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I cristiani in terrasanta

di don Curzio Nitoglia - 03/03/2008

Fin quando non sarà risolta la questione israelo-palestinese
non vi sarà pace per il Medio Oriente

 

Poco prima del 1948, i cristiani a Gerusalemme erano circa il 50% della popolazione non ebraica, a Betlemme il 75%, a Ramallah addirittura il 90%: Oggi nella parte araba di Gerusalemme vive solo quasi il 15% di cristiani, mentre in tutta la Cisgiordania ne resta appena il 2% della popolazione. Nella striscia di Gaza i cristiani sono 3000 su 1, 5 milioni di musulmani. Gianni Valente scrive che «adesso, il caos che sconvolge il campo palestinese dopo lo scontro frontale tra Hamas e Fatah minaccia di trasformarsi in prova traumatica per l’esile multiforme cristianità palestinese»[1]. Il Valente cita l’analista libanese Georges Corm (Géopolitique du conflit libanais, Parigi, 1987) secondo cui proprio i cristiani palestinesi hanno avvertito per primi l’effetto destabilizzante della creazione di uno Stato ebraico in Terrasanta.
Papa Pacelli ha scritto ben tre Encicliche su questo tema, nella prima (Auspicia quaedam, maggio 1948) il Papa si dice preoccupato da “nubi minacciose di nuove guerre” data la situazione di occupazione della Palestina, proprio la Terrasanta “desta somma preoccupazione”. Nella seconda (In multiplicibus, ottobre 1948) il Papa parla della grave guerra che sconvolge la Terrasanta, di “migliaia di profughi, che vengono allontanati dalla loro patria”, i quali sono poi (1967) diventati oltre tre milioni. Ma egli prevede “mali maggiori” e chiede di “dare a Gerusalemme e dintorni un carattere internazionale”. Nella terza (Redemptoris nostri, aprile 1949) Pio XII chiede di “ottenere una giusta sistemazione giuridica, che assicuri piena libertà ai cattolici e la conservazione dei luoghi sacri in mano cristiana”. Lamenta la profanazione dei santuari, conventi e immagini sacre; condanna il fatto che i profughi (palestinesi) siano esiliati o addirittura rinchiusi in campi di concentramento e insiste ancora per il mantenimento del carattere internazionale di Gerusalemme, il quale oggi è calpestato.
Come recentemente ha spiegato il cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, è stata proprio questa serie d’interventi di papa Pacelli (assieme alla scomunica inflitta al PCI) a determinare la campagna di calunnie contro la sua persona come hitleriano e filofascista.
Anzi, sin dal 1917 quando si parlava solo e “semplicemente” di “focolare ebraico”, la Santa Sede e i cristiani viventi in Palestina avevano capito quale sarebbe stata la loro sorte, l’eliminazione indolore e incruenta dalla Palestina, quale oggi è costatata dalle statistiche succitate. La causa principale di tale eliminazione non era vista nel mondo arabo, neppure nell’islàm allora non fondamentalista, e neppure oggi si pensa da parte cristiana che il responsabile di tale situazione sia il movimento “integralista” Hamas. Se il “laico” Arafat non aveva mai discriminato i palestinesi di religione cristiana[2], tanto da essere ricevuto dal Papa in Vaticano nel 1982, «quando ancora nessun capo di Stato occidentale aveva accettato contatti diretti col capo dell’Olp»[3], la vittoria elettorale del movimento “confessionale” islamico Hamas (gennaio 2006) ha suscitato, tra i cristiani, inizialmente, delle perplessità, che però sono state dissipate proprio dai capi di Hamas i quali «hanno maneggiato con particolare riguardo la questione dei rapporti coi cristiani di Palestina»[4]. Inoltre in diverse circostanze candidati cristiani presentati da Hamas sono stati eletti coi voti musulmani, mentre monsignor Fu’ad Twal (coadiutore del patriarca latino di Gerusalemme Sabbah) ha riconosciuto che i cristiani hanno contribuito alla vittoria di Hamas alle elezioni politiche del gennaio 2006 (cfr. Famiglia Cristiana, n° 32/2007), il padre francescano Pierbattista Pizzaballa, custode di Terrasanta, ha sottoscritto un messaggio di piena disponibilità a collaborare con Hamas vincitrice delle elezioni politiche[5], non scorgendo in essa un pericolo per la sopravvivenza dei cristiani in Palestina.
Sempre secondo Valente, Hamas «mira a stabilire un governo civile e non uno religioso»[6].
