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Gesù, per Proudhon, era un «Anti-Messia» e un «anti-Cristo»

di Francesco Lamendola - 26/02/2008

 

 

 

 Ma stiamo parlando proprio di quel Proudhon lì, di Pierre-Joseph Prudhon, padre nobile del pensiero anarchico, rivoluzionario anti-borghese e ferocemente attaccato, per la sua concezione anti-statalista, da Karl Marx, all'epoca della Prima Internazionale?

Ebbene sì, proprio di lui; perché, anche se molti suoi lettori e ammiratori non lo sanno, la teologia non era affatto l'ultimo dei suoi interessi e al cristianesimo, nonché alla figura storica di Gesù, egli aveva dedicato una bella fetta del suo tempo e delle sue energie intellettuali.

In una lettera al compatriota Muiron, che gli aveva domandato la sua collaborazione per il giornale che dirigeva, Proudhon aveva risposto: "Che cosa può farsene, signore, di un uomo che per tutta la sua vita non si è occupato d'altro che di metafisica, di lingue, di teologia" e che è "interamente estraneo (…) alle dispute e ai dibattiti politici?".

Già, proprio lui. Proudhon il ribelle, Proudhon l'incendiario; colui che alla domanda "che cos'è la proprietà?", aveva risposto: "La proprietà è un furto", era anche una persona dagli spiccati orientamenti spirituali, un uomo naturaliter religiosus se non anche, forse, naturaliter christianus. Questa è una faccia della sua personalità che quasi tutti ignorano, a cominciare dagli anarchici: probabilmente perché l'anarchismo, a parte la gigantesca personalità di Tolstoj, si è sempre più configurato, storicamente, come una ideologia politica  di tipo razionalista e immanentista, ispirandosi prevalentemente alla filosofia del positivismo e relegando ogni forma di spiritualità fra le anticaglie di un passato da cancellare.

Ma è una deformazione della realtà, dal momento che Proudhon, come abbiamo visto (e sia pure in una lettera privata e, per giunta, giovanile) vedeva se stesso prima come teologo e metafisico e poi come pensatore politico. Anche la cultura libertaria ha fatto la solita operazione di semplificare e alterare la realtà dei fatti, per meglio farli rientrare nei propri dogmi ideologici: esattamente come hanno sempre fatto, e come continuano a fare, le varie forme di cultura da essa accusate di "autoritarismo": dal liberalismo, al cattolicesimo sociale, al socialismo marxista - per non parlare del pensiero dell'estrema destra che, per gli anarchici (ma anche per i marxisti) è, puramente e semplicemente, tabù. E chi scrive ha frequentato abbastanza l'ambiente libertario da poter fare tali affermazioni senza timore di smentita.

Dunque, Proudhon teologo.

Un intellettuale cristiano di grandissimo prestigio, Henri de Lubac, del quale ci siamo già occupati in un apposito saggio (intitolato Dall'abisso dell'uomo all'abisso di Dio, sempre sul sito di Arianna Editrice), ha scritto un poderoso saggio di oltre 320 pagine, per approfondire questo insolito argomento: Proudhon e il cristianesimo (nell'Opera omnia di Henri de Lubac, a cura di Elio Guerriero, Milano, Jaca Book, 1985; titolo originale: Proudhon et le Christianisme, Paris, Seuil, 1945).

Noi, qui, non intendiamo abbracciare l'intera problematica del rapporto fra il pensatore anarchico e la religione cristiana; argomento, evidentemente, troppo vasto per essere affrontato nei limiti di un semplice articolo; ma ci soffermeremo a considerare la figura di Gesù secondo Proudhon. Anche così circoscritto, l'argomento che ci accingiamo a trattare ci sembra di notevole interesse e tale, per la sua scarsa notorietà, da poter stimolare altri ad approfondirlo adeguatamente, infrangendo il tacito tabù di cui sopra abbiamo parlato.

 

Nel 1863 era stata pubblicata la celebre Vita di Gesù di Ernst Renan, che aveva messo a rumore la Francia e un po’ tutta l’Europa: era il libro del giorno del quale tutti parlavano, dividendosi in accesi ammiratori e in critici severi.

Anche Proudhon prese posizione, accusando Renan di avere scritto un’opra ibrida, mescolandovi erudizione di tipo tedesco e “letteraturismo”, ossia eccessivo trasporto emotivo e prevalenza delle ragioni stilistiche su quelle rigorosamente storiche. Ma, soprattutto, Proudhon non condivideva l’interpretazione della figura storica di Gesù compiuta da Renan; tanto da scrivere, nella lettera a  Defontaine del 29 luglio 1863:

 

“Il signor Renan ha concepito il suo eroe come un mistico puro, idealista ed anche quietista, rivoluzionario per irritazione, per caso e contro la sua volontà; mentre io lo credo prima di tutto (…) moralista, riformatore sociale, in una parola, giustiziere.”

