P assò gli ultimi mesi della sua vita, Tommaso Moro, a pensare alla Passione di Cristo. E ne trasse scritti come La tristezza, l’amarezza, l’angoscia e la preghiera di Cristo prima della cattura, dove il suo genio interpretativo e intuitivo raggiunge intensità sconcertanti. Sono splendide, per esempio, le riflessioni che inanella attorno all’etimologia di Cedron, il torrente Cedron che attraversa la Valle che porta all’Orto degli ulivi e che, scrive Tommaso, significa 'triste', 'nera tristezza'. Il Cedron dà il nome alla valle che attraversa, e lascia su di essa la traccia di quel non-colore, il nero, che indica la notte e il peccato. Il Cristo 'annerito' è, per Tommaso, il Cristo insultato, sputato, sporcato dalle offese dell’uomo. Queste cose Tommaso le scrive nella cella che lo vede prigioniero nella Torre di Londra, dopo aver vissuto ai gradi più alti della scena politica inglese, fino a quel cancellierato da cui si dimetterà, non potendo avvallare la mossa di Enrico VIII di mettersi a capo della Chiesa d’Inghilterra, ed è un capolavoro d’ironia il modo con cui ringrazierà il re per avergli permesso di dedicarsi soltanto allo studio. Tommaso rifiuta di sottoscrivere la mossa del re, ma senza clamore, e si chiude nel silenzio. Questo però non farà che agevolare l’esito della tragedia. Il 6 luglio 1535 fu decapitato nella pubblica piazza e la sua testa lasciata per un mese all’aria finché la figlia Margaret non poté riscattarla e darle degna sepoltura. Questa immagine di testa mozzata ed esposta allo sguardo di tutti, offesa indegna di un mondo minimamente civile, ma certo ancor più indegna se pensiamo alla grandezza umana della persona cui quella testa apparteneva, mi fa pensare al quadro di Caravaggio del David che mostra la testa di Golia. Golia ha le sembianze di Caravaggio, è il suo autoritratto «in nero» – lo disse un giorno prima di morire, «i miei peccati sono tutti mortali» – così come dalla nerezza del Cedron esce invece il luminoso autoritratto di Moro che si specchia nella passione di Cristo. C’è questa sostanza «personale» anche in ogni lettera di Tommaso, un tono cordiale, senza eccessive preoccupazioni di seguire le regole della retorica, insomma – come ricorda Francesco Rognoni nella prefazione a questo volume che raccoglie una quarantina di sue lettere – Moro non pratica il «genere letterario» dell’epistola, ogni lettera è una risposta alle diverse sollecitazioni che lo richiedono come padre, amico, polemista, teologo, uomo pubblico e quelle più assidue sono rivolte a Erasmo e alla figlia Margaret, mentre le più impegnate sotto il profilo intellettuale e controversista sono quelle in risposta a Martin Dorp o a John Frith: nel primo, prendendo le difese di Erasmo e delle ragioni che ispirarono il suo Elogio della stoltezza, accusa Dorp di cedere al vizio accademizzante delle controversie teologiche di lana caprina, le «questioncelle », con l’aggiunta di un bel po’ di perfidia (tantopiù che Dorp era amico di Erasmo e di Moro), mentre nella lettera a Frith disquisisce in difesa del sacramento dell’Eucaristia che Frith, morto sul rogo nel 1533, tendeva a misconoscere con argomenti «un bel po’ al di là di Lutero». In questa edizione che vede la luce sotto la cura di Rognoni, in realtà c’è un altro fatto degno di nota: autore della traduzione è quel don Alberto Castelli che fu uno dei padri dell’anglistica italiana, grande studioso di Shakespeare, di Moro, di Chaucer e di Eliot, stimato da Mario Praz e da Luigi Firpo, docente alla Cattolica di Milano per vent’anni, poi chiamato alla responsabilità pastorale come vescovo e dal 1954 al ’66 segretario della Cei. Le traduzioni di Castelli sono tuttora di riferimento e alcune vengono puntualmente ristampate. Egli aveva curato nel 1966 un’edizione con 20 lettere di Moro, una scelta a cui doveva aver imposto una certa misura mentre altre ne avrebbe potute inserire che avrebbero dato maggior completezza al quadro umano e intellettuale del grande inglese. C’è da dire che quando verso la fine degli anni cinquanta partì l’iniziativa della Yale University Press di pubblicare i Complete Works of Thomas More, si auspicava anche un’edizione completa del carteggio, e mentre nel 1997 si è conclusa quella degli scritti autonomi di Tommaso, ancora oggi, come ricorda Rognoni, manca l’edizione dell’epistolario, così che di riferimento resta ancora adesso quella del 1947 della Princeton University Press. Questo dato dice anche l’importanza per il lettore italiano di questa nuova edizione delle lettere tradotte da Castelli, nella quale Rognoni ha raccolto non solo le venti apparse nel ’66, ma tutte le altre che Castelli tradusse fino al 1971, anno della morte. Lo stile di Castelli è straordinariamente attento a mantenere le sfumature dei toni che di volta in volta Moro adotta nelle lettere: attraverso la traduzione si ha l’impressione di sentire parlare un vivo e si tocca con mano la bravura con cui Moro è di volta in volta libero pensatore, apologeta, padre e amico, controversista, si avverte la grazia, la tenerezza, l’ironia ma anche la severità che esercita non senza spazientirsi talvolta o dispensando straordinarie intuizioni di psicologia non soltanto politica o teologica, ma più specificamente umana. In ultimo due brevi annotazioni: mentre parla della celebre isola, Utopia, ripetutamente la definisce «il mio Nonluogo», ed Erasmo rispondendo si adegua parlando del «tuo Nonluogo [ Nusquamae] », termine di sorprendente modernità (mentre per Moro era la dimensione di perfezione cui tende, con ben altre prospettive, l’utopismo moderno, oggi l’antropologo Marc Augé usa quel termine per i luoghi di una vita sociale marginale ma decisiva per capire il mondo attuale). Di identica attualità la lettera a William Gonell, sacerdote e precettore in casa More, dove Tommaso spende parole dolci ma anche da paladino della promozione umana delle donne a partire da ciò che egli si augura per le sue tre figlie, per Margaret Elizabeth e Cecily, ovvero che crescano nutrendosi di studi umanistici, cioè eccellendo in un’arte tipicamente maschile. Ecco, qui il padre parla, ma parla da uomo che sa come la cultura e il sapere siano la strada maestra della promozione umana (all’epoca per tutti, ma tantopiù per le donne). Insomma, un protomanifesto di femminismo coltivato nel segno della verità, del bene e della bellezza. Tommaso Moro LETTERE A cura di Alberto Castelli Vita&Pensiero. Pagine 438. Euro 25 Una edizione delle lettere getta nuova luce sulla grandezza morale del filosofo cancelliere messo a morte da Enrico VIII
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