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Ultime notizie dal mondo

di redazionale - 10/03/2008

 

a)     Kosovo. Reazioni e possibili scenari dopo la dichiarazione di dipendenza e l'assunzione a «protettorato euro-americano» del Kosovo. Un precedente comunque significativo, quello determinato dagli Stati Uniti, fuori dalla prassi del diritto internazionale moderno. Intanto qualche notizia per capire perché si tratta di un protettorato: UE / Kosovo (16) e poi Kosovo (17 e 22). Quindi attenzione alla Russia e alla sua possibile strategia di risposta (20, 22, 24 e 27). Sulle reazioni: Romania (18), Cipro ( 18), Cina (18), Gran Bretagna (16), USA (18, 23, 26), Italia (21, 22). Kosovo: contrarietà (20) e spaccature ONU (29). E chiaramente la Serbia (21, 22, 24, 29). Infine i possibili effetti nell'area di influenza russa: Caucaso (17) e Transnistria (17). Infine un'occhiata in Bosnia (16, 17, 23, 27), antecedente del Kosovo, che potrebbe tornare ad essere un teatro di conflitto.

 

b)     Palestina / Israele. Pronti ad «una Shoah più grande per i palestinesi»: dichiarazione shock del vice ministro della difesa israeliano (Israele 29). E intanto l'embargo di Tel Aviv miete morti anche tra i feriti palestinesi (Palestina 19 e 25) in un contesto di colonizzazione continua che prosegue anche attraverso l'edilizia (Palestina 22). Sul «fallimento politico e umanitario» di Israele a Gaza vedere Israele al 22. Sul Kosovo interessante leggere perché il quotidiano israeliano Haaretz ne chiede il riconoscimento (Israele 26) e vedere quel che si è detto in certe aree palestinesi al riguardo (Palestina 20). Infine su Talmud e omosessualità (Israele 20).

 

c)     Turchia / Kurdistan. Sull'incursione nel nord Iraq contro il PKK (23, 26, 27, 29).

 

Sparse ma significative:

 

  • Giappone / USA. Sull'ennesimo stupro di una donna, stavolta una ragazzina, ad opera di marine statunitensi. La rabbia delle donne dell'isola di Okinawa (22).
  • Bolivia. Introdotta la pensione sociale (16). Dopo il Kosovo, sarà il turno di Santa Cruz? (24). Qualche ulteriore info su come Washington sta operando nel paese per defenestrare Morales (26).
  • Irlanda del Nord. In memoria di Brendan Hughes (18). La crisi degli oltranzisti unionisti del DUP (27).
  • Francia. Parigi sempre più prona agli USA. I preparativi per il rientro a pieno titolo nella NATO (27).

 

Tra l’altro:

 

Italia / Russia (22 febbraio).

Italia / Afghanistan (22 febbraio).

Vaticano / Cuba (27 febbraio).

Polonia / USA (27 febbraio).

Sahara Occidentale (28 febbraio).

Ciad (25 febbraio).

Libano (26, 29 febbraio).

Iraq (19 febbraio).

Russia (28 febbraio).

Afghanistan (26, 28, 29 febbraio).

Nepal (26 febbraio).

USA / Russia / Serbia (22 febbraio).

Venezuela (23, 28 febbraio).

Ecuador (18 febbraio).

Perù (20 febbraio).

 

  • USA / Unione Europea. 15 febbraio. Identificazione biometrica made in USA presto anche in Europa. La schedatura di tratti somatici quali iride ed impronte digitali, proceduta oramai standard per i voli verso gli Stati Uniti, caratterizzerà presto ogni passaggio dagli aeroporti del Vecchio Continente. A prevederlo è una proposta della Commissione Europea, segnalata dal Washington Post di alcuni giorni fa. Il piano obbligherà i passeggeri da e verso la UE a vedersi tra l’altro scansionati e registrati impronte e tratti del volto, memorizzati in un database gestito a livello comunitario. Il sistema viene descritto dagli ufficiali europei come «l'unico modo per essere davvero sicuri di identificare le persone. Con i dati biometrici è molto più facile tracciare le persone e sapere chi è entrato e chi è uscito», afferma una fonte del Post rimasta anonima. Negli Stati Uniti il Dipartimento della Homeland Security è già in possesso di un database di 85 milioni di impronte digitali. La biometria va per la maggiore anche in Giappone, dove fare un breve viaggio significa finire per sempre negli archivi identificativi nipponici. Un fiume di informazioni e dati sensibili, codificati secondo il Washington Post attraverso standard comuni tesi a favorire l’interoperabilità e lo scambio tra i vari paesi. Rispetto alle misure in vigore negli USA, il piano UE aggiunge il tracciamento anche di chi lascia il continente, oltre a chi vi entra. Susan Gurley, direttore esecutivo di Association of Corporate Travel Executives, mette in evidenza che un database così esteso, come quello che sta nascendo negli USA e nel mondo, è particolarmente prono a rischi di abuso, che «un accesso non autorizzato a informazioni di questa natura potrebbe esporre i piani di viaggio dei dirigenti» e che «si tratta di un altro modo per sapere precisamente cosa stai facendo e dove stai andando». Simon Davies, direttore di Privacy International, denuncia il rischio di simili pratiche di schedatura indiscriminata e dalla qualità tecnologica opinabile, che «seguono alla cieca le follie statunitensi senza il minimo accenno all’accessibilità e all’affidabilità». La stessa Commissione Europea, se da un lato descrive come «necessaria» la creazione di un database biometrico iper-comprensivo, parimenti sottolinea la necessità di una maggiore protezione della riservatezza delle informazioni personali.

 

  • Bolivia. 15 febbraio. Washington chiude con delle scuse l'incidente con il governo di La Paz. Lo fa per bocca del suo ambasciatore nel paese, Goldberg. Nelle scorse settimane un giovane borsista statunitense aveva rivelato che un funzionario della sua ambasciata, Vincent Cooper, gli aveva chiesto di informarlo su generalità e spostamenti dei cittadini venezuelani e cubani presenti in Bolivia. Avrebbe dovuto agire come un agente segreto. Altri studenti avevano poi denunciato di aver ricevuto la stessa proposta. Alla richiesta di chiarimenti da parte del governo boliviano, la rappresentanza diplomatica di Washington prima aveva smentito, poi, con il crescere delle denunce, aveva minimizzato, quindi le scuse formali. Nell'ottobre scorso, lo stesso ambasciatore Goldberg era stato investito dalle polemiche per essere stato fotografato con narco-paramilitari colombiani (estrema destra).

