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Cento anni di solitudine. La festa della donna compie un secolo

di Gabriele Adinolfi - 08/03/2008

Nel medioevo c'era la festa dello scudiero, nell'antichità addirittura la festa dello schiavo. Che esista la festa della donna è avvilente proprio per le donne. Le quali, non diversamente dagli uomini, vivono male una società profondamente asessuata nelle sue valenze sottili; una società che è maschilista solo in quanto è matriarcale poiché il gallismo altro non è che una forma di esibizionismo tipicamente filiale. Il maschilismo non è maschilità e men che meno è virilità.

La società dei «tengo famiglia» è una società impostata sul modello arcaico della Grande Madre ed è società tipicamente anti-eroica, raggomitolata in un'aura di continuità fetale. Parliamo della società in cui gli Achille si vestono da donna e scoprono di essere uomini solo se Ulisse fa loro scoprire la spada.

Badate: la grande madre, o più propriamente la matrigna, non è la femmina, è solo un'espressione del femminile, che del resto calza a pennello su milioni di maschi. Questo costringe la femmina, non meno del maschio, in condizioni di disagio esistenziale e la mette in difficoltà per l'affermazione di se stessa. Finché non sia a sua volta madre è considerata dalle comari, e quindi dai galletti, o ancella o prostituta oppure discepola nella strada verso il matriarcato.

Che le donne, non si sa quanto consapevoli, si ribellino a questa cappa culturale è cosa buona e giusta. Lo stesso femminismo ha non pochi elementi positivi nelle sue pulsioni, ma il suo dramma sta nel fatto che subito tradisce le stesse origini del suo nome. Non cerca infatti di liberare la femmina (il che, d'altra parte, è impensabile senza l'operato anche solo immaginifico del vir) ma di riaffermare l'eguaglianza rispetto all'uomo. Poiché quest'ultimo, oggi, uomo lo è raramente, questo desiderio affonda due volte; innanzitutto perché cercare di mascolinizzarsi non è assolutamente liberatorio per la femmina e poi perché i modelli maschili perseguiti sono finti, inautentici.

Questo non deve in nessun caso tramutarsi in una resa, nell'accettazione della cultura matriarcale come qualcosa di tradizionale a cui uniformarsi, perché è esattamente dell'opposto che si tratta.

Di certo la strada per tornare all'autentico, ovvero a culture impostate sul normale, laddove, come in Etruria, a Roma, nel mondo celtico, in Germania, la donna era libera davvero ed era al contempo femmina, è davvero difficile.

Ma che le donne si consolino: nel labirinto del non senso esistenziale sono in buona compagnia, esso oggi imprigiona più o meno tutti.