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La Russia dopo il voto

di Daniele Scalea - 03/03/2008

Questi ultimi mesi hanno ospitato un paio d'eventi importanti per il futuro politico della Russia: le elezioni dei rappresentanti presso la camera bassa legislativa (2 dicembre 2007) e quelle del nuovo presidente federale (2 marzo 2008). Tali consultazioni popolari si sono tenute in un clima molto teso tra Mosca e la NATO, quest'ultima responsabile di numerose mosse ostili verso la Russia. L'OSCE ed i media occidentali hanno ampiamente screditato la regolarità delle elezioni russe, senza dubbio esagerandone le eventuali forzature governative o amplificando oltre misura l'importanza di personaggi che sono invece ampiamente screditati presso l'opinione pubblica russa. In entrambe le elezioni il presidente uscente russo, Vladimir Putin, divenuto il nuovo spauracchio della macchina propagandistica atlantista, s'è esposto in prima persona, buttando sul piatto della bilancia la propria enorme popolarità per favorire il partito ed il successore da lui prediletti: Edinaja Rossija e Dmitrij Medvedev.
Le elezioni legislative del 2 dicembre presentavano alcune originalità dal punto di vista procedurale. Come noto, in Russia i cittadini eleggono unicamente la camera bassa (Duma), mentre l'altro ramo dell'Assemblea Federale (Federal'noe Sobranie), il Consiglio della Federazione (Sovet Federacii), vede i propri membri nominati dai rappresentanti di ciascuna entità federata nello Stato russo (si tratta di 84 soggetti: 21 repubbliche, 47 province, 8 territori, due città federali, 5 distretti autonomi ed una provincia autonoma). La Duma detiene il potere legislativo collegialmente col Consiglio della Federazione. Diversamente dalle consultazioni precedenti, a dicembre la Duma è stata eletta in base ad un sistema di suddivisione dei seggi tra i partiti in proporzione ai voti ottenuti, con l'abolizione pertanto della quota maggioritaria che in passato rappresentava metà dei seggi (favorendo spesso indipendenti o piccoli partiti regionali). La soglia di sbarramento è stata ulteriormente innalzata dal 5% al 7%, ed è stato abolito il “voto contro tutti”, particolarità del sistema elettorale russo. Non ostante le accuse - spesso scomposte e nient'affatto circostanziate - provenienti da ambienti atlantisti, tutti i partiti durante la campagna elettorale hanno avuto a disposizione spazi televisivi; inoltre i circa 400 osservatori internazionali non hanno ravvisato irregolarità. Undici partiti hanno preso parte alla competizione elettorale, con i seguenti risultati ufficiali:

Edinaja Rossija (Russia Unita) -> 64,3% dei voti (44.714.241)
Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii (Partito Comunista della Federazione Russia)
-> 11,57% dei voti (8.046.886)
Liberal'no-Demokratičeskaja Partija Rossi (Partito Liberal-Democratico di Russia)
-> 8,14% dei voti (5.660.823)
Spravedlivaja Rossija (Russia Giusta) -> 7,74% dei voti (5.383.639)
Agrarnaja Partija Rossii (Partito Agrario di Russia) -> 2,3% dei voti (1.600.234)
Rossijskaja Demokratičeskaja Partija “Jabloko” (Partito Democratico Russo “Mela”)
-> 1,59% dei voti (1.108.985)
Graždanskaja Sila (Potere Civile) -> 1,05% dei voti (733.604)
Sojuz Pravych Sil (Unione delle Forze di Destra) -> 0,96% dei voti (669.444)
Patrioty Rossii (Patrioti di Russia) -> 0,89% dei voti (615.417)
Rossijskaja Partija Spravedlivosti (Partito Russo della Giustizia Sociale)
-> 0,22% dei voti (154.083)
Demokratičeskaja Partija Rossii (Partito Democratico di Russia)
-> 0,13% dei voti (89.780)

Quattro partiti sono dunque entrati a comporre la nuova Duma: a Edinaja Rossija (315 seggi), KPFR (57 seggi), LDPR (40 seggi) e Spravedlivaja Rossija (38 seggi). È interessante notare come dei sette partiti esclusi, nessuno riesca neppure ad avvicinarsi alla soglia del 7%; tanto che persino la vecchia soglia del 5% si configurerebbero come un ostacolo pressoché insormontabile per loro. Il progetto, a lungo perseguito dal Cremlino, d'una “semplificazione” della politica russa attraverso la riduzione dei partiti sembra dunque avere avuto successo. Varrà comunque la pena notare come ciò non vada eccessivamente a discapito del pluralismo: dei 4 partiti rappresentati in parlamento, uno si pone a garante dello status quo (Edinaja Rossija), uno mira al ritorno almeno parziale ai fasti dell'URSS (KPFR), uno s'ispira fin nel nome alla liberal-democrazia benché con sfumature nazionalistiche (LDPR), e l'ultimo propugna un'organizzazione statalista e socialista ma non ideologica (Spravedlivaja Rossija). Una pluralità di visioni ideologiche, economiche e politiche che probabilmente non si ritrova nei paesi dell'Europa Occidentale, e tanto meno negli USA. Anche se, come vedremo, un'assente importante in tale gamma politica c'è.