 

  • Unione Europea / Kosovo. 16 febbraio. Da protettorato dell’ONU a protettorato dell’Unione Europea, sempre nell’ambito delle strategie geopolitiche di Washington. È questo il “Kosovo indipendente”. Tre i pilastri dell’interventismo europeo: l’International Civilian Office (Ico), la missione “Eulex” e l’European Commission’s Liaison Office. Oggi i 27 paesi dell’Unione Europea hanno dato via libera ad Eulex, con il compito di costituire le strutture statali necessarie ad imporre ordine e sicurezza. La missione impiegherà circa 2.000 persone (magistrati, giuristi, alto personale amministrativo, poliziotti, doganieri e finanzieri, cui si aggiungeranno circa 1000 persone reclutate localmente), con un mandato estendibile di «almeno 28 mesi» e un bilancio di 205 milioni di euro per i primi 16 mesi. Gli uomini saranno messi a disposizione da tutti i paesi UE, con la sola eccezione della piccolissima Malta, ma contributi arriveranno anche da paesi terzi: Turchia, Croazia, Svizzera, Norvegia e USA. Ad Eulex l’Italia fornirà 200 uomini. Tra due settimane si comincia con l’arrivo di una ventina di dirigenti, tra cui il magistrato italiano Alberto Perduca, responsabile dell’unità di 250 magistrati, che avrà il compito specifico di riformare il sistema giudiziario del Kosovo. Insieme ad Ico, Eulex recepirà le funzioni svolte dalla missione ONU Unmik e seguirà quanto previsto dal piano stilato dal rappresentante ONU Martti Ahtisaari, in precedenza respinto da Mosca e Belgrado, che accusa di “illegalità” la missione in quanto priva di un mandato diretto dell’ONU.

 

  • Unione Europea / Kosovo. 16 febbraio. «Il Kosovo post-status non sarà indipendente in nessun senso compiuto della parola». Con queste parole Gerald Knaus, direttore dell’European stability iniziative, commenta il varo della missione europea. “Eulex” sarà guidata dal generale francese in pensione Yves de Kermabon e dall’olandese Peter Feith, nominato Rappresentante speciale dell’UE in Kosovo. Come prevede il piano Ahtisaari, i due responsabili assumeranno pieni poteri dopo 120 giorni di transizione, che scadono a metà giugno. «Ci sarà un periodo di transizione di circa quattro mesi in cui l’ONU e la NATO avranno il controllo operativo», ha sottolineato proprio il Rappresentante speciale europeo. Feith, grazie anche alle funzioni di capo dell’Ufficio civile internazionale (ICO) –composto da circa 300 funzionari, per ¼ europei, da costituire nelle prossime settimane dai Paesi che riconosceranno la secessione di Pristina– sarà, sulla falsariga dell’“Alto rappresentante” in Bosnia, una sortà di “vicerè” con poteri di veto sulle istituzioni locali (financo la prerogativa di licenziare i politici locali) e abrogare leggi se non rispettano gli standard UE e il piano Ahtisaari. De Kermabon –in coordinamento con Feith– avrà il potere di imporre il suo volere alle autorità kosovare in materia di giustizia e polizia. La missione affiancherà le 16.000 truppe NATO già presenti sul posto e subentrerà da metà giugno all’amministrazione ONU (Unmik), che dal 1999 a oggi ha gestito un Kosovo disastrato economicamente, con un PIL che nel 2005 è sceso dello 0,2% e la disoccupazione è ad oltre il 50%.

 

  • Unione Europea / Kosovo. 16 febbraio. L’Unione Europea (UE) si ritroverà a “sorvegliare” il Kosovo «ad un costo straordinariamente alto». Lo sottolinea Gerald Knaus, direttore dell’European stability iniziative. Oltre ai 190 milioni l’anno per “Eulex”, cui bisogna aggiungere il pagamento degli stipendi del personale straniero a carico degli Stati membri, ci sono 380.000 euro per l’ufficio UE di Feith e 15 milioni l’anno per l’ICO. La Commissione Europea, da parte sua, ha promesso 330 milioni di euro per lo sviluppo economico nel 2007-2010: la più alta percentuale di aiuti pro capite mai stanziata da Bruxelles. E a giugno è prevista una “Conferenza dei donatori” organizzata da UE e Banca Mondiale il cui obiettivo è raccogliere 3 miliardi di euro. Una vera e propria manna rispetto ai 160 milioni ricevuti annualmente da Pristina nel 2005-2007.

 

  • Gran Bretagna / Kosovo. 16 febbraio. Londra è pronta a sostenere anche militarmente “l’indipendenza” del Kosovo. Il ministero degli Esteri ha fatto sapere che la posizione di Londra non è cambiata e che il piano Ahtisaari resta «la strada migliore da percorrere». «Siamo al lavoro con i nostri partner internazionali nell’Unione Europea e nelle Nazioni Unite per portare rapidamente a completamento il processo di indipendenza del Kosovo» ha detto un portavoce della diplomazia britannica. Sono circa 200 i soldati britannici schierati nel contingente di 15mila uomini della missione NATO “Kfor”. Altri 600 uomini del primo battaglione delle “Welsh Guards” sono pronti a partire in caso di necessità.

 

  • Bosnia. 16 febbraio. La presidenza bosniaca ha smarrito una delle copie originali degli Accordi di Dayton (1995). Lo ha rivelato alcuni giorni fa il presidente bosniaco Zeljko Komsic, informando i media che la copia originale «consegnata» alla Bosnia Erzegovina e contenuta nell’Archivio della Presidenza, con il quale è stata posta fine alla guerra bosniaca ed è stata riconosciuta la Bosnia Erzegovina come Stato, è andata persa. La sconcertante notizia giunge in un momento particolarmente critico, quale la discussione per la redazione di una nuova Costituzione che perfezioni la Bosnia-Erzegovina come Stato Federale. Si tratta di uno dei più importanti documenti costitutivi per la Bosnia Erzegovina, ratificato con la fine della guerra bosniaca da Alija Izetbegovic, presidente della Bosnia Erzegovina, da Franjo Tudjman, presidente della Croazia, e da Slobodan Milosevic, presidente della Repubblica Federale di Jugoslavia. In base a tale documento sono stati definiti gli aspetti legali e diplomatici che hanno poi portato alla nascita della Bosnia Erzegovina come Stato federale, quindi alla strutturazione del governo centrale (espresso da tre istituzioni: la presidenza tripartita, il governo ed il Parlamento) e alla divisione del potere tra Stato centrale e due entità autonome: la Federazione croato-musulmana e la Republika Srpska (RS, Repubblica serba di Bosnia). L’applicazione della parte militare dell’accordo è stata invece affidata alla NATO.

 

  • Bosnia. 16 febbraio. Sarajevo chiama Pristina: sulla scorta dell’esperienza bosniaca, anche per il Kosovo si profila l’istituzione di un “proconsole” per sorvegliarne l’“indipendenza”. Dal punto di vista del controllo politico l’elemento più significativo degli accordi di Dayton è infatti l’istituzione dell’ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR). L’OHR è l’agenzia internazionale cui spetta implementare gli accordi di Dayton e comunicare lo stato della situazione sul campo alle Agenzie e ai rappresentanti delle Nazioni Unite, dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della Federazione Russa. Essa dispone dal 1997 di considerevoli poteri (i cosiddetti “poteri di Bonn”, in quanto definiti in un negoziato tenutosi nella città tedesca): dal censurare o rimuovere funzionari e governanti eletti al redigere –e spesso imporre– le leggi. Dopo il 1997 l’Alto Rappresentante può infatti creare organi istituzionali nuovi, promulgare leggi, cassare insindacabilmente norme del parlamento Bosniaco (svuotato nei fatti di ogni potestà), escludere candidati dalle liste elettorali, rimuovere giudici, sindaci ed amministratori, ministri e funzionari governativi e financo i presidenti delle due entità autonome.

