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Semi, guerre e carestie - introduzione

di Romolo Gobbi - 04/03/2008

Epigrafe
Sul suolo, prima comune a tutti come la luce del sole e l'aria, con cura l'agrimensore tracciò lunghi confini. E non soltanto si pretendeva che la terra, nella sua ricchezza, desse messi e alimenti, ma si discese nelle sue viscere, e ci si mise a scavare tesori, stimolo al male, che essa aveva nascosto vicino alle ombre dello Stige. Così il ferro pernicioso e l'oro più pernicioso del ferro furono portati alla luce: ed ecco, compare la guerra, che combatte con l'uno e con l'altro e squassa con mano insanguinata armi crepitanti.

Ovidio, Metamorfosi

L'origine della specie

Il 44% degli americani è convinto che l'uomo sia stato creato da Dio (P. Naso, God Bless America, Editori Riuniti, Roma, 2002, pag. 57), e che la donna sia stata tratta dalla costola di Adamo, mentre l'altra metà degli abitanti degli USA e della maggior parte del mondo occidentale è certa che l'uomo si sia sviluppato secondo le leggi dell'evoluzione della specie scoperte da Darwin. Secondo l'opinione prevalente all'inizio vi furono varie specie di ominidi scimmieschi e da questi si sviluppò infine la specie homo, che dapprima fu habilis, poi erectus, poi sapiens, e quindi sapiens-sapiens: noi. Le varie fasi di questa evoluzione sono razionalmente ordinate in base a un'immaginaria qualità di homo che prima cominciò a creare strumenti, poi si alzò in piedi, e quindi cominciò a pensare sempre più intensamente. Anche all'interno di ogni fase è stato individuato il filo razionale che tirava verso l'alto: l'homo si alzò perché nella savana doveva scoprire le prede da cacciare. Qualcuno ha insinuato che in questo momento forse homo cominciasse anche a parlare per lanciare segnali a quelli che cacciavano con lui, senza pensare che i segnali potevano essere intesi anche dalle prede, con esiti tutt'altro che positivi per la caccia. Quanto poi all'acquisizione di abilità nel costruire gli strumenti con cui produrre le punte di freccia o di lancia, è chiaro che quest'evoluzione era spinta dall'impulso razionale di raggiungere uno scopo con mezzi sempre più efficienti. La ragione di questa evoluzione va dunque fatta risalire all'esigenza elementare di homo di procurarsi il cibo per nutrire se stesso e la propria prole. Perché homo, a un certo punto, si sia messo a pensare non è chiaro; comunque, se non l'avesse fatto, nessuno si sarebbe messo in testa di descrivere questi fatti come una catena di avvenimenti ordinati al fine di arrivare a homo sapiens-sapiens.
Anche i darvinisti in fondo hanno in testa un Dio-Natura che, per creare l'uomo, ha voluto procedere per approssimazioni graduali, avendo però un programma da seguire, e molto tempo da perdere. Ma da alcuni anni la teoria di Darwin è stata giudicata insufficiente per spiegare l'evoluzione umana: "Fin dall'epoca di Darwin, ci volgiamo a un'unica singola forza, la Selezione Naturale, che potremmo scrivere con le lettere maiuscole come se fosse una nuova divinità. Per ogni variazione casuale agisce il setaccio della selezione: senza di essa, riteniamo non ci sarebbe null'altro all'infuori di un disordine incoerente... [ma]..si tratta di un'idea errata" (S. Kauffman, A casa nell'Universo, Editori Riuniti, Roma, 2001, pag.19).
La formulazione darviniana è tautologica: si seleziona il più adatto, e il più adatto è chi sopravvive alla selezione. Inoltre sul piano culturale la teoria di Darwin è speculare alle ideologie dominanti nella sua epoca, come quella che in economia teorizzava la libera concorrenza: sopravvivono solo i produttori che riescono a trarre un profitto dal mercato. Anche statisticamente è impossibile che l'evoluzione umana si sia verificata semplicemente in conseguenza di mutazioni casuali: "La probabilità che in una popolazione di quelle dimensioni si fissino mutazioni con valore adattativo è pertanto trascurabile. Dobbiamo anche considerare che l'ipotetica popolazione era estremamente dispersa, certamente non poteva costituire un'unità riproduttiva, e che l'evoluzione dell'uomo è in gran parte avvenuta in una regione molto limitata, con popolazioni estremamente più piccole. E' necessario quindi arrivare alla conclusione che, o deve esistere qualche altra fonte di variabilità, o che il modo con cui gli organismi si evolvono deve essere cambiato" (G. Morpurgo, Dalla cellula alle società complesse, Bollati Boringhieri, Torino, 1987, pag.53).
L'evoluzione umana resta comunque inspiegata, anche con l'aiuto delle scienze emergenti della complessità: "Le leggi della complessità generano spontaneamente buona parte dell'ordine del mondo naturale, ed è solo a questo punto che la selezione entra in gioco, plasmando e rifinendo ulteriormente il mondo" (S. Kauffman, op. cit., pag.20). Ma quando questo Autore (Kauffman) propone ulteriori spiegazioni, si deve attestare sul piano ipotetico: "Ma in quale modo le leggi dell'ordine emergente, se mai venissero scoperte, si concilierebbero con le mutazioni casuali, e le selezioni opportunistiche del darwinismo? Come può la vita essere contingente, imprevedibile, e accidentale pur obbedendo a leggi generali ?" (S. Kauffaman, op. cit, pag.35).
Eppure anche i più aggiornati manuali di antropologia continuano a divulgare una sorta di darvinismo razionale che contempla la scala ascendente dell'evoluzione dagli antenati scimmieschi all'homo habilis, all'erectus, al sapiens e infine al sapiens-sapiens, che avrebbe portato a compimento la propria emancipazione dal cibo inventando l'agricoltura e ponendo così le basi per l'evoluzione di ogni civiltà successiva.
L'idea dell'evoluzione, da ipotesi scientifica, è dunque diventata l'ideologia dell'inarrestabile progresso dell'uomo, ma: "L'evoluzione non è sinonimo di progresso. I cambiamenti evolutivi che si sono manifestati nel corso del tempo non possono essere interpretati secondo questa nozione [...]. Insomma, non stiamo affatto marciando verso qualche cosa di simile alla perfezione" (S.J. Gould, in J. Brockman, La terza cultura, Garzanti, Milano, 1995, pag.43).