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La bufala del PIL

di Salvatore Tamburro - 01/03/2008

     
 

 L’indice P.I.L., acronimo di “Prodotto Interno Lordo”, è l’indice preso come dato di riferimento per cercare di comprendere il benessere di un Paese e viene anche utilizzato per confrontare le economia tra i diversi Paesi .

Esso è un indice non realistico che, seppur continuamente menzionato in statistiche o da giornalisti e politici in programmi televisivi come “Porta a porta” o “Matrix”, non rispecchia tuttavia la reale crescita (o decrescita) di una Paese.

Il motivo di questo sfasamento dalla realtà è dovuto al fatto che il P.I.L., oltre a non calcolare tutte le transazioni fatte a titolo gratuito (infatti non considera la consistente fetta del no-profit), considera soltanto le poste in gioco positive della produttività, e non quelle negative.
Faccio un esempio: se vado in un bar e mi scolo sette bottiglie di birra...

faccio aumentare il PIL; dopo, ubriaco, mi metto alla guida dell’auto e faccio uno scontro frontale con un’altra auto con genitori e figli a bordo mandandoli tutti all’ospedale o obbligandoli a cure mediche; anche in tal caso contribuisco a far aumentare il PIL del mio Paese, nonostante abbia rovinato la salute di alcune persone.

Altro esempio: una fabbrica farmaceutica che, coi medicinali venduti (meglio ancora…per loro… se impediscono l’utilizzo dei farmaci generici ai Paesi in Via di Sviluppo, dietro lo scudo dei brevetti e con l’appoggio del WTO) permette l’incremento del PIL. Ciò di cui però il PIL non tiene conto sono i costi che saranno necessari per bonificare  le acque o le terre circostanti dove magari tali imprese hanno versato i loro rifiuti tossici ed inquinanti.

Il PIL trascura ciò che accade al di fuori del regno degli scambi monetari e quindi non tiene conto dei costi sociali e ambientali, come ad es. il crimine e i disastri naturali che  vengono considerati come guadagni economici in quanto sono transazioni monetarie positive che vanno ad aumentare il PIL.

Sempre di più, quindi, ci si convince che il PIL sia incapace di misurare il benessere collettivo nazionale, e quindi diremmo la “felicità” di un popolo, poiché si limita a considerare unicamente le voci positive del reddito e delle cifre numeriche che esso esprime.

Di conseguenza andrebbero rivalutati e rivisti ex-novo tutti i rapporti del PIL nei confronti del deficit e del debito pubblico, poiché questo ultimo non sarebbe in rapporto al PIL del 105-106% bensì ad una percentuale di gran lunga superiore.

Fortunatamente anche i nostri politici sembra si stiano aggiornando a riguardo, date le recenti conferenze a Bruxelles organizzate dalla Commissione europea, dal Parlamento Europeo, dall’OCSE e dal WWF per decidere la scelta di un indicatore più appropriato per misurare il progresso, così come in Francia dove il presidente Sarkozy ha incaricato i premi Nobel per l'economia, Stiglitz e Sen, di riflettere su come cambiare gli indicatori della crescita in Francia, per rispecchiare meglio la qualità della vita dei francesi.

Le alternative ci sono ed esistono già da tempo, come il FIL (felicità interna lorda), l’ISU (Indice di sviluppo umano), oppure l’ IEF (Indice della libertà economica).

Ma tra le varie proposte finora valutate l’aternativa più valida finora sembra il GPI, il “Genuine Progress Indicator”, utilizzato negli USA dal 1950 ed è una misura che tiene conto di più di venti aspetti della vita economica che il PIL ignora, come la stima dei contributi economici di numerosi fattori sociali ed ambientali.

Volendo confrontare PIL e GPI si evincono marcate differenze di valutazione: mentre negli USA il PIL è quasi duplicato dagli anni 50 ad oggi, il GPI è cresciuto del 45% tra gli anni 50-60, mentre il tasso di declino pro-capite è poi stato dell’1% negli anni 70, del 2% negli anni 80 e del 6% negli anni 90. Ciò significa che mentre secondo il PIL l’economia americana si è raddoppiata, secondo il GPI l’economia americana ha smesso di crescere negli anni 70 e da allora ha pressoché un andamento stagnante.

 

 

<!--[if !supportLists]-->-         Grafico creato dal “Redefining Progress”<!--[endif]-->

 

Nel continuo tentativo di selezionare l’indice più valido e completo, ci si renderà conto che nessun indice sia in grado di misurare numericamente la felicità (benessere) di una collettività, poiché nessun economista  sarà mai in grado di calcolare il connubio di “aponia e atarassia” come Epicuro insegnava.

Però, qualora si analizzi la produttività in termini macro-economici, si auspica si possa presto scegliere come riferimento una misurazione più attendibile per valutare le performances economiche di un Paese.