 

  • Bosnia. 16 febbraio. Nell’attuazione di tali compiti, l’Alto Rappresentante, può anche ricorrere all’azione del contingente militare internazionale. Tali poteri ampi e di fatto discrezionali hanno suscitato più di una controversia e l’accusa di essere strumento di lobby internazionali assolutamente estranee alla realtà bosniaca. Particolarmente criticato è stato l’operato dell’inglese Paddy Ashdown (maggio 2002 / Gennaio 2006). La rimozione da lui effettuata nel 2004 di più di 50 funzionari della Republika Spska venne successivamente impugnata dinanzi alla Corte europea di Strasburgo, la quale rigettò le accuse contro l’inglese. Milan Ninkovic, ex membro del Consiglio amministrativo del partito dello SDS, dichiarò che «qualora l’Alto Rappresentante commetta un errore, non esiste alcuna autorità che può richiamarlo o punirlo (…) E poi, a chi risponde l’Alto Rappresentante, a quale Tribunale, se ne esiste uno, possiamo rivolgerci?». L’austriaco Wolfgang Petrisch, terzo Alto commissario (in carica dall’agosto 1999 al maggio 2002), arrivò addirittura ad ammettere che la mole di poteri concessi a tale figura è assolutamente spropositata, ed andrebbe ridotta a causa della mancanza di controlli, di rendiconti finanziari e dell’insindacabilità delle decisioni. Nonostante da alcuni anni si parli di revisione o addirittura di chiusura dell’ufficio dell’Alto Rappresentante, non solo la figura del “proconsole” continua ad imperare a Sarajevo ma si avvia ad essere esportata nel nuovo “Kosovo indipendente”: nel cosiddetto “piano Ahtisaari”, i poteri conferiti all’Ufficio civile internazionale (ICO), che rappresenta anche l’Unione Europea, sarebbero della stessa natura dei succitati “poteri di Bonn”.

 

  • Bosnia. 16 febbraio. Sarajevo, un protettorato europeo gestito per conto di Washington. Dal maggio 2002, l’ufficio dell’Alto Rappresentante (OHR) ha esercitato anche la funzione di “Rappresentante Speciale” dell’Unione Europea (EUSR). A seguito del disimpegno delle truppe USA, responsabilità ed oneri di leadership militate sono passati all’Unione Europea. Nel 2003 l’UE aveva lanciato una missione di polizia, EUPM, succedendo in questa occasione alla medesima missione dell’ONU. Nel dicembre 2004 l’UE acquisisce la responsabilità militare della Bosnia con il passaggio di consegne tra la missione NATO “SFOR” e la missione PESD, EUFOR “Althea” (promossa dall’UE in virtù degli accordi “Berlin Plus” con la NATO del 1999), giuridicamente coperta anche da tre risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU. Tale missione ha di fatto rappresentato il primo coinvolgimento diretto della UE in un’operazione di “peacekeeping”. L’operato dell’Unione Europea sia nella veste di “Rappresentante speciale” che in quella di leadership militare si è incentrata sul varo di riforme legislative ed economiche di stampo liberista, volte a preparare il paese all’adesione all’UE, e sull’accorpamento delle strutture di difesa e di intelligence per favorire l’ingresso della Bosnia nella NATO (la riforma del settore difesa del 2005 ha rappresentato ad esempio un passo significativo verso l’instaurazione di una Partnership for peace con la NATO). In termini di oneri di uomini e mezzi, di primo piano il ruolo dell’Italia, che ha guidato la missione “Althea” per tutto il 2006 con il generale Chiarini, risultando il primo contribuente sia in termini di truppe sia finanziari (un costo di 240 milioni di euro) nel periodo 2004-2006.

 

  • Bolivia. 16 febbraio. Evo Morales introduce la pensione sociale. Il 1° febbraio è entrata in vigore in Bolivia la “Rendita dignità”, ovvero la “pensione” universale per i cittadini che abbiano superato i 60 anni. Questa misura è una delle promesse mantenute da Evo Morales. D'ora in poi, tutti i boliviani che abbiano superato i 60 anni e non abbiano nessuna rendita riceveranno 2400 bolivianos all'anno (200 ogni mese), mentre chi abbia una rendita riceverà 1800 bolivianos all’anno. Per distribuire la rendita si utilizzeranno le installazioni dell'esercito (immobili e mobili) così da evitare di far percorrere grosse distanze agli anziani per riscuotere la rendita. Il fondo che sarà utilizzato per pagare questo beneficio è composto per il 30 % da tutte le risorse provenienti dall'Imposta diretta sugli Idrocarburi (IDH), delle Prefetture, dal Fondo Indigeno e dal Tesoro Generale, oltre che dai dividendi provenienti dalle imprese pubbliche capitalizzate. Nella caserma di truppe speciali di Cochabamba, il giorno dell’inaugurazione del conferimento della “Rendita Dignità”, Morales ha dichiarato: «dopo tanti anni si realizza un atto di giustizia sociale verso la terza età, e non con denaro prestato, ma con le risorse dei nostri idrocarburi, quello che ci dà la Pachamama (la Madre Terra). Inizia una rivoluzione sociale per soddisfare una domanda storica del popolo». Il presidente boliviano ha poi sottolineato con enfasi il fatto che il lancio di politiche sociali del governo boliviano, come la pensione di anzianità e l’aiuto economico agli scolari che beneficia ogni anno più di un milione di studenti delle scuole primarie, sono ora un esempio per altri governi latinoamericani.

 

  • Gran Bretagna. 17 febbraio. Gli alimenti transgenici possono essere coltivati in luoghi segreti per evitare di essere localizzati da attivisti contrari alla loro produzione. Ne dà notizia, ieri, l'edizione del quotidiano britannico The Guardian. Il ministero dell'Ambiente, Alimentazione e Affari Rurali sta studiando una serie di opzioni per impedirne la distruzione, dopo aver ricevuto pressioni in tal senso da imprese biotecnologiche. Queste lamentano il costo sempre più caro, in Gran Bretagna, di queste coltivazioni per i costi addizionali di protezione dei campi. Secondo la legislazione, i dettagli completi di ogni coltivazione transgenica devono essere rivelati in anticipo sulle pagine web del governo.