 

Per delineare brevemente l’interpretazione di Gesù da parte di Proudhon, ci serviamo del capitolo Proudhon teologo del bel saggio di Henri de Lubac che abbiamo sopra menzionato (ed. cit., pp. 139-145):

 

“Per mettere in rilievo la sua personale concezione di Gesù, Proudhon usa due formule, in cui riconosceremo una volta di più  il suo abituale oltranzismo. L’una e l’altra, d’altronde, gli sono ancora ispirate dal bisogno istintivo di prendere in contropiede Renan. «In lui – dice anzitutto – la religione era la cosa secondaria». S’intende con ciò quel sentimento che, quando prende il sopravvento, fa nascere così rapidamente quell’«idealismo mistico», che Proudhon biasima e nel cui ambito classifica, senza distinzioni, la spiritualità di Santa Teresa o di un San Francesco di Sales e tutte le varietà del quietismo. Quel che dominava in Gesù, al contrario, era «il sentimento elevato della morale e soprattutto della Giustizia»(lettera a Buzon, 9 luglio 1863). Così fu l’autore «della prima e della più grande delle rivoluzioni (Le peuple, 17 ottobre4 1848). Possiamo sottolineare, per inciso, la affinità di queste opinioni proudhoniane con la tesi recente di certi storici della religione, che oppongono volentieri i due tipi del mistocce del profeta – il primo si ripiega in se stesso, fuggendo l’illusione del mondo, mentre il secondo agisce nella storia predicando la giustizia sociale – e deplorano l’invasione del misticismo, a partire dallo pseudo-Dionigi, in una religione che, date le sue origini evangeliche,era un puro profetismo » (Friedrich Heiler, La Priore, passim). Proudhon, che no amava affatto il protestantesimo, si avvicina qui a una tesi che più di un protestante fa valere oggi contro le posizioni cattoliche. Egli la spinge anzi all’estremo, insistendo talmente su certe conseguenze sociali del Vangelo, da farne in qualche modo l’unico pensiero di Cristo.

“Altra formula che ripete a più riprese:Gesù non si è mai detto il Messia; egli fu, al contrario, un «anti-Messia», un «anti-Cristo» (Jésus, pp. 51, 111, 159, ecc.). I Vangeli, che sono «delle composizioni assolutamente meditate, non certo di ispirazione popolare», sono stati redatti da uomini «imbevuti di speculazioni sul Messia, anteriori alla venuta di Cristo»; essi sono il frutto di una «pia frode», che si può spiegare con «i costumi del tempo» e il cui successo non deve stupirci oltre misura: «Il Galileo è rimasto, come persona, tanto poco conosciuto, la sua missione è stata tanto breve (da tre a sei mesi), il teatro della sua predicazione tanto ristretto, la sua scomparsa tanto rapida, che, in capo a venticinque o trent’anni,  non si doveva sapere più nulla della sua persona » (lettera a Bergmann, 23 aprile 1861). Senza nasconderci la gravità di una tesi del genere, che scava un fossato tra Gesù e i suoi discepoli, e in questo modo sembra impedirci di ritrovarlo attraverso la loro testimonianza, ci sentiamo tuttavia un po’ rassicurati sul senso della formula stessa, ascoltando Proudhon dirci che «il messianismo non è affatto quello che si crede», e scoprendo in Césarisme et christianisme, questa glossa: «Gesù… è l’anti-Messia, nel senso degli Ebrei» (t. 1, p. 121).

“Checché ne sia di questi oltranzismi e di quel che si dovrebbe ribattere, checché ne sia anche dell’incomprensione fin troppo certa del nostro esegeta nei riguardi dell’essenziale, è indubbio che la figura di Gesù s’impose in modo unico all’ammirazione di Proudhon. È un fatto che ci guardiamo bene dal disprezzare. È qualche cosa che balza agli occhi in più di una pagina della sua opera, anche in quelle che manifestano meglio la ristrettezza e l’insufficienza dei suoi punti di vista… (…).

“Negli appunti che accumula per il suo Jésus, Proudhon dichiara anche che «il cristianesimo è il fatto più grande della storia universale» (p. 261), e traccia del suo fondatore un ritratto che non è lontano dal riconoscergli una vera trascendenza…

“San Paolo (…) gli ispira dei sentimenti analoghi a quelli che esprimerà Renan. «Quest’uomo – dice – è il classico tipo del settario, geloso, testardo, asociale»: con lui «la speculazione prende il posto della coscienza» (Jésus, p. 156)»; interi passi delle sue lettere sono un vero «fastello di sottigliezze», «la sua mania per le citazioni e le contraffazioni del Vecchio Testamento» lo porta a «divagare», i suoi ragionamenti ci fanno sprofondare «in un abisso di assurdità» (Bible annotée, Nouveau Testament, t. 2, p. 422). È un «maniaco», uno «spirito falso» (Justice, t. 4, p. 84). Proudhon talvolta sa ammirare la forza della sua prosa (Op. cit., p. 242), ma non sembra che sia mai stato colpito dalla forza della sua dottrina. In Justice, dà dell’«agape fraterna» dei primi tempi della Chiesa, un’interpretazione assurda, che difende in seguito con lunghe annotazioni, con una esegesi del quindicesimo capitolo degli Atti e della prima epistola ai Corinzi; qui, francamente, Proudhon sragiona… (Justice, t. 4).

