«Si dovrebbero vergognare coloro che dissero che era un mercenario, è morto da eroe»: così ha dichiarato il ministro degli esteri e vice-premier Gianfranco Fini commentando il video sull'uccisione di Fabrizio Quattrocchi. E ha aggiunto: «Chi lo ha giudicato un guerrafondaio si ricreda». Un «eroe» dunque, immolatosi per una giusta causa, la cui scelta di vita dovrebbe essere esemplare per i giovani italiani. Come quella di Salvatore Stefio, creatore della Presidium International Corporation, che con «uomini di provata esperienza» offre i suoi «servizi» ai «governi che necessitano di una rapida risoluzione dei problemi di carattere militare, di difesa e sicurezza interna». La società - «incorporata nella Repubblica delle Seychelles» per aggirare la legge italiana e sottrarre al fisco i proventi - è una delle piccole compagnie paramilitari che in Iraq si spartiscono le briciole (ossia i subcontratti o incarichi secondari) lasciate dalle grandi «compagnie di sicurezza private», quasi tutte statunitensi. Tra le maggiori vi è la Blackwater, che ha reclutato per la guerra in Iraq militari cileni formatisi alla scuola di Pinochet. Tra i compiti delle compagnie militari private vi è anche quello dell'interrogatorio dei prigionieri: specialisti della Caci International e della Titan Corp. hanno partecipato alle torture ad Abu Ghraib. Lo ha ammesso nell'agosto 2004 un rapporto dell'esercito Usa, tanto che un mese dopo l'esercito ha ufficialmente proibito la partecipazione di contrattisti privati agli interrogatori. Una pura formalità: le regole d'ingaggio, stabilite dalla Joint Task Force-7, autorizzano i contractors a impiegare «forza letale», a «fermare, detenere e perquisire civili, se ciò è necessario per la vostra sicurezza o è specificato nel vostro contratto». Quali siano i metodi usati lo dimostra un filmato che un ex dipendente della Aegis Defence Services, con base a Londra, ha messo nel suo sito lo scorso dicembre: si vedono contractors della Aegis sparare contro auto di civili in Iraq.
Casi come questo sono solo la punta dell'iceberg della guerra combattuta dall'esercito segreto, composto da almeno 25mila contractors i quali, come specifica la DynCorp, devono avere «una provata esperienza nei servizi segreti o nei corpi militari scelti» degli Stati uniti o di altri paesi. Il salario base è di 12-21mila dollari mensili per quelli statunitensi e di altri paesi occidentali; molto meno, al massimo 600 dollari mensili, per quelli provenienti da paesi del «terzo mondo».
In Iraq gli Stati uniti conducono così due guerre: quella alla luce del giorno con bombardamenti e rallestramenti; quella nascosta, con azioni coperte effettuate dalle 15 agenzie della National Intelligence, diretta dall'ex ambasciatore in Iraq John Negroponte, sotto la regia del «Servizio clandestino nazionale», settore trasversale supersegreto con base alla Cia con il compito di coordinare «la crescente attività di spionaggio e operazioni coperte condotte dal Pentagono e dall'Fbi su scala mondiale» (The Washington Post, 14 ott. 2005). In questa seconda guerra, in Iraq vengono usati i contractors più qualificati e diversi agenti nascosti tra i 50-70mila tecnici civili assunti per la maggior parte dalla Halliburton. In tale quadro si inserisce la vicenda, ancora oscura, di come sia avvenuta realmente la fantomatica liberazione - i marines d'assalto scoprono la prigione, il tutto ripreso in video -, nel giugno 2004, degli altri tre contractors italiani (Stefio, Cupertino e Agliana) catturati insieme a Quattrocchi. La chiave del mistero è rappresentata da Jerzy Kos, un ingegnere polacco tenuto in ostaggio significativamente insieme agli italiani. Secondo varie fonti giornalistiche «non è solo un industriale polacco ma uno 007 di Varsavia munito di un microchip sottocutaneo che ha permesso all'intelligence polacca e americana di localizzarlo fin dalle primissime ore del rapimento» (La Repubblica, 16 giugno 2004).
Successivamente è emerso che Jerzy Kos dirigeva l'aeroporto di Szczytno-Szymany in Polonia, utilizzato dalla Cia come scalo per trasportare prigionieri con un Boeing 737 dall'Afghanistan a Guantanamo. Intervistato il 4 novembre 2005 dal giornale polacco Gazeta Wyborczaus, Jerzy Kos ha ammesso che era nell'aeroporto quando era atterrato il Boeing ma di aver visto «solo soldati caricare e scaricare della casse, non però persone a bordo». Alla domanda se il volo fosse stato registrato ha però risposto di no. Successivamente Kos ha improvvisamente cambiato lavoro, entrando in una «società di costruzioni», la Jedynka Wroclawska, che nell'aprile 2004 si è aggiudicata in modo tutt'altro che chiaro un contratto da 50 milioni di dollari in Iraq, dov'è poi arrivato. Dopo 56 giorni di prigionia Kos è stato liberato anche per il forte impegno dell'intelligence Usa, ed è rientrato in Polonia per riprendere il suo oscuro lavoro. Se invece fosse stato ucciso, sarebbe entrato anche lui nella schiera degli «eroi»?
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