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La sete di petrolio iracheno di Israele

di Gilles Munier - 05/03/2008




Israele è, con il Giappone, uno dei paesi maggiormente dipendenti dall’estero per i suoi approvvigionamenti di petrolio. I miliardi di barili che dormirebbero ai piedi del Monte Carmelo o sotto Gerico non sono, al momento, che fantasticherie di evangelici americani

La Bibbia, mappa del tesoro per evangelici

Golda Meir diceva scherzando che Mosè aveva sbagliato a lasciare l’Egitto per il solo posto del Vicino Oriente senza petrolio. Non è questa l’opinione degli evangelici americani i quali, dalla « grande caccia al tesoro » del Reverendo Spillman del 1981, credono che la Bibbia evochi un mare di nafta sotto Israele.

Questione di interpretazioni. Dalla benedizione data da Mosè morente ad Asher, figlio di Jacob: « Benedetto sia Asher. Che egli (.) immerga i suoi piedi nell’olio » -, essi deducono che vi sia del petrolio ai piedi del Monte Carmelo. Risultato : la regione detiene il record mondiale di trivellazioni !

Altra zona presa di mira: il Mar Morto. L'evangelico Harold Stephens afferma che Dio gli è apparso nel 1982, due ore dopo aver pregato con Menahem Begin, per rivelargli che sotto il Mar Morto corre una falda di petrolio. Recentemente è saltato fuori John Brown « a cui Dio ha ordinato di rendere economicamente indipendente il popolo israeliano ». Egli si dice convinto di scoprire un immenso campo petrolifero prima del ritorno del Messia. La Zion Oil and Gaz, la sua società israelo-texana, è quotata alla borsa di Chicago.

Il rincaro del prezzo del greggio stimola l’esaltazione degli evangelici americani e le ricerche petrolifere in Israele. Nel settembre 2007, Benyamin Ben Eliezer, ministro delle infrastrutture, ha concesso una licenza di sfruttamento a una dozzina di compagnie.

Il rifornimento del paese è un vero rompicapo, tanto più che il consumo pro-capite, in continuo aumento, supera i 7 litri al giorno (8° posto al mondo). Grazie all’intraprendenza di uomini come Zvi Alexander, il « Signor petrolio » israeliano, Israele ha potuto diversificare le sue fonti di approvvigionamento.


La famiglia Alexander: petrolio e 11 settembre

In « Israel's covert efforts to secure oil supplies », Zvi Alexander racconta 40 anni di lotte per rifornire di idrocarburi lo Stato ebraico. Già appartenente all’Haganah, la milizia sionista di Ben Gurion degli anni 40, egli ha trivellato ovunque nel mondo per l'Israël National Oil Company e oer società di facciata create per sfuggire al boicottaggio arabo. Ha fatto fortuna con il petrolio egiziano del Sinai, grazie a Jack Bitton, agente doppio egiziano-israeliano responsabile, si dice, dell’arresto di Eli Cohen, agente del Mossad impiccato a Damasco nel 1965.

Suo figlio « Kobi » Akexander, ex del servizio segreto militare, ha diretto la Comverse Technologie – società israelo-americana specializzata in programmi d’ascolto telefonico e in convertitori vocali - e la Odigo, leader israeliana delle messaggerie elettroniche nota dall’11 settembre 2001 per aver ricevuto, due ore prima dell’attacco al World Trade Center, un messaggio che annunciava l’imminenza di una catastrofe.

Oggi, lo Stato ebraico è rifornito dalla Russia, dalle ex repubbliche sovietiche, dalla Norvegia, dal Messico, dai paesi dell’Africa occidentale e, cosa meno nota, dall’Egitto. Ma, le consegne previste dal trattato israelo-egiziano del 1979 – che finora hanno coperto un terzo del fabbisogno di Israele, si rivelano insufficienti.