“Non è il caso di soffermarci ancora su una parte dell’opera di Proudhon, che non è certo tra le più solide. Ancora una volta, e malgrado le sue pretese, l’esegesi di Proudhon conta poco. Quel che conta veramente è la sua cultura biblica, che è vasta e profonda, e dà a tutto il suo pensiero un urto, che riveste tutta la sua opera letteraria di un manto di splendore. La Bibbia fu la grande maestra di questo autodidatta… (…)

“Teologo ‘esterno’, esegeta di fantasia, Proudhon è, nella nostra letteratura [cioè in quella francese, nota nostra] uno dei grandi rappresentanti della tradizione biblica.”

 

Oggi, alla luce dell'esperienza della "teologia della liberazione" la quale, specialmente nella Chiesa cattolica dell'America Latina, ha conosciuto anche momenti di tensione con le massime gerarchie (come  quello che contrappose Giovanni Paolo II al poeta-teologo Ernesto Cardenal, nel Nicaragua sandinista degli anni Ottanta del Novecento), l'interpretazione rivoluzionaria di Gesù da parte di Proudhon appare particolarmente datata: frutto, cioè, di circostanze storiche contingenti e, per molti aspetti, irripetibili.

Oggi sono ben pochi, crediamo, gli storici del cristianesimo - per non parlare dei teologi - che si sentirebbero di sottoscrivere l'interpretazione di Gesù avanzata da Proudhon, come di un "Anti-Messia" e di un "Anti-Cristo", animato principalmente da un sacro zelo per la Giustizia e per la Carità (intesa come amore ardente del prossimo e specialmente dei più umili e indifesi). D'altra parte, il pensatore francese intendeva un "Anti-Messia" "nel senso degli Ebrei", e cioè un personaggio totalmente diverso e, in qualche misura, antitetico a quello che il popolo ebreo aspettava nelle vesti di Messia politico-religioso, per guidare il riscatto nazionale contro i Romani e restaurare il Regno davidico o, quanto meno, lo Stato - che oggi si definirebbe "fondamentalista" -  dei Maccabei. E questa precisazione rende la definizione di "Anti-Messia", in buona sostanza,  condivisibile, non solo da un punto di vista cattolico, ma, in genere, da un punto di vista storico-religioso.

Infine, bisogna tener presente la ferma convinzione di Proudhon che ogni collettività umana, che non sia fondata sul primato dell'individuo, è una forma di violenza e di irreggimentazione (da cui la sua avversione per il comunismo); così come la sua fede nell'unità e indissolubilità della famiglia, che egli considerava la base della società umana. Si tratta di due punti qualificanti del suo pensiero, che ci permettono di comprendere come egli abbia visto in Gesù una figura esemplare di assertore del primato delle esigenze del singolo su quelle della comunità (donde la sua polemica contro il legalismo farisaico) e della indissolubilità del matrimonio, quale garanzia della saldezza dell'istituto familiare.

Può darsi che, dal punto di vista marxista, si tratti di caratteri "arcaici" e "anti-moderni" del grande teorico dell'anarchismo; così come, più in generale, arcaica e antimoderna appariva a Marx la posizione anarchica nei confronti dell'industrializzazione e dell'urbanesimo. Tuttavia, i disastri provocati dalla filosofia sviluppista in Unione Sovietica, anche semplicemente a livello ecologico, sono ormai sotto gli occhi di tutti, per cui non è nemmeno il caso di insistere sul fatto che la reazione "anti-moderna" propria dell'anarchismo era forse, dopo tutto, più consapevole e lungimirante del grossolano positivismo marxista, animato da una fede assolutamente acritica nel potere liberatorio dello sviluppo industriale (cfr., ad esempio, il nostro articolo Come si uccide un mare interno in nome dello sviluppismo, sul sito di Arianna Editrice, dedicato all'avvelenamento e al prosciugamento del Lago d'Aral).

Ci sembra, pertanto, si possa riconoscere che l'interpretazione di Gesù come "Anti-Messia" del popolo ebreo, per quanto indubbiamente forzata dal punto di vista storico-religioso, sia coerente con altri aspetti qualificanti del pensiero proudhoniano, volti a valorizzare e difendere la sfera della giustizia sociale e della libertà individuale contro ogni forma di tirannia, tanto politica che religiosa.   Inoltre, le frequenti riflessioni svolte da Proudhon sulla figura e sul ruolo svolto da Gesù nel quadro della società e della religione giudaiche  confermano la forte sensibilità religiosa di questo autore che, se non altro, ebbe il merito di confrontarsi seriamente e intensamente con la Bibbia e con il ruolo svolto dal cristianesimo nella storia e nella cultura europea. Ciò che sicuramente non può dirsi di Marx e nemmeno di Bakunin e di altre figure di teorici del pensiero anarchico, in gran parte imbevute di quel pregiudizio illuminista e razionalista che li portava a vedere, nel fatto religioso in quanto tale, essenzialmente una forma di alienazione degli esseri umani, se non anche, puramente e semplicemente, un perfido complotto di preti astuti e senza scrupoli per tenere asservita e prona alla loro sete di potere l'intera società.