Il fatto più importante, rilevato dal Valente, è che dopo l’elezione di Benedetto XVI «se nei primi tempi del nuovo pontificato, alcune posizioni del ‘ministro degli esteri’ vaticano Giovanni Lajolo sembravano risentire delle impostazioni ‘neocon’, dopo la guerra in Libano sembra tornare in auge la linea ‘realista’»[7], ossia non filo-americana e israeliana. Gianni Valente conclude: «In questo senso, è significativo che l’appello più duro lanciato di recente dal patriarca Sabbah (…) non contenga la denuncia del fondamentalismo islamico, bensì una dura presa di distanza dalle dottrine e dalle iniziative dei ‘cristiani sionisti’»[8]. Infatti nell’ottica neoconservatrice il destino dei cattolici in oriente e specialmente in Palestina sarebbe quello «della fuga e dell’oblio»[9], come è successo già in Irak e come avevano previsto Benedetto XV (1917) e Pio XII (1948-49). Occorre specificare che i “cristiani”-sionisti, di cristiano hanno solo il nome, non credendo alla divinità di Gesù né alla SS. Trinità, essi sono quindi giudaizzanti che si celano sotto le apparenze dei calvinisti radicali.
Il 6 luglio 2007, 10 ministri degli esteri di Stati membri dell’Unione Europea (la cosiddetta “Europa del sud”), tra cui Italia, Portogallo, Spagna, Grecia, Cipro, Malta, Irlanda, Svezia, Romania e Bulgaria, capeggiati dalla Francia, hanno scritto una lettera a Tony Blair, in qualità di inviato speciale del “Quartetto internazionale” per il medio oriente, in cui chiedono di negoziare la pace tra Palestina e Israele con tutti, Hamas compresa e non solo Fatah. Dopo aver costatato che la “road map” voluta soprattutto dagli Usa è fallita. Tale iniziativa è stata respinta da Israele, Usa, Germania e Belgio (“Europa del nord”). Mentre il “Consiglio UE” il 12 luglio 2007 ha adottato a larghissima maggioranza una risoluzione assai vicina alla lettera dei dieci ministri, in cui si prendeva atto che la politica di rigido rifiuto di ogni dialogo con Hamas, che pur aveva vinto (gennaio 2006) le elezioni politiche, ed aveva mostrato segnali di ammorbidimento, non aveva portato alcun risultato, anzi ha solo favorito una spaccatura tra palestinesi con il rischio di una guerra civile e di gettare Hamas nelle braccia di “al-Qà ‘ida”. Insomma occorre prendere atto che non si può avere una pace (fra Israele e Palestina) con i palestinesi divisi e in guerra tra loro[10].
Il professor Ra’fat Zikrì (studioso egiziano di questioni mediorientali) scrive che la rottura tra Hamas e Fatah è l’attuazione del vecchio sogno sionista di distruggere la Palestina, separandola e dividendola (dìvide et ìmpera), di modo da consegnare la Cisgiordania (sotto Fatah) alla Giordania e Gaza (sotto Hamas) all’Egitto, come era prima del 1967, quando Arafat capì che la Palestina doveva essere difesa dai palestinesi e non affidata alle cure interessate di Egitto, Giordania e Siria; soltanto così la Palestina riuscì ad attirare l’attenzione del mondo su di sé e non sui Paesi arabi limitrofi, questo è stato il grande merito di Arafat e la sua “morte” potrebbe significare la fine dello Stato di Palestina[11].
Il dottor Alessandro Pertosa, su “Alfa e Omega” arriva – grosso modo – alle stesse conclusioni. I cristiani di Palestina fuggono all’estero, perché «l’occupazione israeliana è diventata oramai insostenibile. Per i cristiani irakeni le cose non sembrano affatto andare meglio (…) negli ultimi tre anni oltre 100 mila cristiani sono stati costretti ad abbandonare la propria terra»[12]. Anzi «È come un Venerdì Santo senza fine. Ed Israele cosa fa? Alimenta l’odio. Sono ancora chiarissime le parole di mons. Twal: “È inutile negare che Israele cerchi di evitare una reale ripresa del processo di pace (…) Nessuno (…), ha il coraggio di fermare Israele che si auto concede in qualsiasi momento il semaforo verde di occupare la Palestina! Arriva sempre puntualmente la benedizione dell’America (…).Fin quando non sarà risolta la questione israelo-palestinese non vi sarà pace per il Medio Oriente”»[13].


NOTE
1 Limes, Gli arabi cristiani temono Israele più di Hamas, n° 5, 2007, p. 143.
I cattolici di rito latino sono circa 25 mila in Israele e 20 mila in Palestina; quelli di rito greco sono 50 mila in Israele e alcune migliaia in Palestina, quindi non si arriva neppure a 100 mila cattolici (tra greci e latini) in Terrasanta, su 5 milioni di musulmani e 6 milioni di israeliti. Gli scismatici greco-ortodossi sono 30 mila in Israele e 20 mila in Palestina.
2 Ibidem, p. 145.
3 Ibidem, p. 146.
4 Ivi.
5 Ibidem, p. 147.
6 Ivi.
7 Ibidem, p. 149.
8 Ibidem, p. 150.
9 Ivi.
10 G. Del Re, in «Limes», n° 5/2007, Mezza Europa strizza l’occhio ad Hamas, pp. 261-269.

dal sito www.jerusalem-holy-land.org