Un sogno israeliano

Israele sogna petrolio iracheno dal 1948, data di chiusura dell’oleodotto Kirkuk - Haïfa, per protesta contro la creazione di uno Stato ebreo in Palestina. Solo il Kuwait, allora un principato sotto tutela britannica, continuò fino al 1950 a consegnargli del greggio. L'Iran dello scià prese il testimone, clandestinamente, fino alla rivoluzione khomeynista. Gli Israeliani – laburisti o likudiani – avevano provato di tutto per ammorbidire Bagdad, comprese anche delle trattare con Saddam Hussein. Senza successo.


Saddam rifiuta le proposte israeliane

La chiusura dell’oleodotto Kirkuk-Banyas da parte della Siria nel 1982 diede a Yitzhak Shamir l’occasione per proporre all’Iraq di esportare il suo petrolio via Haïfa. Saddam Hussein rifiutò. Hanan Bar-On, sotto-direttore al ministero degli esteri israeliano, tornò alla carica con il progetto di Bechtel di costruire un oleodotto Kirkuk-Aqaba che un certo Donald Rumsfeld andò a « vendere » a Bagdad nel dicembre 1983 e nel marzo 1984. Nel 1985, Shimon Perès, Yitzhak Shamir e Yitzhak Rabin confermarono per iscritto a Robert MacFarlane, consigliere per la sicurezza del Presidente Reagan, che Israele non avrebbe bombardato l’oleodotto, « salvo provocazione ». Peres chiese inoltre del petrolio, scontato del 10%, versamento delle royalty al Partito laburista. Nuovo rifiuto del Presidente iracheno. Nel 1987, Moshe Shahal – ministro israeliano dell’Energia – fece nuovamente studiare il trasporto di petrolio iracheno attraverso il Golan, progetto fatto fallire dalla guerra del Golfo del 1991.

Con le guerre del Golfo, gli Israeliani passano all’azione. I Kurdi, che essi sostenevano dagli anni 50, sulla base di pretestuosi comuni interessi geostrategici e ancestrali, sono quasi indipendenti grazie alla zona di esclusione aerea imposta dalla coalizione. Il Mossad ne approfitta per rafforzare le sue posizioni nell’apparato di sicurezza kurdo e per partecipare, con Massud Barzani, al contrabbando di petrolio generato dall’embargo delle Nazioni Unite. Parallelamente, Ahmed Chalabi – capo del Consiglio nazionale iracheno – viene invitato a Tel Aviv dove promette di aprire delle relazioni diplomatiche con Israele e l’oleodotto Kirkuk-Haïfa.

All’inizio di aprile 2003, un commando delle forze speciali della coalizione s’impadronisce delle stazioni di pompaggio dell’oleodotto verso Haïfa – Operazione Sekhina (in ebraico, Presenza di Dio) – tra Haditha e la frontiera giordana e Benyamin Nétanyahu affermò che il petrolio iracheno colerà verso Israele, « è questione di tempo ». Nell’agosto 2003, Yosef Paritzky – ministro delle Infrastrutture – è convocato a Washington per studiare il ripristino dell’oleodotto. Speranza delusa, perché Chalabi è escluso dal potere. Con il crescere di forza della resistenza nella regione di Al-Anbar, il tracciato attuale sembra definitivamente abbandonato.


Un « Grande Kurdistan »


Perché l’oleodotto Kirkuk- Banyas, in Siria, sia una soluzione di ricambio, bisogna ancora eliminare i focolai di resistenza tra Kirkuk e la frontiera siriana, creare un « Grande Kurdistan » e rovesciare Bachar Al-Assad. Nel giugno 2005, gli Americani lanciano l’operazione «Matador » per domare i Turcomanni, ostili al predominio kurdo sulla loro terra e sul petrolio iracheno. Con il pretesto di cacciare Zarqaui da uno dei suoi baluardi, viene assediata Tel Afar. Come a Fallujah, i bombardamenti fanno migliaia di vittime civili. Gli abitanti fuggiti sono rimpiazzati da Kurdi.