 

  • Kosovo. 17 febbraio. Il parlamento kosovaro approva la dichiarazione di dipendenza dall’Unione Europea e dalla NATO. Alla presenza del presidente Fatmir Sejdiu, del premier Hashim Thaci e del presidente del Parlamento Jakup Krasniqi, Pristina si stacca anche formalmente da Belgrado, in violazione della risoluzione 1244 dell’ONU che sancisce l’inviolabilità del territorio della Serbia. Significativi alcuni estratti della dichiarazione approvata in un’assemblea straordinaria del Parlamento. Nel preambolo della dichiarazione si “riafferma il «desiderio ad integrarci completamente nella famiglia della democrazia euro-atlantica»; si considera il Kosovo «un caso speciale che deriva dalla dissoluzione non consensuale della Jugoslavia, e non è un precedente per qualsiasi altra situazione»; si “ringrazia” l’ONU per la sua amministrazione del Kosovo; si “conferma” che «le raccomandazioni dell’Inviato Speciale delle Nazioni Unite, Martti Ahtisaari, offrono al Kosovo una cornice onnicomprensiva per il suo futuro prossimo». Più precisamente, nella dichiarazione si accettano «totalmente gli obblighi per il Kosovo contenuti nel Piano Ahtisaari, e accogliamo il quadro giuridico che lui propone per dirigere il Kosovo nei prossimi anni». Ci si impegna infine ad incorporare i principi del Piano dentro la futura Costituzione del Kosovo.

 

  • Kosovo. 17 febbraio. Pristina dà dunque il benvenuto alla supervisione dell’Unione Europea, la cui missione Eulex prende il posto di quella dell’ONU, ribadisce l’accoglienza alla NATO e dichiara che obiettivi politici principali sono l’adesione all’Unione Europea e l’esecuzione delle «riforme richieste per l’integrazione europea ed euro-atlantica». Il testo «accoglie e dà il benvenuto ad una presenza internazionale civile per sorvegliare l’esecuzione del Piano Ahtisaari e alla missione Eulex diretta dall’Unione Europea. Contemporaneamente, invitiamo e diamo il benvenuto alla NATO a detenere un ruolo direttivo nella presenza militare internazionale e di rispettare le responsabilità che gli sono date dalla Risoluzione 1244 del Consiglio della Sicurezza dell’ONU (1999) e dal Piano Ahtisaari, fino a quando le Istituzioni del Kosovo non saranno in grado di accollarsi tali responsabilità. Noi collaboreremo totalmente con queste presenze in Kosovo». Senza sprezzo del ridicolo, il testo esprime «gratitudine alle Nazioni Unite per il lavoro svolto per sostenere la ripresa e la ricostruzione dopo la guerra, e la costruzione delle istituzioni della democrazia». Con l’ONU le autorità kosovare si impegnano a collaborare «fin quando essa continuerà il suo lavoro durante il periodo che segue la dichiarazione di indipendenza». Pristina accetta infine di avere i confini previsti nell’Annex VIII del Piano Ahtisaari ed assume «gli obblighi internazionali del Kosovo, compresi quelli raggiunti a nostro nome dalla Missione di Amministrazione Temporanea delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK), nonché gli obblighi dei trattati e della ex-Repubblica Socialista Federale della Jugoslavia, verso i quali ci impegniamo come parte ex-costitutiva (…). Noi collaboreremo totalmente con il Tribunale Penale Internazionale della ex-Jugoslavia».

 

  • Kosovo. 17 febbraio. Un protettorato formalmente “indipendente”: è questa l’essenza del “piano Ahtisaari”, per cui il Kosovo non avrà alcuna pretesa territoriale contro –o non cercherà alcuna unione con– Stati o parti di Stati: un indiretto riferimento al progetto di “grande Albania” che destabilizzerebbe ulteriormente i Balcani coinvolgendo paesi come Macedonia e Grecia. Tralasciando in questa sede una valutazione di merito delle norme relative ai rapporti con la comunità serba ed alla protezione del patrimonio religioso e culturale serbo, focalizziamo l’attenzione sul ruolo di “supervisione e monitoraggio” della “comunità internazionale” nel garantire l’implementazione del piano (ruolo che vede in primo piano l’Unione Europea) e sui suoi contenuti. Il capo dell’Ufficio civile internazionale (che è anche il Rappresentante speciale dell’Unione Europea) è chiamato a sovrintendere all’esecuzione del piano, con poteri che, come già riportato sopra, possono arrivare alla rimozione delle eventuali autorità kosovare contrarie, inadempienti o semplicemente di ostacolo all’esecuzione del piano ed all’operato della missione di politica europea di sicurezza e difesa, che avrà importanti funzioni in materia di giustizia, polizia, controllo delle frontiere e sistema penitenziario (i giudici stranieri che agiranno, assicura il piano, godranno di “totale indipendenza”). L’operato del capo dell’Ufficio civile internazionale dovrà comunque rispettare le competenze in capo alla NATO, referente principale per la formulazione di strategie e la pianificazione delle forze di sicurezza kosovare, destinate per il piano Ahtisaari ad essere integrate nelle strutture di sicurezza “euroatlantiche” ed a partecipare a missioni internazionali. Al contingente militare internazionale, sottoposto al controllo della NATO, è infine non solo garantita piena libertà di circolazione, d’ispezione e di disposizione dello spazio aereo, ma anche consentito il ricorso all’uso della forza senza richiesta di approvazioni o ingerenze.

 

  • Kosovo. 17 febbraio. Il “piano Ahtisaari” non si limita comunque a circoscrivere la “sovranità (molto, molto) limitata” del Kosovo. Esso prescrive pure i principi di base della futura Costituzione del Kosovo (da redigere ovviamente in coordinazione con il Rappresentante internazionale), primo tra tutti l’adozione di un’economia di “libero mercato” basata sulla competizione Kosovo shall have an open market economy with free competition»). Il piano indica persino struttura e poteri di Parlamento, governo, presidente, Corte Costituzionale, ordine giudiziario e commissione elettorale centrale. Vari articoli sono dedicati alla decentralizzazione amministrativa. Il piano Ahtisaari tratteggia minuziosamente le competenze ed i confini delle nuove municipalità, prescrivendo tra l’altro che l’“automonia” degli enti locali in Kosovo dovrà fondarsi sui principi della Carta europea delle autonomie locali, in particolare quello di sussidiarietà. Il piano Ahtisaari prevede già le leggi che dovranno essere approvate durante o dopo il periodo di transizione dall’amministrazione ONU a quella europea, e prescrive pure che il Kosovo dovrà assumersi una parte del debito estero della repubblica Serba, calcolato mediante un processo di negoziazione che coinvolgerà pure il Fondo Monetario Internazionale. Riguardo le imprese pubbliche, bisognerà trasformarle in società per azioni e privatizzarle, con l’istituzione di un organismo ad hoc che vedrà una “partecipazione internazionale”.