Il successo di Edinaja Rossija è stato travolgente. La decisione di Putin d'esporsi pubblicamente e di capeggiare col proprio nome le liste elettorali del partito ha sortito i suoi effetti. Tale mossa è derivata probabilmente dalla volontà di Putin, oltre che di ottenere un'ultima sanzione popolare del proprio operato, anche di garantire un'ampia maggioranza parlamentare al “partito del potere”, oltreché legittimarsi come ovvia scelta per il posto di primo ministro una volta lasciata la presidenza (ed infatti il suo successore Dmitrij Medvedev ha subito fatto propria quest'ipotesi). “Russia Unita” ha ottenuto circa il doppio dei voti in valore assoluto (44,7 milioni contro 22,8 milioni) delle consultazioni precedenti (2003), incrementando d'oltre il cinquanta per cento il risultato percentuale (37,57% nel 2003) e garantendosi quasi 100 seggi in più. Più ancora che sottrarre voti ai propri rivali diretti (i quali hanno invece mantenuto sostanzialmente il proprio peso), Edinaja Rossija si è dimostrata in grado di mobilitare una massa d'elettori che nel 2003 aveva rinunciato ad esprimere la propria preferenza: l'affluenza ai seggi è infatti passata dal 55,57% al 63,71%; incremento che ha ancor maggiore valore se si considera l'abolizione del voto “contro tutti” e la crisi dei piccoli partiti.
Gli altri tre partiti entrati nella Duma hanno presentato tutti cali percentuali abbastanza contenuti (-1,04% il KPFR, -3,31% il LDPR, -1,28% Spravedlivaja Rossija). Questo è stato dovuto più ad un'incapacità d'attrarre i cittadini non schierati (che si sono recati alle urne per votare Edinaja Rossija) che ad emorragie verificatesi tra i propri elettori: in valore assoluto, il KPFR ha guadagnato circa mezzo milione di voti, mentre il solo LDPR ha avuto una perdita abbastanza consistente, d'oltre un milione di suffragi; l'elettorato di Spravedlivaja Rossija è rimasto pressoché intatto, pur considerando che nel 2003 essa si presentava come Rodina (Patria), ossia come coalizione di tre partiti che non sono oggi interamente confluiti nel nuovo soggetto politico capitanato da Sergej Mironov (presidente del Consiglio della Federazione), decisamente più filo-putiniano del suo predecessore.