La costituzione del 2005, illegittima per numerosi iracheni, permetterà alla Regione autonoma kurda di annettere, dopo referendum, la regione di Kirkuk (*), una parte di quelle di Ninive e di Diyala, e il Sinjar. Al momento, la resistenza ha fatto fallire il progetto. Ma, nell’agosto 2007, l'attentato terroristico del Sinjar con i suoi 500 morti – attribuito al Parastin, il servizio segreto kurdo - ha gettato gli Yazidi, che lì sono maggioritari, nelle braccia di Barzani – era il suo obiettivo - e attualmente si combatte a Mossul, con il pretesto di far guerra ad Al-Qaïda, « ripulendo » ulteriormente i « territori designati » dai loro antichi abitanti arabi, turcomanni e assiro-caldei.


Dal momento che la Siria resiste ai tentativi di destabilizzazione statunitensi e francesi, il progetto di bretella Homs - Haïfa sull’oleodotto esistente è stato abbandonato, lasciando ai suoi sostenitori solo la firma di un ipotetico trattato di pace tra Israele e la Siria con scambio del Golan contro il passaggio di un oleodotto verso Haifa. In qualche modo un rifacimento dell’accordo negoziato con Anuar Al-Sadate.


Un Israeliano chiamato Fuad

A Tel Aviv, Binyanin Ben-Eliezer, ministro delle Infrastrutture più pragmatico dei suoi predecessori, studia la fattibilità di un oleodotto che attraverserebbe il Sindar, costeggerebbe la Siria e l’Eufrate e penetrerebbe in Giordania; e, parallelamente, quella di un quadruplice condotto sottomarino per trasportare ad Ashkelon, tramite il porto turco di Ceyhan, petrolio e gas georgiani o azeri - addirittura kazaki – acqua, elettricità e cavi in fibre ottiche.


Israele, l'Iran e la Tipeline

Un condotto Eilat- Ashkelon (Trans-Israël Pipeline o Tipeline), finanziato da Edmond de Rothschild, era stato costruito con materiale rubato, durante la campagna del Sinai del 1956, nei cantieri di società belghe e italiane e modernizzato dopo un viaggio segreto di Golda Meir in Iran nel 1965 per incontrare lo Scià e la NIOC (National Iranian Oil Company). Il 23 maggio 1967, la chiusura della Tipeline provocata dal blocco del distretto di Tiran tagliò i rifornimenti di Israele in petrolio iraniano. Fu uno dei pretesti per ll’aggressione israeliana del 1967 contro l'Egitto. Dalla rivoluzione khomeynista, l'Iran reclama il rimborso dei suoi investimenti e degli ultimi tre mesi di consegne. Oggi, gli Israeliani si dicono disposti ad avviare con la Tipeline del petrolio proveniente dall’Asia centrale e dall’Iraq attraverso la Turchia, in direzione dell’India.

Nato à Bassora, il Generale Ben- Eliezer, detto Fuad, si presenta come un « amico degli Arabi », ma la sua reputazione di macellaio non ha nulla da invidiare a quella di Ariel Sharon. Non solo egli è coinvolto nel massacro di Tal Al-Zaatar effettuato nel 1976 dai Falangisti libanesi e in quello di Jenin del 2002, o nell’invasione del Libano del giugno 1982, ma è accusato di aver fatto liquidare 250 prigionieri durante la guerra del giugno 1967. Si attende ancora l’apertura di un’inchiesta a suo carico dal Tribunale penale internazionale, come richiesto al Cairo nel 2007 dal presidente della Commissione Esteri.

Dettaglio importante del progetto Ben Eliezer : secondo Haaretz (16/1/07), l'oleodotto sottomarino potrebbe essere connesso a quello proveniente dall’Iraq. Il kurdo Hoshyar Zebari – ministro iracheno degli Esteri -, con il quale egli si è congratulato di fronte alle telecamere al World Economic Forum del 2005 in Giordania, non chiede che di cooperare. Il successo di questa operazione dipende dalle pretese della Turchia. In caso di intesa, il boicottaggio petrolifero arabo perderebbe tutto il suo senso.




Fonte: Afrique-asie



(*) Hold-up à Baba Gurgur, di Gilles Munier (Afrique Asie, ottobre 2007)