La visione dell'«altro» mondo in una pagina di Beda il Venerabile
di Francesco Lamendola - 26/02/2008
In realtà, non sono così infrequenti come si potrebbe immaginare.
Le visioni dell'altro mondo si presentano nei momenti più impensati, magari mentre il soggetto è alla guida dell'automobile, come dei flash improvvisi, di durata indefinibile ma di straordinaria, sconvolgente intensità.
Possono perfino cambiare la vita di un essere umano, dal momento che costituiscono l'occasione per un istantaneo, veridico e impietoso bilancio della propria vita; e generano, in questo caso, un profondo rimorso per tutte le cose buone che egli avrebbe potuto fare, ma non ha fatto, e un lancinante desiderio di poter tornare indietro nel tempo, per cogliere tutte quelle possibilità rimaste disattese.
È capitato, tra l'altro, a un nostro carissimo amico, persona di ottima cultura e forte spirito critico, assolutamente degna di fede. In un lampo, egli ha percepito l'atroce bruciore di quello che i cristiani chiamano l'inferno: un bruciore che non proveniva da alcun fuoco materiale (quella del fuoco non è, ovviamente, che una semplice immagine), ma da uno strazio interiore: quello di sapersi tremendamente separati dalla Verità, dalla Bontà e dalla Bellezza; quello di aver tradito il proprio scopo nella vita. Poter tornare indietro per un solo istante, ha pensato quel nostro amico: ah, come capiva, adesso, le parole del Vangelo che narrano il dialogo fra il padre Abramo e il ricco Epulone, divorato da un'arsura terribile nei tormenti infernali e che supplica, ma invano, una sola goccia d'acqua, per potersi rinfrescare le labbra! No, non erano tormenti imposti da una forza esterna: bensì nascevano direttamente dalla angosciante, irreparabile consapevolezza di aver percorso strade fallaci, e che a un certo punto è troppo tardi per recuperare il tempo perso.
Lo scopo di queste visioni potrebbe essere quello di ricordare agli esseri umani la necessità di un più serio impegno spirituale nella propria vita, sia sul piano individuale, sia - mediante i racconti, magari scritti, di coloro che hanno fatto una tale esperienza - su quello collettivo.
Questo secondo caso sembra essere quello riferito da Beda il Venerabile nella sua Storia ecclesiastica degli Angli (Historia ecclesiastica gentis Anglorum), la sua opera più nota, scritta nel 731, monumentale compendio della storia delle isole Britanniche - e non solo in ambito religioso - dall'epoca di Cesare al tempo dell'autore.
Nel capitolo dodicesimo del quinto e ultimo libro (traduzione italiana di Giuseppina Simonetti Abbolito, Roma, Città Nuova Editrice, 329-335), infatti, san Beda riferisce, con ricchezza di particolari, un caso di visione dell'altro mondo particolarmente lucida e realistica, narratogli dalla viva voce di un confratello di colui che ne fu protagonista.
Ciò che rende questo caso particolarmente impressionante è che il soggetto si trovava in stato di morte apparente, allorché fu colpito dalla visione dell'al di là; per cui potremmo accostare il suo caso a quelli di cui ci siamo già occupati nel precedente articolo: Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente? (sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice). Anche qui, vi sono elementi tipici di quelle visioni, in particolare la presenza di un "essere di luce" che funge da guida e da punto di riferimento; verrebbe da dire che tale presenza ricorda da vicino quella di Virgilio (e, poi, di Beatrice) nella Divina Commedia, se non fosse che il racconto di Beda si colloca ben sei secoli prima del capolavoro di Dante Alighieri.