 

  • Bosnia. 17 febbraio. Cautela a Sarajevo dopo lo strappo di Pristina. Con una dichiarazione congiunta, i tre principali leader della Republika Srpska (RS, l’entità serba di Bosnia che assieme alla Federazione croato-musulmana costituisce la Repubblica di Bosnia ed Erzegovina), il premier Milorad Dodik, il presidente Rajko Kuzmanovic ed il presidente del Parlamento Igor Radojicic non hanno finora mostrato di volersi spingere al di fuori della cornice degli accordi firmati 13 anni or sono a Dayton (base aerea USA in Ohio). I leader però avvertono che «non permetteranno a nessuna istituzione della Bosnia-Erzegovina di riconoscere o di stabilire relazioni bilaterali con l’autoproclamatosi indipendente stato del Kosovo». Anche i rappresentanti bosniaco musulmano e croato dell’ufficio di presidenza bosniaco hanno espresso grande cautela.

 

  • Bosnia. 17 febbraio. Per ora le richieste di indipendenza all’interno della Repubblica serba di Bosnia vengono da canali non governativi, come l’influente ONG Spona, alcune associazioni di veterani e il Partito democratico serbo (SDS), formazione d’opposizione, che ha chiesto alle istituzioni della RS di «verificare la volontà dei cittadini tramite un referendum». Ma è forte a Sarajevo il timore che anche l’Alleanza dei social-democratici indipendenti del primo ministro Milorad Dodik possa rapidamente passare dalla parte dei secessionisti. Lo stesso Dodik, che aveva in passato più volte ipotizzato un referendum sulla secessione, ha ammesso «la difficoltà di spiegare alla gente perché il principio del Kosovo non possa essere applicato nel caso della Repubblica serba di Bosnia». Solo due mesi fa una gravissima crisi istituzionale rischiò di provocare la secessione dei serbi già prima di quella del Kosovo: il nuovo sistema di voto nel governo e nel Parlamento stabilito da Miroslav Lajcak (da luglio 2007 “Alto rappresentante”) aveva causato furiose proteste nella RS, che temeva di poter essere messa facilmente in minoranza da croati e musulmani. La crisi si è poi appianata ma lasciando strascichi non indifferenti.

 

  • Caucaso. 17 febbraio. Risentimento in Abkhazia ed Ossezia del sud dopo la dichiarazione unilaterale di secessione di Pristina. Nel gennaio 1992 e nel luglio 1992 Ossezia del Sud ed Abkhazia, regioni in passato colonizzate da Tbilisi, si erano con un referendum proclamate “indipendenti”dalla Georgia (l’Ossezia chiedendo l’annessione a Mosca), senza ottenere riconoscimento internazionale. Usciti vincitori dagli scontri con l’esercito georgiano grazie al sostegno di Mosca, i due territori hanno ottenuto una indipendenza de facto. In tempi più recenti, il 12 novembre 2006 si tenne in Ossezia del Sud un referendum, anch’esso non riconosciuto a livello internazionale, che, al pari di quello organizzato nel 1992, ha visto il 99% dei votanti favorevoli alla secessione dalla Georgia. Secondo USA e Stati europei la secessione di Pristina non costituisce un precedente che può essere applicato ovunque, ma nelle due regioni non sono d’accordo. «L’Ossezia del sud si rivolgerà alla CSI (Comunità degli stati indipendenti, ndr) e alle Nazioni Unite perché ne riconoscano l’indipendenza. Dal punto di vista del diritto internazionale, il nostro caso ha basi più solide del Kosovo», ha detto il leader separatista osseto Eduard Kokoity. Il presidente dell’Abkhazia, Sergei Bagapsh, ha detto che dopo la mossa kosovara, la regione è pronta a presentare un nuovo appello alle Nazioni Unite e alla Russia, aggiungendo che «tutto questo parlare che si fa dell’unicità del caso del Kosovo non è altro che una prova che si continua ad applicare la politica dei due pesi e delle due misure».

 

  • Caucaso. 17 febbraio. Proteste pure dal Nagorno-Karabakh, regione storicamente armena ma annessa, senza giustificazioni storico-politiche, nel 1919 all’Azerbaigian (per guadagnarsi un confine e una via d’accesso commerciale con la naturale alleata, la Turchia), con il decisivo sostegno della Gran Bretagna che in cambio ottenne l’accesso ai pozzi petroliferi di Baku. Nel maggio 1994, dopo tre anni di guerra (oltre 30mila morti e circa un milione di profughi) venne raggiunto un cessate il fuoco tra Armenia ed Azerbaigian, ma non una pace. Nonostante il Nagorno-Karabakh sia di fatto da 16 anni una repubblica indipendente, strettamente legata all’Armenia, il suo status non è riconosciuto dall’Azerbaigian, né dalla comunità internazionale e in particolare dagli USA, fortemente interessati al petrolio di Baku. Secondo il ministro degli Esteri del Nagorno-Karabakh, Georgy Petrosyan, l’indipendenza del Kosovo dimostra che una regione separatista può agire anche contro la volontà dello Stato dal quale vuole essere indipendente.

 

  • Transnistria. 17 febbraio. Anche in Transnistria, regione russofona di circa 550.000 abitanti situata tra la riva sinistra del fiume Nistru (Dnestr) ed il confine ucraino e staccatasi di fatto nel 1990 dalla Repubblica di Moldova, il 17 settembre 2006 si era svolta una consultazione referendaria che ha visto il 97,1% dei votanti dichiararsi a favore dell’“indipendenza” da Chisinau e per una successiva unione con la Russia. L’Unione Europea e gli USA dichiararono incostituzionale questo referendum e fecero appello a tutti i Paesi e le organizzazioni internazionali perché lo condannassero. La Transnistria e l’Ossezia del Sud hanno comunque reciprocamente aperto le rispettive rappresentanze diplomatiche ufficiali. Il 21 gennaio 2008 è diventata operativa a Tiraspol la rappresentanza diplomatica della Repubblica dell’Ossezia del Sud. Un’analoga rappresentanza diplomatica della Transnistria è stata aperta in Ossezia del Sud, nella capitale Tskhinvali. L’Ossezia del Sud firmò nel 1994 un patto di collaborazione con la Repubblica moldava di Transnistria e con il Karabach del Nord. Ancora prima era stato firmato un accordo tra Transnistria e Abkhazia. Le quattro repubbliche non riconosciute formalizzarono nel 2000 la loro cooperazione collettiva creando un Consiglio permanente dei ministri degli Esteri. Questa cooperazione venne informalmente denominata “NIS-2”. Diversi incontri di lavoro hanno avuto luogo a Mosca. Nel 2006 i presidenti di Abhazia, Serghej Bagaps, Transnistria, Igor Smirnov, e Ossezia del Sud, Eduard Kokoity, hanno mutuamente riconosciuto i tre Paesi come Stati indipendenti, aggiungendo che Mosca è la loro sola capitale.

 

  • Russia. 17 febbraio. Mosca, dal canto suo, anche se non ha riconosciuto le regioni separatiste dello spazio ex sovietico dichiarando di rispettare l’indipendenza e l’integrità territoriale della Moldavia e della Georgia, ne sostiene i leader, anche intraprendendo iniziative fortemente criticate. Durante le passate elezioni parlamentari russe, Mosca decise di aprire sezioni elettorali in Transnistria, a dispetto della categorica opposizione di Chisinau. Era una seria violazione della sovranità territoriale di uno Stato straniero. La situazione potrebbe ripetersi alle elezioni presidenziali per la Federazione russa, fissate per il 2 marzo 2008. Le autorità russe hanno dichiarato che apriranno sezioni elettorali nelle regioni separatiste di Transnistria, Ossezia del Sud e Abkhazia. 25 sezioni saranno aperte sul territorio della Moldavia, com’è accaduto per le elezioni della Duma del 2007.