Per quanto concerne i partiti al di sotto della soglia di sbarramento, vale la pena notare solo l'autentico disastro cui sono andate incontro le formazioni neoliberali: escludendo da esse Graždanskaja Sila, che è sì d'ispirazione liberale ma non prona alle direttive di Washington bensì vicina al Cremlino, si nota come gli altri tre partiti messi assieme raggiungano appena il 2,66%. Ossia poco più della metà della vecchia soglia di sbarramento, e ben lontani da quella attuale del 7%. Situazione appunto aggravata dalla tradizionale frammentazione di quell'area. Il crollo dell'SPS (“Unione delle Forze di Destra”), passata dall'8,6% di nove anni fa all'attuale 0,96% (ma già era rimasta esclusa dalla Duma nel 2003, avendo ottenuto un 4% scarso), segna il definitivo ripudio da parte del popolo russo delle ricette economiche neoliberali e monetariste per difendere le quali il partito era sorto nel 1999, dopo l'addio alla politica di quello che fino ad allora ne era stato il paladino ed esecutore, Boris El'cin. I cittadini, confrontando il disordine, la miseria e l'umiliazione nazionale dei tempi di El'cin con la rinnovata forza ed il crescente benessere della Russia di Putin, non potevano che scegliere per quest'ultima. Non meno significativa è la dura sconfitta di Jabloko, rappresentante del volto “informale” e “popolare” del neoliberalismo, che passa sotto il nome di “società civile”. Unico partito neoliberale e filo-statunitense ad entrare in parlamento nel 2003, non è oggi andato oltre un misero 1,6%.
Sulla scia di queste elezioni legislative dai risultati così netti e chiari, si è giunti alla consultazione popolare del 2 marzo, volta a scegliere il nuovo presidente della Federazione Russa. I candidati registrati erano 10, ma solo 4 sono arrivati a contendersi effettivamente i voti della cittadinanza. Questo perché, a parte Boris Nemcov (SPS) che s'è ritirato di propria spontanea volontà, 5 sono stati respinti dalla Commissione Elettorale Centrale per irregolarità procedurali: Michail Kas'jànov (già primo ministro e principale candidato neoliberale ed atlantista) per avere raccolto firme fasulle a sostegno della propria candidatura; Vladimir Bukovskij (estremista neoliberale molto vicino all'Inghilterra) per non aver risieduto in Russia negli ultimi dieci anni, come previsto dalla legge per potersi candidare alla Presidenza; Garri Kaspàrov (lo scacchista ebreo considerato agente degli USA, alleato con i nazional-bolscevichi di Limonov e con gli squadristi xenofobi del movimento anti-immigrazione) per non essere riuscito a presentare la documentazione nei tempi stabiliti; Oleg Šenin (comunista scissionista) per errori burocratici nella propria documentazione; Nikolaj Kurjanovič (deputato del LDPR dalle posizioni xenofobe).
Si sono invece confrontati quattro candidati, con i seguenti risultati ufficiali:

Dmitrij Medvedev -> 68,9%
Gennadij Zjugànov -> 18,3%
Vladimir Žirinovskij -> 10,1%
Andrej Bogdanov -> 1,3%

Dmitrij Anatol'evič Medvédev (pronuncia: Dimìtri Anatoliévič Midviédiff) diviene dunque il nuovo presidente della Federazione Russa. La sua candidatura è stata appoggiata personalmente da Vladimir Putin, non a caso al suo fianco sul palco in cui ne è stata festeggiata la trionfale elezione. Pur non appartenendo ad alcun partito, Medvedev è stato sostenuto da Edinaja Rossija, Spravedlivaja Rossija, Agrarnaja Partija Rossii e Graždanskaja Sila. Più che grazie al proprio carisma personale – a dire il vero non ingente, anche se è possibile che se lo guadagni durante la sua presidenza – Medvedev ha ottenuto il proprio trionfo (Putin nel 2004 era stato eletto col 71,31%, nel 2000 col 52,94%; El'cin nel 1991 non era andato oltre il 53,7%, e nel 1996 aveva dovuto ricorrere al ballottaggio per avere la meglio su Zjuganov) brillando della luce riflessa del popolarissimo presidente Putin. Ciò è una costante della sua carriera politica, tutta percorsa all'ombra del proprio mentore, conosciuto all'inizio degli anni '90 quando entrambi entrarono a far parte dell'entourage di Anatolij Sobčàk, allora sindaco di Leningrado (per sua volontà ribattezzata San