"In quei tempi avvenne in Britannia un miracolo memorabile simile a quelli dei tempi antichi. Infatti, perché gli uomini fossero incitati a risorgere dalla morte dell'anima, un tale, che era morto già da un po' di tempo, risuscitò alla vita del corpo e raccontò molte cose degne di memoria, che aveva visto; tra le quali ho ritenuto opportuno riassumerne qui alcune brevemente. Nella regione della Northumbria che si chiama In Coneningun, vi era un padre di famiglia che con i suoi fu colpito devotamente; egli fu colpito da una malattia che si accrebbe di giorno in giorno in giorno, portandolo agli estremi, finché egli morì nelle prime opre di una notte. Ma sul far del giorno improvvisamente tornò in vita e si rizzò a sedere, sì che tutti quelli che si erano raccolti in lacrime intorno al suo corpo, presi da grandissimo terrore, scapparono via; solo la moglie, che lo amava di più, benché tutta pallida e tremante, rimase là. Egli cercò di consolarla: - «Non temere - disse -, perché sono veramente risuscitato dalla morte che mi aveva ghermito, e ho avuto il permesso di tornare a vivere tra gli uomini, anche se da questo momento debbo vivere non secondo il solito modo di vita ma in maniera del tutto diversa». Si alzò subito in piedi e andò all'oratorio del villaggio e rimase in preghiera per tutto il giorno; poi divise tutti i beni che aveva in tre parti, delle quali una dette alla moglie, una ai figli una terza riservandola a sé distribuì subito ai poveri. Poco dopo, liberatosi dalle cure del mondo, andò nel monastero di Mailros, che è circondato in gran parte dal corso del fiume Tuidi; ricevuta la tonsura, entrò in un luogo che l'abbate gli aveva riservato per risiedervi in gran segreto; e qui visse fino al giorno della sua morte in tanta contrizione di copro e di mente da rivelare col modo di vita , anche se la lingua taceva, che aveva visto molte cose che agli altri rimangono nascoste, alcune spaventose, altre desiderabili,
"Così narrava quello che aveva visto: «Era risplendente nell'aspetto e fulgido nella veste colui che mi guidava. Procedevamo in silenzio, in direzione, così mi sembrava, del punto in cui sorge il sole nel solstizio d'estate; e camminando giungemmo a una valle molto larga e profonda, di infinita lunghezza. Era posta alla nostra sinistra; un lato era terrificante per ribollire di fiamme, l'altro non lo era meno per una furiosa tempesta di grandine e neve, che soffiava con violenza e portava via ogni cosa. L'uno e l'altro erano gremiti di anime, che erano sbattute alternativamente di qua e di là come dalla violenza della tempesta. Quando infatti non potevano sopportare l'enorme calore, le misere anime si gettavano a capofitto in mezzo al gelo terribile e poiché neppure là potevano trovare pace, balzavano di nuovo via per bruciare in mezzo alle fiamme inestinguibili. Poiché una moltitudine innumerevole di spiriti deformi veniva tormentata da questa alternanza di dolore in lungo e un largo senza neppure un momento di tregua, cominciai a pensare che questo doveva essere l'inferno, dei cui intollerabili tormenti spesso avevo sentito parlare. Rispose ai miei pensieri la guida che mi precedeva - Non crederlo, non è questo l'inferno che pensi -.