 

  • India. 17 febbraio. Almeno tredici morti in un attacco combinato maoista. Dodici erano poliziotti. L'attacco di centinaia di guerriglieri maoisti ha avuto come obiettivi, nello Stato orientale indiano di Orissa, tre commissariati, un centro di addestramento di polizia, un deposito di armi e vari posti di controllo.

 

  • Irlanda del Nord. 18 febbraio. Muore Hughes, che guidò il primo sciopero della fame dei prigionieri dell'IRA nel 1980. L'ex comandante dell'IRA, Brendan Hughes, 59 anni, è morto sabato in ospedale. Ne dà notizia la famiglia. Hughes, che si unì all'IRA nel 1969, fu arrestato agli inizi degli anni Settanta con Gerry Adams e trasferito nel carcere di Long Kesh, conosciuto come Maze, alla periferia di Belfast. Poco dopo evase, ma fu nuovamente arrestato. Come «comandante ufficiale» dei prigionieri dell'IRA a Maze guidò lo sciopero della fame, deciso in quella fase, che durò 53 giorni. Bobby Sands prese il suo posto come «comandante ufficiale» nello stesso carcere e guidò un secondo sciopero della fame nel 1981, nel quale lui ed altri nove prigionieri politici repubblicani persero la vita. Hughes non si riprese più totalmente dalle conseguenze che gli aveva lasciato quello sciopero della fame. Due anni fa era stato sottoposto ad un'operazione chirurgica per salvargli la vista.

 

  • Romania / Kosovo. 18 febbraio. Bucarest non riconosce la dichiarazione d’indipendenza del Kosovo. «Il mio paese non può riconoscere l’indipendenza del Kosovo (…). Qual è il segnale che manderemmo agli altri Stati multietnici che si confrontano con problemi simili oppure con conflitti latenti?», ha dichiarato il presidente Traian Basescu definendo «illegale» la proclamazione di Pristina. Posizione condivisa all’interno del sistema politico romeno, dove i soli a ritenere che la Romania debba riconoscere il nuovo Stato sono i rappresentanti dell’Unione democratica dei magiari della Romania, mentre i membri del Consiglio nazionale Secuiesc (dell’etnia minoritaria ungherese szekely, presente in Transilvania) hanno dichiarato di aspirare ad ottenere l’autonomia attraverso una legge da votare in Parlamento. Proprio le tendenze separatiste in Transilvania, dove vivono 1,5 milioni di magiari, preoccupano Bucarest. C’è comunque chi prevede che dopo un po’ di tempo anche la Romania si conformerà al riconoscimento. Nel frattempo (nel Consiglio europeo del mese scorso) la Romania, oltre a ribadire che non riconoscerà l’indipendenza, ha chiesto –in segno di solidarietà con l’UE– di partecipare al mantenimento della pace nella provincia. E in questo senso Bucarest ha già deciso di dislocare 175 poliziotti e gendarmi romeni in Kosovo.

 

  • Cipro / Kosovo. 18 febbraio. Scontento a Nicosia. Il portavoce del governo, Vasilis Palmas, ha detto di considerare la proclamazione di Pristina «al di fuori della cornice dei principi della comunità e delle norme del diritto internazionale». Secondo le autorità greco-cipriote «questo tipo di riconoscimento rappresenta un precedente ed è destinato a causare problemi». Per contro i turco-ciprioti hanno salutato con favore la proclamazione affermando che «nessun popolo può essere costretto a vivere secondo le regole di un altro».

 

  • Cina / Kosovo. 18 febbraio. Preoccupazione a Pechino dopo la dichiarazione d’“indipendenza” del Kosovo. Per Liu Jianchao, portavoce del Ministero per gli Affari Esteri cinese, la mossa di Pristina avrà «un profondo impatto negativo» sulla stabilità dei Balcani, tanto da mettere in guardia i cittadini cinesi dall’intraprendere viaggi nell’area. Ma a Pechino si paventa soprattutto che la secessione unilaterale del Kosovo possa costituire un pericoloso precedente per le “questioni nazionali” all’interno delle proprie frontiere: innanzitutto i movimenti indipendentisti in Tibet e nello Xinjang, letteralmente “nuova frontiera”, nome dato durante la dinastia Qing, regione periferica del nord-ovest cinese abitata in maggioranza dalla popolazione turcofona di religione musulmana degli Uiguri (45% contro il 40% dei cinesi Han). Rimane poi sempre in caldo la questione Taiwan, e preoccupazioni destano pure Macao ed Hong Kong, rispettivamente ex colonie portoghese ed inglese ritornate alla fine degli anni Novanta alla sovranità cinese, e le regioni del sud est, abitate in prevalenza da musulmani. Il controllo delle regioni periferiche è un obiettivo centrale della geopolitica cinese. Metà delle battaglie storiche della Cina, che tra le altre hanno riguardato la conquista di regioni come Tibet, Xinjiang, Mongolia interna e Manciuria, sono state combattute per ampliare le “zone cuscinetto” a ridosso del territorio centrale cinese. Se le preoccupazioni di Pechino non modificheranno di certo il comportamento di Pristina ed il riconoscimento degli Stati europei, Washington deve comunque stare attenta: l’atto potrebbe produrre come effetto l’aumento della cooperazione tra Mosca e Pechino, nonostante le diversità strategiche su questioni come le riserve energetiche dell’Asia centrale.

 

  • USA / Kosovo. 18 febbraio. L’“indipendenza” sorvegliata del Kosovo è fra gli obiettivi «che ho sostenuto insieme al mio governo». Lo ha dichiarato George Bush da Arusha (Tanzania), aggiungendo che il riconoscimento da parte di Washington sarà guidato dal piano presentato dell’ex primo ministro finlandese e mediatore dell’ONU, Maarti Ahtisaari, in precedenza rifiutato da Belgrado e da Mosca. «Il piano Ahtisaari è il nostro progetto d’ora in poi», ha sottolineato Bush.

 

  • Ecuador. 18 febbraio. Quito conferma: uccisi, ai primi di febbraio, cinque indigeni della zona amazzonica che lottavano contro la deforestazione. Il ministro ecuadoriano per la Sicurezza, Gustavo Larrea, ha affermato all'emittente televisiva Ecuavisa di aver ricevuto informazioni precise sul massacro, anche se i cadaveri non sono stati ancora trovati. Nella sua pagina internet, la Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador) sostiene che si tratta di indios huaorani, «uomini, donne, anziani e bambini che sono stati assassinati brutalmente dalle imprese del legname colombiane ed ecuadoriane».

