è più importante della realtà. Il no­stro cervello non si nutre solo dell'og­gi. Come potreste avere un presen­te, voi italiani, se vi togliessero Venezia o Roma? C'è un altro mito che ci fa sperare: Davide contro Golia. Il gigan­te cade, più che per il sasso, per la sua presunzione».

 

Il gigante sta scegliendo un nuovo leader...

«Spero in Obama. Ho molta simpa­tia. Vorrei che l'America fosse guidata da uno con una concezione umanistica della storia, capace di parlare ai popo­li».

 

Non crede che in Serbia sia manca­to un esame di coscienza collettivo, co­me lo fecero i tedeschi dopo il nazi­smo? Nessuno ha mai chiesto scusa di tre guerre e migliaia di morti.

«Questo non è accettabile. Possiamo parlare giorni di Milosevic e dei capitoli spregevoli della storia serba. Ma non puoi spiegare con Milosevic quel che è successo il 17 febbraio in Kosovo. Per­ché non tirare in ballo Tito o i turchi, allora? La tragedia del Kosovo è legata alla più grande base dei Balcani, Bondsteel, costruita laggiù dagli americani. Sui media occidentali non se ne parla mai: sempre e solo colpa di Milosevic. Non c'è intelligenza. Non fa capire per­ché il caso Kosovo stia diventando un modello, che so, per i baschi: anche lì si spiega tutto con Franco?».

 

Ma la Serbia sta diventando il mi­glior alleato di Putin?

«La migliore posizione serba è con l'Est e senza l'Est. Lo capì Tito. Putin può avere un ruolo positivo, ma non possiamo diventare una succursale rus­sa. Perché domani a Mosca può arrivare qualcuno che se ne infischia della Ser­bia. Noi abbiamo bisogno d'una relazio­ne stabile con l'Europa. Però queste co­se deve chiederle a un politico».

 

Perché, in politica non entrerebbe?

«No. Sono solo un effetto collaterale. Sono il partito di Kusturica».