"E mentre mi conduceva man mano avanti, sempre più atterrito da questo spettacolo orrendo, vidi improvvisamente il posto davanti a me cominciare a oscurarsi e a coprirsi tutto di tenebre. Penetrati dentro, queste si infittirono gradualmente, tanto che non vedevo altro che la figura e la veste della mia guida. E mentre avanzavamo nell'ombra della notte solitaria (Virg., Aen., VI, 268), ecco che d'un tratto appaiono davanti ai nostri occhi molti globi di fiamme oscure, che vi ricadevano dentro. Dopo avermi condotto là, all'improvviso la mia guida disparve e mi lasciò solo nel mezzo delle tenebre e dell'orrenda visione. E mentre i globi di fuoco ininterrottamente prima salivano in alto e dopo precipitavano giù nel baratro, vedo che tutte le lingue di fuoco che salivano erano piene degli spiriti di uomini che, simili a scintille che volano su col fumo, ora erano proiettati verso l'alto, ora quando si ritraevano le esalazioni del fuoco erano rigettati in basso. Inoltre un fetore irrespirabile, che ribolliva con i vapori, riempiva tutti quei luoghi avvolti nelle tenebre. E dopo che per parecchio tempo ero restato là non sapendo che fare, dove andare, quale fine mi aspettasse, sento all'improvviso dietro di me il clamore di un pianto disumano e miserevole e poi come il riso sguaiato del popolaccio, che deride i nemici fatti prigionieri. Quando il clamore avvicinandosi mi giunse più chiaro, vedo una schiera di spiriti maligni che trascinava cinque anime di uomini che si lamentavano e piangevano, mentre quelli saltavano e sghignazzavano trascinandoli nelle tenebre. Di questi uomini, per quanto potei scorgere, uno aveva la tonsura come un chierico, uno era un laico una era una donna: trascinandoli, gli spiriti maligni discesero in mezzo al baratro ardente, sì che allontanandosi essi sempre più, io finii per non distinguere con chiarezza il pianto degli uomini e il riso dei demoni, e tuttavia avevo ancora nelle orecchie un clamore confuso. Intanto alcuni spiriti oscuri salirono dall'abisso che vomitava fiamme; accorsero, mi circondarono e mentre fiammeggiavano con gli occhi, sputavano fuoco puzzolente dalla bocca e dalle narici appestandomi. Minacciavano di infilzarmi colle forche infuocate che tenevano in mano, anche se non volevano toccarmi ma solo terrorizzarmi. Chiuso da tutte le parti dai nemici e dalle tenebre oscure, giravo gli occhi di qua e di là per vedere se da qualche parte mi venisse un aiuto per tirarmi in salvo, quando apparve dietro, per la via per la quale ero venuto, il fulgore come di una stella che risplendeva fra le tenebre, che crescendo a poco a poco e avvicinandosi a me velocemente, quando fu vicino disperse e mise in fuga tutti gli spiriti maligni che cercavano di portarmi via con le forche.
Quello che con il suo arrivo li aveva messi in fuga era lo stesso che prima mi aveva fatto da guida. Egli subito deviò il cammino verso destra e cominciò a condurmi in direzione del sorgere del sole invernale. Senza indugio mi portò via dalle tenebre e mi condusse dove il cielo era illuminato da una luce serena; e condotto all'aperto, vidi davanti a me un grandissimo muro che sembrava non aver fine né in altezza né in lunghezza. Cominciai perciò a chiedermi meravigliato perché ci avvicinassimo al muro, dato che da nessuna parte si vedeva porta o finestra o scala. Ma quando fummo arrivati al muro, non so come ci trovammo sulla sua sommità. Ed ecco che là c'era un campo larghissimo e bellissimo, pieno di tanta fragranza di fiori sbocciati che la soavità di questo profumo straordinario scacciò via tutto il fetore della tenebrosa fornace, che mi aveva investito. La luce che pervadeva quei luoghi era così intensa da superare lo splendore del giorno e anche i raggi del sole a mezzogiorno. C'erano sparsi in questo campo molti gruppi di uomini biancovestiti e molte schiere di persone in festa. Mentre la guida mi conduceva in mezzo ai cori di questi lieti abitanti, cominciai a pensare che forse questo era il regno dei cieli, del quale spesso avevo sentito parlare, ed egli rispose al mio pensiero: - Non è questo il regno dei cieli che credi. -
"Procedendo oltrepassammo anche queste sedi degli spiriti beati ed ecco, scorgo davanti a noi uno splendore di luce molto maggiore di prima: anche in questo sento voci dolcissime che cantavano. E da quel luogo si effondeva tanta fragranza di profumo che quello che avevo gustato prima e che avevo ritenuto il più intenso di tutti, ora mi sembrava profumo quanto mai tenue. E così anche la straordinaria luce del campo in fiore, a paragone di quella che mi apparve ora, mi sembrava assolutamente tenue e modesta. Ma proprio quando speravo che saremmo entrati in questo luogo tanto ameno, all'improvviso la mia guida si fermò e senza indugio, voltandosi indietro, mi ricondusse per la stessa via per la quale eravamo venuti.