Pietroburgo). Tra il 1991 ed il 1996 Medvedev è stato consulente legale della Commissione per le Relazioni con l'Estero di San Pietroburgo, alle dirette dipendenze di Putin che, nel dicembre 1999, l'ha voluto come vice-capo del personale presidenziale (una sorta di “capo di gabinetto”). Nel 2003, promuovendo Medvedev al ruolo di capo di gabinetto fino ad allora detenuto da Aleksandr Vološin, Vladimir Putin sancì il proprio definitivo distacco da quel centro di potere noto come la “Famiglia” el'ciniana. Dal 2000 (a parte una parentesi annuale) Medvedev è anche presidente del Consiglio direttivo di Gazprom, la più strategica delle imprese di Stato russe. Nel 2005 è infine divenuto primo vice-presidente, assieme a Sergej Ivanòv: s'erano così delineati i due papabili alla successione di Putin. La scelta di Putin non è stata priva d'importanza. Medvedev, come tutti gli uomini lanciatisi nella San Pietroburgo dei primi anni '90 (si pensi a Aleksej Miller o German Gref, tanto per fare altri due nomi), è esponente dell'occidentalismo liberale, mentre Sergej Ivanòv appartiene ai silovikì, la classe d'uomini politici usciti dai servizi segreti e caratterizzati da una visione “forte” dello Stato e da un più spiccato patriottismo. Per tutto il 2007 Ivanòv era parsa la scelta più probabile: maggiormente gradito all'esercito e più carismatico di Medvedev, sembrava meglio acconciarsi al nuovo clima di tensione venutosi a creare col Patto Atlantico (e gli USA in particolare). La scelta di Putin potrebbe dunque essere letta come una mossa distensiva nei confronti di Washington, ma è più probabile che essa poggi su ben altre considerazioni. Medvedev, a differenza di Ivanòv, è molto più “Putin-dipendente”. Laddove Ivanov avrebbe eventualmente potuto appoggiarsi sull'esercito, e conquistare pure il gradimento della popolazione col proprio carisma, fino a crearsi da presidente una propria “struttura del potere” svincolata da quella di Putin, Medvedev molto difficilmente potrà “fare le scarpe” al proprio mentore; posto che ne abbia il desiderio, e ciò già appare improbabile. Si può pensare che Putin abbia optato per Medvedev presidente per il semplice motivo ch'egli, un tecnico poco ideologizzato e fido esecutore degli ordini superiori, non pesterà le scarpe al proprio mentore e gli permetterà di continuare ad esercitare il potere supremo in Russia. I Russi, eleggendo Medvedev in modo quasi plebiscitario, hanno votato per la continuità: e probabilmente è esattamente ciò che avranno, una piena continuità colla presidenza di Putin (che, non a caso, sarà nominato primo ministro).
I candidati secondo e terzo classificato, ossia Zjugànov e Žirinovskij (rispettivamente capi del KPFR e del LDPR), hanno entrambi contestato la validità del voto. Mentre Zjuganov non è nuovo a queste accuse, la posizione di Žirinovskij ha sorpreso molti, poiché il capo del LDPR non si era finora mai posto in radicale opposizione a Putin. È possibile che irregolarità vi siano state per permettere a Medvedev di raggiungere una percentuale di suffragi “putiniana”, ma estremamente irrealistica appare la pretesa di Zjugànov per cui egli avrebbe potuto vincere senza i presunti brogli. Fatto sta che Zjugànov e Žirinovskij hanno registrato risultati molto positivi: nel 2004 i candidati dei loro partiti - Charitonov per il KPFR e Malyškin per il LDPR - avevano ottenuto rispettivamente il 13,69% ed il 2,02%, da confrontarsi col 18,3% ed il 10,1% odierni. Evidentemente questi due candidati sono riusciti ad attrarre non solo il voto di protesta (quello “contro tutti” che assomava al 3,45% quattro anni fa), non solo una frazione dei sostenitori di Putin (un 2% abbondante che non ha votato per Medvedev), ma pure i voti dei neoliberali (che li hanno preferiti a Bogdanov, accusato d'essere uno strumento del Cremlino; il 3,84% votò per Irina Chakamada nel 2004)) e persino quelli di Rodina (4,1% nel 2004), non ostante Spravedlivaja Rossija appoggiasse Medvedev.
Dmitrij Medvedev dovrebbe assumere ufficialmente la carica il 7 marzo; a quel punto sostituirà Viktor Zubkov, attuale primo ministro, con Vladimir Putin.