 

  • Palestina. 19 febbraio. A Gaza, autoambulanze ferme, ieri, per il blocco del combustibile disposto da Israele. Secondo il portavoce del ministero della Sanità palestinese, Jalid Radi, questa decisione di Israele si traduce nella «esecuzione dei pazienti palestinesi e delle persone ferite».

 

  • Iraq. 19 febbraio. Il movimento sciita di Moqtada al-Sadr rompe con il gruppo sciita antagonista dell'Assemblea Suprema per la Rivoluzione dell'Irak (Sciri). L'accordo dello scorso novembre, che poneva fine agli scontri tra i rispettivi miliziani, «è cancellato», ha dichiarato –dalla città santa di Najaf– Nasser al-Roubaie, portavoce del blocco sadrista nel Parlamento. All'origine dell'accordo ci fu il tentativo di conciliazione per le tensioni nella città di Diwaniyah tra le autorità locali, controllate dallo Shiri, e simpatizzanti del movimento di al-Sadr, arrestati a decine in retate dirette dai servizi di sicurezza iracheni e unità statunitensi dopo gli scontri di metà 2007. «Si sarebbe dovuto creare commissioni per dare soluzione ai problemi di sicurezza in tutte le province», ha detto al-Roubaie, però «non lo si è fatto e l'accordo non è più che una facciata. Non è stato attivato».

 

  • Kosovo. 20 febbraio. Domenica scorsa il Kosovo si è separato anche formalmente dalla Serbia che, veemenza verbale a parte, non ha imposto alcun blocco economico o intrapreso azioni militari contro Pristina. La dichiarazione di Pristina è importante per due ragioni. Innanzitutto perché costituisce un precedente contro l’inviolabilità delle frontiere statali rivendicabile da movimenti separatisti o indipendentisti di varia natura in Europa e nel mondo. Inoltre costituisce un atto su cui si misurerà la forza geopolitica di reazione (la cosiddetta “credibilità”) della Russia. Sia ben chiaro comunque che, per Mosca, la posta in gioco non è l’inviolabilità della sovranità serba. Dopo l’aggressione NATO alla Jugoslavia del 1999, il Kosovo, seppur formalmente provincia serba, era di fatto già divenuto un protettorato USA gestito dall’ONU sul piano politico e dalla NATO su quello militare (missione KFOR). Anche allora, con un processo che si è rivisto per l’Iraq, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è intervenuto per legittimare a posteriori aggressioni ed occupazioni compiute contro i principi del proprio stesso statuto. Con la connivenza de facto di Mosca.

 

  • Kosovo. 20 febbraio. Che l’atto di Pristina, come riporta la stessa dichiarazione, non costituisca un precedente bensì un caso particolare, è una tesi respinta da Stati come Spagna, Romania, Slovacchia, Cipro, Russia e Cina. Ognuno di questi Stati contiene al proprio interno aree dominate da minoranze nazionali (quindi non minoritarie nel proprio territorio) le cui rivendicazioni spaziano dall’autonomia all’indipendenza, e che legittimamente vedono nella separazione del Kosovo dalla Serbia un significativo precedente. La Spagna è alle prese in particolare con baschi e catalani, Romania e Slovacchia sono preoccupati per le aree abitate in prevalenza da ungheresi, Cipro non vorrebbe che la parte turca, già sotto un altro governo, dichiarasse l’indipendenza, la Russia è sempre inquieta per la questione cecena e per il Caucaso, la Cina invece per lo Xinjiang e Taiwan. In ogni caso la dichiarazione di Pristina è in Europa un colpo portato ai principi della tutela delle frontiere statali da influenze esterne e della necessità di accordi reciproci per la ridefinizione dei confini, principi ribaditi dopo la seconda guerra mondiale, in particolare a Yalta nel 1945 ed ad Helsinki nel 1973. Accordi per cui, ad esempio, Repubblica Ceca e Slovacchia si sono potuti separare di comune accordo ma che vietano ad esempio alla Germania di richiedere indietro la Slesia alla Polonia.

 

  • Israele. 20 febbraio. «Il Talmud indica una serie di cause dei terremoti ed una di queste è proprio l'omosessualità». A dirlo è un deputato del partito ebreo Shas, Shlomo Benizri, componente del partito ultraortodosso che fa parte della coalizione di governo, nel corso dei lavori di una commissione del parlamento sulle misure per fronteggiare il rischio di un nuovo sisma.

 

  • Palestina. 20 febbraio. Palestina come il Kosovo. «Se le cose non vanno verso un blocco dell'attività di colonizzazione e di negoziati con Israele, allora dovremo annunciare la nostra indipendenza», ha detto Yasser Abed Rabbo, consigliere del presidente Abu Mazen. Preoccupazione da Israele: «siamo contro le decisioni unilaterali», ha detto il portavoce del Ministero degli esteri, Arye Mekel. Immediata la smentita, imbarazzata, del presidente palestinese Abbas e di altri suoi importanti luogotenenti, Ahmed Qureia e Saeb Erekat. Hanno assicurato che non faranno mai una cosa del genere e che sono fedeli ai «veri negoziati» (che vanno avanti da cinquant'anni e che –come da loro stessa ammissione– non hanno portato alcun progresso). Leader, alla mercè degli Stati Uniti, che non morderebbero mai la mano che dà loro da mangiare. I leader albanesi in Kosovo hanno agito soltanto quanto Washington ha detto loro di farlo, e Abbas e i suoi compari solo in quel caso faranno lo stesso.

 

  • Russia. 20 febbraio. Quali le strategie di Putin dopo la dichiarazione di dipendenza del Kosovo e la sua proclamazione quale “protettorato euro-americano”? L’argomento è oggetto di un’interessante analisi di George Friedman di Stratfor, curioso di vedere i risultati dell’imminente vertice “informale” del CSI (Comunità degli Stati indipendenti, ex-URSS), annunciato da Mosca l’11 febbraio quando apparve chiaro che Pristina avrebbe proclamato una sedicente “indipendenza”. L’analista sottolinea innanzitutto cosa rappresenta per Mosca il riconoscimento del Kosovo, evidenziando un fattore fondamentale nelle relazioni geopolitiche a volte trascurato in analisi anche valide ma esclusivamente incentrate sulla valutazione degli interessi materiali. Friedman afferma che il riconoscimento del Kosovo rappresenta una «sfida significativa» alla «credibilità» strategica della Russia. È questo il motivo per cui Mosca ha respinto la secessione kosovara con ogni mezzo diplomatico e legale. La Russia vuole essere vista come una grande potenza e Stato egemone nell’area dell'ex URSS, nei cui confronti (vedi Ucraina e Georgia) deve dimostrare di essere capace di contrastare le ambizioni USA. La Serbia è un alleato di Mosca, quindi uno sgarbo portato a Belgrado senza il consenso di Mosca (perché il Kosovo nel 1999 divenne di fatto un protettorato USA con l’assenso russo dato alla risoluzione ONU 1244 che a posteriori legittimò l’aggressione NATO) è uno smacco alla “credibilità” russa. La posta in gioco per Mosca non è il Kosovo in sé: già il presidente della Bielorussia, «Aleksander Lukashenko, che è più anti-occidentale di Putin e molto critico dello stesso Putin, ha dichiarato che è troppo tardi per dire la propria sul Kosovo; in altre parole, che il momento di impedire la secessione del Kosovo è passato nel ‘99, implicando che i tentativi di Putin di fermarla sono inefficaci perché la causa è persa». Allo stesso tempo, secondo Friedman, se la Russia non reagisce, «la sua reputazione crescente come grande potenza sarà gravemente danneggiata nell’area che le interessa di più: gli ex Stati sovietici (…). Questo non è qualcosa che Putin possa tollerare». Friedman rileva che «per ragioni sia di sicurezza nazionale sia di economia, essere l’egemone nell’ex-URSS è cruciale per la strategia di Mosca e la credibilità personale di Putin (…). Egli deve reagire. Per questo Putin ha indetto il vertice del CSI (Comunità degli Stati indipendenti, ex-URSS). Lì cercherà di avere i suoi poco fermi alleati al suo fianco per qualche risposta da dare all’indipendenza del Kosovo sotto protettorato euro-americano».