"Quando tornando indietro arrivammo alle sedi beate degli spiriti biancovestiti, egli mi chiese: - Sai che cos'è tutto ciò che hai visto? - . Io risposi: - No -. E quello disse: - La valle che ai visto, orrida di fiamme ribollenti e freddo raggelante, è il luogo ove debbono essere esaminate e punite le anime di coloro che, procrastinando la confessione e il pentimento dei peccati, che hanno commesso, si sono ridotti a pentirsi proprio al momento della morte e in questo stato escono dal corpo; costoro tuttavia, poiché almeno al momento della morte si sono confessati e pentiti, tutti nel giorno del giudizio giungeranno al regno dei cieli. Le preghiere dei vivi, le elemosine, i digiuni e specialmente la celebrazione delle messe giovane a che molti siano liberati anche prima del giorno del giudizio. Quel pozzo poi che hai visto vomitare fiamme e fetore è proprio la bocca dell'inferno, dal quale una volta che uno ci cade dentro, non sarà mai più liberato in eterno. Il luogo invece pieno di fiori, nel quale vedi gioiosa e risplendente questa bellissima gioventù, è il luogo dove sono accolte le anime che escono dal corpo dopo aver compiuto buone opere ma non sono così perfette da meritare di essere introdotto subito nel regno dei cieli; tuttavia nel giorno del giudizio saranno ammessi tutti alla visione di Cristo e alla gioia del regno celeste. Tutti quelli invece che sono perfetti per parola, opera, pensiero, usciti dal corpo entrano subito nel regno dei cieli, cui è vicino il luogo dove hai sentito risuonare il dolce canto, accompagnato dal profumo e dallo splendore luminoso. Quanto a te, dato che ora devi tornare di nuovo nel corpo e vivere tra gli uomini, se ti adopererai a sorvegliare le tue azioni con la massima cura e a conservare retto e semplice il tuo modo di agire e di parlare, riceverai anche tu dopo la morte un posto in mezzo a queste schiere felici di spiriti beati, che ora vedi. Io infatti, quando mi sono allontanato da te per un po' di tempo, l'ho fatto proprio per conoscere che cosa sarà di te -. Dopo che mi disse questo, mi rincresceva molto tornare nel corpo, perché traevo gran diletto dalla dolcezza e dalla bellezza di quel luogo che scorgevo e insieme dalla compagnia di quelli che vedevo là. Non osavo chiedere niente alla mia guida, ma mentre ero in questi pensieri, non so come all'improvviso mi sono ritrovato a vivere tra gli uomini».
"Questo e tutto il resto che aveva visto quest'uomo di Dio lo riferiva non a tutti indiscriminatamente i perdigiorno che non hanno cura della propria vita, , ma solo a coloro che, atterriti dai tormenti e rallegrati dalla speranza del gaudio eterno, volevano ricavare dalle sue parole giovamento per la loro devozione. Vicino infatti alla sua cella dimorava un monaco di none Haemgisl, che si segnalava parimenti per la serietà del presbiterato e le buone opere, e che ancora oggi è in vita e trascorre in Irlanda i suoi ultimi anni cibandosi di pane e acqua. Egli, che si recava molto spesso dal nostro uomo per interrogarlo, si sentì ripetere da lui quali e di quale specie fossero le visioni che aveva visto quando era uscito dal corpo, e grazie alla sua relazione sono venuto a conoscerle anch'io e le ho qui riassunte. Narrò le sue visioni anche al re Aldfrith, uomo dottissimo in ogni campo, e questi lo ascoltò con piacere e interesse a punto tale che lo fece ammettere nel monastero che ho sopra ricordato, e tonsurare come monaco. Non mancava inoltre di recarsi ad ascoltarlo spesso, quando si recava da quelle parti. In quel tempo era a capo di quel monastero l'abbate e prete Ethelwald, di vita devota e modesta, che ancora oggi regge la cattedra episcopale della chiesa di Lindisfarne con modo di vita degno del suo grado.
