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Uranio impoverito: basta aspettare!

di Tatiana Genovese - 26/02/2008

 

Uranio impoverito: basta aspettare!


Con la caduta del governo Prodi, ha terminato il suo mandato anche la commissione d’inchiesta parlamentare sull’uranio impoverito, istituita a ottobre del 2006, in netto ritardo rispetto alla tabella di marcia dell’esecutivo, per fare luce sui casi di morte e gravi malattie che hanno colpito il personale italiano impiegato nelle missioni militari all’estero, nei poligoni di tiro e nei siti in cui vengono stoccate munizioni belliche. La relazione di fine mandato, nonostante ha lasciato senza risposte tanti dubbi e incertezze, ha comunque prodotto un risultato importante per l’annosa questione degli indennizzi, ovvero, anche se non è stato provato un nesso di causalità rispetto alla patologia, come osservato dall’Istituto superiore di Sanità, che non conferma tale ipotesi ma neppure la smentisce, i militari colpiti da malattie, probabilmente collegate al loro lavoro, potranno ora richiedere il risarcimento. Il risultato positivo, raggiunto con le proposte emendative del senatore Nieddu del Pd, è stato trovato grazie ad un’attenta cautela nella scelte delle parole, ovvero al criterio di casualità è stato sostituito quello di probabilità, chiave quest’ultima per ottenere il riconoscimento della propria malattia e per arrivare alla richiesta di indennizzo per chi è stato vittima delle radiazioni e delle polveri che si creano dopo l’esplosione di proiettili all’uranio. Scrive, infatti, la Commissione nella relazione finale: “La Commissione ha sostituito al criterio del nesso di causalità, quello del criterio di probabilità, utilizzando criteri statistico-probabilistici nella valutazione delle possibili cause delle patologie e sganciando, in un certo senso, l’effetto dalla causa. Non potendosi affermare - ma neanche escludere - la relazione tra l’evento morboso e la causa scatenante, il fatto stesso che l’evento si sia verificato costituisce di per sé motivo sufficiente per il ricorso agli strumenti risarcitori”.
Alla fine dunque i 21 senatori che componevano la commissione si sono trovati tutti d’accordo, tranne i tre astenuti, non solo nel sostituire il nesso di casualità, ma anche con l’equiparare le vittime “del dovere” alle vittime del terrorismo, almeno per quanto riguarda l’accesso ai fondi per il risarcimento.
Tante tuttavia le difficoltà che l’organo d’inchiesta ha trovato sulla sua strada in questo scarso anno e mezzo di lavoro; a cominciare dagli approssimativi dati statistici epidemiologici forniti dal ministero della Difesa, come confermato dall’audizione del titolare di Palazzo Baracchini, Arturo Parisi, che enunciò dati in netto contrasto con quelli forniti dallo stesso Goi. C’è poi l’esigua disponibilità di fondi messi a disposizione della commissione, appena centomila euro, e gli ostacoli riscontrati nel reperire i dati dai distretti e dagli ospedali militari, come denunciato dalla stessa presidente Lidia Menapace, quando spiegò: “In alcuni casi abbiamo dovuto mandare la polizia giudiziaria per ottenerli”.
L’ultima difficoltà è poi rappresentata dal fattore tempo. La commissione infatti doveva indagare anche sulle popolazioni civili nei teatri di conflitto e nelle zone adiacenti le basi militari sul territorio nazionale, con particolare attenzione agli effetti dell’utilizzo di proiettili all’uranio impoverito e della dispersione nell’ambiente di nanoparticelle di minerali pesanti prodotte dalle esplosioni di materiale bellico, ma il tempo non è bastato. Senza considerare poi che l’organo ha chiuso i battenti proprio quando, come annunciato, doveva iniziare a incrociare i dati e a stabilire la veridicità sul “teatrino di cifre” messo su da Arturo Parisi e prontamente contestato dalle associazioni che raccolgono le denunce dei militari ammalati.
Adesso dunque si spera che i fondi per questi indennizzi verranno sbloccati, considerando inoltre che i 30 milioni di euro per il triennio 2008-2010, previsti specificamente per le patologie oggetto dell’inchiesta, nella legge 24 dicembre 2007, n. 244, come anche specificato nella relazione conclusiva della commissione d’inchiesta, non sono stati distribuiti, per mancanza delle norme di attuazione del ministero della Difesa.