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Termini della politica. Comunità, immunità

di Michele Spanò - 06/03/2008

Roberto Esposito, Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica

 

 

Communitas. Origine e destino della comunità (1998), Immunitas. Protezione e negazione della vita (2002), Bios. Biopolitica e filosofia (2004), Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale (2007): un catalogo che non ha nulla di accidentale, questo che ordina il lavoro di Roberto Esposito dalla seconda metà degli anni novanta a oggi. Una progressione, piuttosto, che disegna i confini precisi di un progetto teorico tra i più ricchi della filosofia continentale contemporanea, saldandone una a una le tappe, chiarendone gli snodi e lasciando intravedere gli orizzonti futuri. I ‘confini’ di questa traiettoria non sono evocati a caso, almeno se si è disposti a concedere una pur minimale intenzione ‘programmatica’ al titolo con cui Esposito ha voluto raccogliere l’insieme di saggi sparsi – apparsi su riviste o all’occasione di convegni e dibattiti – convogliati in questo volume che l’editore Mimesis manderà nelle librerie a Giugno nella giovane ed elegante collana ‘Volti’: Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica.

Una sorta di regesto, quindi, in cui, attraverso lavori che sono di approfondimento, di sintesi oppure di raffinamento teorico, i ‘termini’ del laboratorio concettuale di Esposito si espongono a sondaggi verticali e a diverse ibridazioni, comunque e sempre intavolando un dialogo fittissimo con i volumi che venivano via via pubblicati. Esposito offre così una rivisitazione compatta del suo itinerario, permettendo – in una operazione di totalizzazione retrospettiva che possiede però il respiro dell’apertura e della prospettiva – di valutare la coerenza dei passaggi: quanto è stato lasciato per via e quanto, subendo continui spostamenti in avanti, andava a occupare il fuoco dell’interesse teorico e, quindi, a impegnare lo sforzo analitico. L’effetto è quindi – e non potrebbe essere altrimenti – anche ologrammatico: si coglie, infatti, proprio come nei singoli volumi di Esposito così nel suo intero percorso, un’attitudine comune e costantemente riattivata. A un primo momento decostruttivo, che sottopone i concetti influenti del lessico filosofico-politico della modernità a una mise en abîme che, lavorandoli dall’interno, è capace di illuminarne le genealogie rimosse e i più impensati retaggi, segue un secondo passaggio – più rischioso e talora più fragile –, in cui si tratta di convertire – spesso secondo il modo del rovesciamento dialettico – i concetti decostruiti in concetti nuovi, in potenti macchine teoriche per l’apertura di senso, ben oltre le chiusure metafisiche che avevano sollecitato la prima “aggressione” decostruttiva e il conseguente smontaggio concettuale. Esposito è in questo senso convinto assertore dell’apoftegma deleuziano che vuole la filosofia definita dall’oneroso compito di inventare nuovi concetti.

I saggi si dispongono, non senza una certa naturalezza, in tre sezioni, ciascuna dominata da uno dei dispositivi concettuali resi operativi nei volumi maggiori di Esposito: la comunità, l’immunità, la biopolitica e l’impersonale. Il lungo saggio introduttivo di Timothy Campbell – docente di Italian Studies presso la Cornell University – si cura di riepilogare le tappe salienti del percorso di Esposito, assolvendo così non solo a un’opera meritoria di sintesi ma, anche e soprattutto, rendendo perspicui e talora radicalizzando i confronti e i debiti che, ora esplicitamente ora implicitamente, il lavoro di Esposito sollecita e contrae: Heidegger, Nancy, Bataille, Nietzsche, Butler, Haraway, Sloterdjik, Dworkin, Habermas.

È nella logica della proprietà che nei primi saggi raccolti nel volume – quelli in maggior risonanza con Communitas e perciò segnati da un evidente debito con il lavoro di Jean-Luc Nancy – Esposito riconosce l’attrito maggiore incontrato da un pensiero della comunità in grado di accedere al suo impensato: proprietà o sostanza che sia, la comunità è stata pensata – da comunitarismi, comunismi, etiche della comunicazione – al pari di un ‘che’ di addizionale che aggiungendosi e integrandosi a un soggetto, lo ridefinisce, proprio in grazia di tale appropriazione, come un soggetto trasformato, un ‘più’ soggetto.