"Quell'uomo nel monastero viveva in un posto molto appartato, dove si poteva dedicare più liberamente con preghiere continue al servizio del suo Creatore. E poiché il luogo era situato sulla riva del fiume, spesso entrava nell'acqua per il gran desiderio di infliggere un castigo al suo corpo. Di frequente vi si immergeva quando le onde salivano, cercando di resistere lì il più a lungo possibile fra canti e preghiere, e aspettava fermo fino a che l'acqua gli saliva fino ai fianchi e a volte anche fino al collo. Quando tornava a terra, non si curava di togliersi i vestiti bagnati e gelati ma aspettava che si riscaldassero e asciugassero addosso a lui. D'inverno, mentre scorrevano intorno a lui lastre di ghiaccio spezzato che egli stesso aveva rotto per avere un luogo dove stare fermo o immergersi nel fiume, quelli che lo vedevano gli dicevano: - È straordinario, fratello Drythelm (questo infatti era il suo nome) come tu possa sopportare un freddo così pungente -. E quello rispondeva semplicemente - infatti era un uomo semplice e modesto: - Ho visto luoghi ben più freddi -. E quando gli dicevano: - È straordinario che tu voglia vivere in tale austera continenza -, rispondeva: - Ho veduto luoghi ben più austeri -. E così fino al giorno della sua chiamata, spinto dall'indefettibile desiderio dei beni celesti, domò il vecchio corpo con digiuni quotidiani e contribuì alla salvezza di molti con la parola e con l'esempio."
Anche nei due capitoli successivi, il tredicesimo e il quattordicesimo del quinto libro, Beda riporta fatti analoghi, relativi a visioni dell'al di là presentatesi a dei viventi; ma quello che abbiamo riportato è l'episodio riferito con maggior cura di particolari ed efficacia espressiva, sì che non stentiamo a credere che l'autore ne abbia avuto conoscenza diretta.
Ma chi era Beda, detto il Venerabile e poi santificato dalla Chiesa cattolica?
Era un monaco ed erudito inglese di alte virtù morali, nato nel 672 ed entrato, all'età di soli sette anni, nel monastero di Wearmouth, per poi farsi diacono a diciannove anni e sacerdote all'età di trenta. La sua educazione era stata curata dagli abati Benedetto Biscop e Ceolfrid e, nel 682, egli entrò nel monastero in cui avrebbe trascorso, pregando e scrivendo, praticamente tutta la su vita, che si concluse il 25 maggio del 735.
La sua vasta produzione letteraria si può dividere in tre gruppi principali: quello delle opere scientifiche, quello delle opere storiche e quello delle opere teologiche. Al primo appartengono, fra l'altro, un trattato sui fenomeni naturali, De Rerum Natura, e due sulla cronologia, De temporibus e De temporum ratione, nonché alcuni trattati di grammatica scritti, sul modello di Cassiodoro, per i suoi confratelli e studenti; al secondo la già citata Historia ecclesiastica gentis Anglorum, nonché le biografie degli abati di Wermouth e di Jarrow e quella di san Cutberto di Lindisfarne; al terzo, che è anche il più consistente, una serie di commenti sia al Nuovo che all'Antico Testamento, omelie e trattati esegetici su brani delle Sacre Scritture.
