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Cime roventi

di redazionali - 07/03/2008

Il ghiacciao del Gigante
Sul massiccio del Monte Bianco, 8 gradi a 3.500 metri di quota nel mese di febbraio. E poi di colpo un picco al ribasso, fino a 23 sotto zero. Le prime informazioni fornite dalla nuova stazione meteorologica installata sul Ghiacciaio del Gigante dall'Università di Milano e dal Comitato Ev-K2-Cnr
Otto gradi a 3.500 metri di quota, nel mese di febbraio, sul massiccio del Monte Bianco. E poi di colpo un picco al ribasso, fino a 23 sottozero. Queste le prime, sconcertanti, informazioni fornite dalla nuova stazione meteorologica installata sul Ghiacciaio del Gigante dall’Università di Milano e dal Comitato Ev-K2-Cnr, nell’ambito di un progetto finanziato da Osram. Si tratta della più alta stazione di monitoraggio meteo-glaciale mai realizzata in Italia.

La stazione meteorologica automatica "Aws – Gigante – Osram" fa parte di un progetto di studio dei ghiacciai alpini, considerati universalmente uno degli indicatori più affidabili del clima e dei cambiamenti globali. Prodotta da Lsi Lastem, è stata collocata sulla superficie del Ghiacciaio Gigante, vicino alla Stazione di arrivo delle Funivie Monte Bianco. Dopo alcune settimane di test nelle difficili condizioni operative invernali, la stazione ha fornito i primi dati sul clima di questi mesi, che sono risultati eccezionalmente caldi soprattutto nelle ultime settimane.

«Il 23 febbraio abbiamo registrato una temperatura di 8 gradi e mezzo – spiega Guglielmina Diolaiuti, responsabile scientifica del progetto - È un dato sorprendente per il periodo invernale a 3.450 metri di quota, peraltro su un colle ventilato. Soprattutto per il fatto che non è un dato isolato: sia il giorno prima che i giorni successivi ci sono state temperature sopra lo zero, tra i 3 e gli 8 gradi. Dal primo marzo c’è stato invece un crollo delle temperature: abbiamo toccato i -22.5 gradi alle otto del mattino e i -22.8 la sera».

La stazione sul Monte Bianco ha diversi sensori per il monitoraggio meteo-climatico. «Oltre alla temperatura - spiega Gian Pietro Verza, responsabile tecnico delle stazioni di monitoraggio Ev K2 CNR - registra umidità relativa e pressione atmosferica. Ma è dotata anche di sensori che misurano lo spessore del manto nevoso, la radiazione solare in entrata ed in uscita e la radiazione ad infrarossi provenienti dall’atmosfera e dalla superficie del ghiacciaio».

«Quelli sulla radiazione sono altri dati significativi – racconta la Diolaiuti – Ci risulta che il ghiacciaio abbia assorbito, in questo periodo, il 31 per cento dell’energia solare in arrivo. È un valore tipico delle stagioni aride. La neve è vecchia, scura, riflette meno la luce e invece la assorbe favorendo la fusione. La situazione nel complesso, ha portato ad una certa perdita di manto nevoso che nell’ultima settimana è variato intensamente a causa di processi di compattazione e fusione favoriti dal saliscendi delle temperature».

«Sono cose – conclude la ricercatrice - che concorrono a deteriorare il manto nevoso e possono mettere in crisi il ghiacciaio nel periodo estivo: se il ghiacciaio "si mangia" buona parte dell’accumulo di neve in inverno, arriva in estate meno preparato al caldo e va incontro a perdite più intense». Insomma, appena installata, questa stazione ha già fornito dati sorprendenti e preziosi sul clima delle Alpi. E da oggi, questi dati della stazione sono anche “online”. È stata infatti attivata la posizione modem-gsm che permette lo scarico dei dati da remoto e quindi l’aggiornamento in tempo reale delle condizioni meteo in alta quota (3.450 metri).

Finora, in Italia, non c’erano informazioni sui bacini di accumulo dei ghiacciai ad una quota così alta. Ora, però, grazie alle registrazioni della stazione d el Gigante si potrà comprendere meglio l’intensità delle variazioni climatiche in atto, che ad alta quota risultano più chiare ed evidenti. Di conseguenza, si potranno elaborare scenari previsionali più precisi, sulla base dei quali adottare adeguate politiche gestionali e ambientali. «I dati della stazione del Gigante si stanno rivelando fondamentali anche per campi di ricerca al di fuori della glaciologia – racconta la Diolaiuti -. Siamo infatti già stati contattati dai ricercatori dell’università dell’Insubria che studiano la degradazione delle rocce e del permafrost in alta quota per attivare una collaborazione».