Proprietà e comunità sembrano quindi irrevocabilmente destinati – anche nei più diversi incroci – a ritrovarsi stretti in un nodo solo. Esposito, attraverso un’inedita ricognizione etimologica, prova a sottrarre la comunità al destino di questa dialettica immobilizzante. Comunità da cum-munitas: nel cum – legame impossibile e altresì irrecusabile – ne va di un munus, dono particolarissimo, dono donato e debito contratto, a un tempo. Grazia e prodigalità descrivono un quadro in cui non v’è spazio alcuno per proprietà, appropriazione e padroneggiamento, destinati spesso a risolversi nell’inverso – e ben più ‘economico’– regime dell’immunitas.

Impossibile a questo punto che si diano condizioni di identificazione; non c’è, infatti, una cosa, una causa, una sostanza oppure un’essenza che abbia lo straordinario potere agglutinante di costituire soggetti. Di più, non ci sono più neanche soggetti, dal momento che nulla – se non ‘il nulla’ in quanto tale – li costituisce come tali. Mancanza, ferita, vuoto, taglio sono le immagini – in gran parte mutuate da Georges Bataille – che maggiormente sembrano prestarsi a fornire una fisionomia, per quanto solo incerta, presunta e indiziaria a questo soggetto radicalmente improprio, disappropriato, esposto. La comunità non può più presentare la sua faccia affermativa, venendosi piuttosto a configurare come quello scarto o taglio che incide i soggetti e li relaziona nella loro pura esteriorità o costitutiva improprietà.

È evidente che in questo dono dell’esposizione, in questo approssimarsi dei soggetti al proprio bordo, al proprio ‘nulla in comune’, dimora anche l’estremo pericolo: la morte. Se il dono è quello dell’esposizione, ossia della vita, è la comune finitezza a stringere il nodo e a dettare le misure del rapporto, ma, soprattutto, a istituire il pharmakon del dono stesso: l’immunizzazione, in altre parole. Essa infatti verrebbe a costituirsi come il dispositivo principe della filosofia politica, in grado di recuperare gli eccessi e le eccedenze di un dono intrattabile e di normalizzare soggetti che più non rispondono alle logiche disciplinari e di controllo. L’esenzione del debito è il prezzo che si paga nel passaggio dal comune all’individuo, laddove quest’ultimo si definisce proprio come il soggetto immune dalla relazione, e le garanzie, diciamo pure i diritti, di cui è titolare, sono esattamente ciò che lo svincola da quel più profondo vincolo che aveva la forma del dono con altri, del rapporto o della ferita che, esponendolo, ad altro lo consegnava. La filosofia politica, suggerisce Esposito, sembra essersi impegnata, a partire da Hobbes, nel tentativo di chiudere i conti con la comunità attraverso un sacrificio del cum, in cui la relazione è immolata sull’altare della sopravvivenza, in un rito scandito dalla logica implacabile che lega l’obbedienza alla protezione. La convivenza è barattata con la sopravvivenza e il sacrificio è contrabbandato come sicurezza. È attraverso questo movimento che individui irrelati sopravvivono alla relazione che hanno sacrificato: immuni dal comune.

Evidentemente la comunità ha continuato a inquietare il pensiero politico ed essa si è, puntualmente, ripresentata sulla scena. Il più delle volte, però, i difensori della comunità, ormai completamente stretti dal dispositivo immunitario, hanno finito per riproporre unicamente quella visione affermativa, piena e riempitiva di comunità che è soltanto specchio del sacrificio immunitario. Si tratta, quindi, di una risposta incapace di accettare quel nulla, quella cosa – evocata in un saggio importante che Esposito, cimentandosi in un confronto con le note pagine heideggeriane, consacra al rapporto tra comunità e nichilismo – che si rivela essere il cuore osceno del legame, e che costringe e piega anche pensatori grandissimi ad antropologizzare, teleologizzare e sostanzializzare variamente la comunità. Questa costrizione, del resto, ha il potere di mostrare come la condizione si presenti nelle forme di un’aporia: un pensiero conseguente della comunità, come si preserva, tutela e garantisce dalla fascinazione dal ‘niente’ che la costituisce senza capitolare, nuovamente, di fronte alle più pericolose seduzioni dell’immunizzazione?