La sua cultura era, specialmente per quei tempi e quei luoghi, semplicemente sbalorditiva: conosceva, oltre al latino, il greco e, in qualche misura, l'ebraico; e si muoveva a suo agio fra i classici pagani, a cominciare da Virgilio, non meno che fra gli autori cristiani. Ad essa egli univa un'indole straordinariamente semplice e mite, qualità non meno eccezionali in una persona così colta. Secondo Charles Phipps Brutton (cfr. Encyclopaedia Britannica, edizione 1961, vol. III, pp. 296-297), la sua pietà, umiltà e gentilezza traspaiono da ogni singola pagina della sua opera. Ma su tutto il resto prevale la sua profonda fede: sicché, anche quando tratta di argomenti storici o scientifici, è sempre il fervente cristiano che scrive per altri cristiani, in una prospettiva intensamente religiosa.
Egli, pertanto, è stato un monumento vivente di quella cultura monastica la quale, per secoli, ha rischiarato l'Europa dell'alto Medioevo e che, lungi dal chiudersi nella chiostra dei conventi, permeava di sé l'intera società civile. Questo tratto è particolarmente evidente nella opera maggiore opera storiografica di Beda il Venerabile, la quale, pur essendo, nelle intenzioni, una storia ecclesiastica dell'Inghilterra (e, in minor misura, delle isole vicine), abbraccia senza soluzione di continuità anche la sfera politica: specchio di un tempo in cui i due ambiti, religioso e temporale, potevano coesistere e perfino coincidere senza scosse né traumi; come poi, invece, sarebbe avvenuto, a partire dalla lotta per le investiture fra papato e Impero.
Pur con tutti i limiti propri alla storiografia altomedioevale (limiti, del resto, che a noi paiono tali a causa del nostro particolare punto di vista: laico, razionalista e sostanzialmente materialista), l'opera di Beda rivela pertanto una intelligenza vivace e un'apertura intellettuale a trecentosessanta gradi. Non esistono quindi ragioni, a nostro parere, per accogliere il racconto della visione del monaco, che più sopra abbiamo riportato, come il frutto delle ingenue fantasticherie di persone sprovvedute e troppo facilmente suggestionabili.
A ciò si aggiunga il fatto che esperienze mistiche - se così vogliamo chiamarle - del genere di quella riferita da Beda, sono sempre accadute, ovviamente non solo nell'ambito della cultura cristiana (anche se, naturalmente, con differenti connotazioni specifiche) e tuttora continuano ad accadere, a migliaia e migliaia di esseri umani.
Riteniamo, in conclusione, che ogni persona libera da pregiudizi, sia essa credente o non credente in una determinata fede religiosa, dovrebbe porsi nei confronti di simili esperienze in un atteggiamento di apertura spirituale o, quanto meno, di sana curiosità intellettuale. Tutti possiamo imparare da tutti, se ci spogliamo dai pregiudizi e dalla superbia che offuscano la nostra visione delle cose. In fin dei conti, la Verità è una, anche se molte sono le strade per avvicinarsi ad essa o, almeno, per non allontanarsene troppo.
E che cosa suggeriscono le esperienze mistiche del tipo sopra descritto?
Che esistono stati di coscienza che vanno non contro, ma oltre lo strumento della ragione ordinaria; che esiste la possibilità che i racconti sull'altra dimensione riguardino un tipo di esperienza che tutti, al momento di quella che Ernesto Bozzano chiamava "la crisi della morte", dovremo affrontare; che il fatto di riflettere su tali cose può comportare delle enormi conseguenze sul nostro modo di vedere la vita, su quello di viverla e su quello di concluderla.
A noi non sembrano cose di poco conto.
Se possiamo considerarle, quanto meno, una ragionevole ipotesi di lavoro per ciò che riguarda il processo della nostra evoluzione spirituale, fin da qui e fin da ora, allora significa che una nuova, ricca prospettiva esistenziale si apre davanti a noi, con tutte le conseguenze che ciò comporta per noi e per coloro in mezzo ai quali viviamo.