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La frammentazione dei Balcani favorirà soltanto la criminalità

di Massimo Fini - 29/02/2008

Per capire la questione del Kosovo, che domenica ha proclamato l'indipendenza dalla Serbia, le sue origini e le sue implicazioni, bisogna fare qualche passo indietro. Nel 1990, dopo il crollo dell'Urss, Slovenia e Croazia dichiarano la propria secessione dalla Jugoslavia. La comunità internazionale (Usa, Germania e Vaticano in testa) si affrettò a riconoscere i due nuovi Stati. Allora i serbi di Bosnia chiesero a loro volta la secessione. Una Bosnia multietnica, a guida musulmana, aveva infatti ragion d'essere solo all'interno di una Jugoslavia multietnica che invece non esisteva più. Ma la comunità internazionale negò ai serbi ciò che aveva così prontamente accordato a sloveni e croati. E i serbi di Bosnia scesero in guerra che stavano largamente vincendo, perché, sul terreno sono i migliori combattenti del mondo e perché potevano contare sul retroterra della madrepatria di Belgrado (come peraltro anche i croati con Zagabria), mentre i musulmani erano isolati a parte qualche aiuto saltuario dall'Iran.
Fu una guerra sanguinosa. Ma agli europei e agli Usa la vittoria dei serbi non andava bene (erano rimasti gli ultimi quasi-comunisti d'Europa). Intervenne la Nato e capovolse il verdetto del campo di battaglia: i vincitori divennero i vinti. Il presidente croato Tudjman ne approfittò per realizzare la più colossale "pulizia etnica" dei Balcani cacciando, in un solo giorno, 800 mila serbi dalla krajne.

L'indebolimento della Serbia attizzò l'idipendentismo degli albanesi del Kosovo. In questa regione, da secoli giuridicamente e storicamente serba, erano diventati nel corso del tempo la maggioranza. Nel 1998 cominciò la guerriglia dell'Uck, armata dagli Usa, che faceva ampio uso del terrorismo, cui l'esercito di Belgrado rispondeva con altrettanta violenza. Si trovavano quindi di fronte due ragioni, quella dell'indipendentismo e quella di uno Stato sovrano a difendere l'integrità del proprio territorio, che i due contendenti avrebbero dovuto risolversi fra loro, anche con le armi. Ma gli Stati Uniti avevano deciso che i cattivi erano i serbi. Contro al volontà dell'Onu e violando il principio di diritto internazionale, fino ad allora mai messo in discussione, della non ingerenza negli affari interni di uno Stato sovrano, la Nato, con l'Italia a fare da «palo», bombardò per 72 giorni una grande capitale europea come Belgrado, finché i serbi dovettero arrendersi.

Quella alla Serbia di Milosevic è stata una guerra stolta. Sia dal punto di vista nostro, nazionale, che internazionale. Con la Serbia noi non abbiamo mai avuto contenziosi (mentre con la Croazia sì), ma anzi ottimi rapporti che risalgono all'alleanza nella prima guerra mondiale e al fatto che ai primi del '900 i serbi guardavano all'unità nazionale italiana come a un modello per la loro, non ancora raggiunta ma a parte queste ragioni storiche, la Serbia del «gendarme» Milosevic, checché se ne sia sempre scritto in contrario, era un fattore di controllo nei Balcani . Ora in Kosovo, in Bosnia, in Albania, in Macedonia, in Montenegro concrescono indisturbate colossali organizzazioni criminali che vanno a concludere i loro primi affari nel Paese vicino più ricco, l'Italia.

Durante la gestione Nato del Kosovo si è realizzato, sotto gli occhi complici della Kfor, un'altra grande «pulizia etnica»: vi vivevano 360 mila serbi, ora sono 60 mila. Ma l'aspetto più grottesco è che siamo andati a favorire nei Balcani proprio quella componente musulmana, a danno di quella cristiana, che adesso ci fa tanta paura e provoca le isterie «Fallaci-style».

Infine l'aver abbattuto il principio dell'intangibilità dei confini incoraggerà l'indipendentismo di tutti quei gruppi etnici che nei Balcani , in Bulgaria, in Macedonia, in Bosnia, in Romania, sono minoranza di uno Stato ma maggioranza in una sua regione. Con quale coerenza si negherà loro ciò che è stato concesso ai kosovari? e a maggior ragione a quei popoli, i baschi, i corsi, gli irlandesi del nord, i ceceni, i curdi, che, a differenza degli immigrati albanesi in Kosovo, sono radicati da sempre su un territorio che è loro? Ecco cosa prefigura l'apparentemente irrilevante indipendenza del piccolo Kosovo.