L’inserzione del paradigma immunitario nel cuore stesso del dispositivo della communitas, radicalizzato sino a rendere le due figure perfettamente transitive, è anche la novità maggiore con cui Esposito si introduce nel dibattito sulla biopolitica. Muovendo dalle divergenti interpretazioni che – a partire da un riferimento, in entrambi i casi è più “ideale” che letterale, a Michel Foucault – della biopolitica sono venute da Giorgio Agamben e da Antonio Negri, Esposito si attesta su posizioni originali, il cui esito è condensato nella proposta – ancora in fase di elaborazione – di una «biopolitica affermativa». Alle tonalità tragiche di Agamben e a quelle dionisiache di Negri, alla destoricizzazione di un presunto e sempiterno rapporto di implicazione tra nuda vita e potere sovrano che domina le riflessione del primo attorno alla figura dell’homo sacer e alla surpoliticizzazione dell’antagonismo produttivo tra Impero e moltitudine, del secondo, Esposito oppone una biopolitica in costante tensione con la categoria di immunità e quindi capace di dare conto dell’evento biopolitico per eccellenza: il nazismo, la cui prestazione esemplare nelle pagine di Esposito – ma anche di Simona Forti – acquista i tratti di una vera e propria «tanatopolitica».

La pars costruens del progetto di Esposito si dispiega proprio in virtù di un ribaltamento dei dispositivi che hanno innervato la tanatopolitica nazista. Ora, è troppo arduo dare conto in questa sede dei passaggi che Esposito compie per costruire una nuova costellazione concettuale capace finalmente di rendere la biopolitica non già una politica ‘sulla’ vita bensì ‘della’ vita. Uno dei riferimenti principali di questo orizzonte teorico è il ‘divenire animale’ deleuziano. Seguendo questa traccia, infatti, Esposito approda alle sue più recenti elaborazioni intorno a una filosofia dell’impersonale.

Il residuo insieme più longevo e penetrante della genealogia biopolitica e tanatopolitica del pensiero occidentale è riconosciuto nella nozione di persona. Vero e proprio operatore concettuale capace di ordinare la vita a una doppia costituzione, animale e razionale, che, ora sovrapponendosi ora divaricandosi, sostiene e orienta i progetti filosofici e politici i più diversi. Perciò Esposito si adopera in un’affascinante decostruzione del dispositivo della persona, attraversando i campi delle scienza umane, biologiche e giuridiche e dedicandosi infine a un recupero di alcuni momenti marginali delle riflessioni di autori centrali del Novecento filosofico – Weil, Blanchot, Levinas, Foucault e Deleuze – provando così ad allestire un diverso canone che si sarebbe mostrato finalmente in grado di tematizzare l’impersonale.

L’esito delle riflessioni di Esposito è “in levare” – il suo volume chiudendosi, appunto, sulla soglia di ricerche, ad oggi, inconcluse – e non manca perciò di sollevare perplessità. La necessità di sbarazzarsi dell’eredità della persona sembra talora fare aggio su una più attenta ricognizione di una tradizione che ha costituito un baluardo di fronte a molte nefandezze della storia – e, su questo, si possono utilmente vedere i recenti contributi di Stefano Rodotà; del resto, l’ipotesi di una vita impersonale dominata da un’immanenza radicale e quindi capace di aprire la via a una biopolitica affermativa, rimane progetto affascinante ma ancora, per i suoi tratti essenziali, nebuloso.

In conclusione, verrebbe da dire che i limiti di questa proposta sono anche i motivi che spingono a proseguire la ricerca. E se il “cercatore” mostrerà la raffinatezza analitica e l’inventiva concettuale di cui continua a dar prova Roberto Esposito nel suo percorso intellettuale, non c’è che da aspettarlo alla prossima svolta.


Roberto Esposito, Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica, Mimesis, Milano 2008.

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