 

  • Russia. 20 febbraio. Quali dunque le prossime mosse di Mosca? Per Friedman sono tre le strategie principali che Mosca può dispiegare: 1) «Creare una coalizione dei paesi del CSI per aiutare la Serbia; un’opzione complessa» che sia Serbia che gli altri Paesi del CSI non sarebbero interessati a portare avanti. 2) Soffiare sul fuoco di separatismi ed indipendentismi. Putin potrebbe «sostenere la piccola repubblica serba secessionista in Bosnia, gettando la grana nel campo europeo» oppure annunciare l’intenzione «di annettersi le piccole regioni separatiste filo-russe ai suoi confini», vale a dire Ossezia del Sud e Abkhazia in Georgia ma «forse persino l’Ucraina orientale e la Crimea», quest’ultima abitata prevalentemente da russi. Friedman afferma che «l’annessione è preferita al riconoscimento di indipendenze», per non fornire armi alle proprie rivendicazioni indipendentiste interne tipo Cecenia. «La Russia può sostenere che l’indipendenza del Kosovo apre la porta anche alla Russia di spostare i suoi confini». Ma Friedman considera la terza opzione quella più allarmante: «creare problemi all’Occidente su altri scacchieri». A parte la questione della dipendenza europea dal gas russo, l’analista USA ritiene che Putin potrebbe cercare di creare problemi agli USA su altri scacchieri. «Al vertice partecipa come osservatore anche una delegazione dell’Iran. A parte un sostegno più deciso per l’Iran, che complicherebbe le cose a Washington in Iraq, c’è la questione dell’Azerbaigian, Stato stretto tra Russia e Iran. Oppure i russi possono accentuare la pressione sugli Stati baltici, che hanno riconosciuto il Kosovo e la cui adesione alla NATO è un pugno nell’occhio della Russia. I sovietici erano maestri nel reagire non dove erano deboli loro, ma era debole l’Occidente». La conclusione di Friedman: «la probabilità più improbabile (anche se possibile, naturalmente) è che Putin possa semplicemente sorvolare sul problema Kosovo. Chiaramente, sapeva che questo momento sarebbe arrivato. Ha continuato ad opporsi ad alta voce prima e dopo. Più parla e meno fa, più appare debole. È una cosa che lui personalmente non può permettersi, e nemmeno la Russia. Egli ha avuto molte opportunità di ridurre le sue perdite prima che fosse dichiarata l’indipendenza del Kosovo. Non lo ha fatto. Le possibilità sono due: o ha sbagliato di molto le valutazioni, oppure ha qualcosa in mente. Ciò che sappiamo di Putin dice che è la seconda possibilità ad essere più probabile».

 

  • Perù. 20 febbraio. Repressione nel sangue e stato d'assedio per le proteste contadine. Cinque morti, decine di feriti e centinaia di arrestati, finora, negli incidenti. Dall'altroieri lo stato d'assedio è stato proclamato in otto province, con sospensione delle garanzie costituzionali e mano libera all'esercito. Su disposizione del primo ministro Jorge del Castillo, ai dimostranti che operano blocchi stradali pene fino a otto anni di prigione. È questa la risposta del presidente Alan García a fronte delle proteste dei contadini, che lamentano forti indebitamenti, chiedono provvedimenti di sostegno al settore e si oppongono al Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, che permetterà il libero ingresso nel paese dei prodotti agricoli USA (concorrenziali perché ampiamente sovvenzionati in patria).

 

  • Italia / Kosovo. 21 febbraio. L’Italia è il quattordicesimo Stato ad aver riconosciuto il Kosovo. Primo Stato nella lista, il Costarica. Quindi Afghanistan, USA, Francia, Albania, Turchia, Gran Bretagna. Il 19 è stata la volta di Australia, Senegal, Germania. Il 20 è venuto il riconoscimento di Lettonia e Malesia. Atteso per oggi il riconoscimento di Estonia, Danimarca e Lussemburgo.

 

  • Kosovo. 21 febbraio. Al momento sono 21 gli Stati che, per motivi interni o di alleanze geopolitiche, hanno annunciato che non riconosceranno Pristina. L’elenco: Argentina, Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Bolivia, Bosnia, Cina, Cipro, Georgia, Kazakistan, Kirghizistan, Moldavia, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Spagna, Sri Lanka, Tagikistan,Venezuela e Vietnam.

 

  • Serbia / Kosovo. 21 febbraio. Uno Stato-fantoccio nelle mani di Washington. È la definizione del Kosovo data dall’ambasciatrice serba in Italia Sanda Raskovic-Ivic, intervistata dal quotidiano filo-russo (destra radicale) Rinascita. «Il Kosovo è una piccola regione che dipende dalla Serbia per quanto riguarda cibo, acqua ed elettricità. L’attuale Stato fantoccio è legato però agli Stati Uniti che hanno scritto tutte le sue leggi. Gli USA hanno redatto la dichiarazione di indipendenza e adesso scriveranno anche la Costituzione. Washington fa di tutto per raggiungere i suoi obiettivi. E questa è una cosa molto triste perché quelli che erano i criminali di guerra, i ricercati, i terroristi, i contrabbandieri di sigarette sono diventati i più importanti uomini politici del Kosovo». L’ambasciatrice sottolinea pure il fallimento dell’Unmik nell’ottemperare i doveri fissati dalla risoluzione ONU 1244. «Dopo l’espulsione di 250.000 serbi soltanto 1226 sono tornati in Kosovo, mentre 256 chiese sono state distrutte. A tutto questo bisogna aggiungere la terribile pulizia etnica compiuta a Pristina, una città che allora comprendeva 250.000 abitanti, di cui 41.000 serbi. Oggi invece i serbi rimasti sono soltanto 87 sugli attuali 600.000 abitanti. In sostanza, la presenza degli albanesi si è quasi triplicata mentre i serbi non esistono qua