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Autoconsapevolezza e politica

di Toshan Ivo Quartiroli - 10/03/2008

 

De Biase in un suo recente articolo si chiede cosa abbiamo in comune e che cosa sentiamo di avere in comune, riferendosi alle persone connesse in Rete che possono influire sull’agenda setting, cioè sulle priorità dei temi di discussione da parte dei media.

E’ una domanda a cui mi piace provare a rispondere. Come afferma De Biase, per iniziare, siamo tutti italiani. Aggiungo, abbiamo forse una mentalità ampia, internazionale, non limitata ai provincialismi dell’italietta. Questo ci fa vedere come potrebbero andare le cose diversamente per il nostro paese se le risorse migliori dell’Italia verrebbero valorizzate invece che penalizzate.

Abbiamo credo in comune il desiderio di trasmettere conoscenze, e una certa generosità nel fare questo. Scrivere nella Rete richiede tempo, risorse, denaro. A volte si scrive quasi solo per se stessi e altre volte arrivano solo insulti. Però si continua.

Ci accomuna forse anche la ricerca del vero. Questa si può esprimere nella forma della scienza, della politica, della filosofia o della ricerca spirituale. In questa ultima si potranno riconoscere molti lettori di Innernet. A volte la ricerca avviene su diversi piani contemporaneamente, una non esclude l’altra. In generale, percepiamo in modo chiaro la grande distanza tra ciò che viene raccontato dai media tradizionali, in particolare dalla televisione e dai partiti, e una conoscenza che arriva da fonti di prima mano o da analisi meno mediatiche della realtà.

Quello che mi auguro abbiamo in comune è il non dare troppa importanza alle specificità di ognuno e il non creare delle contrapposizioni ideologiche, tentazioni fin troppo facili in Rete. Diversamente, non ne usciamo più e rimarremo seppelliti sotto ai distinguo e agli scontri. La sfida della Rete, a mio parere, è invece quella di andare oltre le identificazioni con le diverse opinioni. L’uso della Rete come medium, portato al suo estremo, ci suggerisce di andare al di là delle differenze di opinione, analogamente alla rotazione di tutti i colori che produce il bianco.

Ma si può andare anche più in là: dopo aver smesso di contrapporsi alle identificazioni mentali altrui, si potrebbero mettere in discussione anche le nostre stesse identificazioni, le nostre motivazioni e le nostre convinzioni, investigando al nostro interno ciò che ci muove, per togliere ciò che è vecchio e meccanico al nostro interno. Lo stesso desiderio di voler influenzare l’agenda politica del paese tramite le nostre parole può essere un’occasione per interessanti analisi.

Se mi chiedo qual è la mia motivazione nel voler essere parte dell’agenda del paese, mi giungono delle domande su cui svolgere una interessante indagine interiore. Ho un desiderio di protagonismo? Credo che la mia agenda sia migliore di quella di altri? Forse mi sento incompreso o escluso? Queste sensazioni facevano parte della mia storia famigliare, scolastica o lavorativa e si ripresentano ora? Quanto la mia identità si basa su ciò che dico/scrivo e sul fatto di avere un feedback dagli altri? Mi è mancato un feedback alle mie parole? La mia autostima si basa sulle mie qualità intellettuali? Mi sono dovuto isolare per coltivare i miei interessi? Il blog è il mio modo per esprimermi e per trovare persone che mi ascoltano? Sono invidioso del potere che hanno i politici e i giornalisti? Se avessi il potere di influenzare l’agenda lo userei in modo saggio oppure mi lo userei per crearmi dei privilegi a mia volta, come abbiamo già visto in troppe rivoluzioni e cambi al potere? Oppure ho paura di avere tale potere? Cosa sento quando mi considero escluso o viceversa quando mi considero connesso ed ascoltato?

Se invece le mie motivazione sono al di là dell’ego e delle mie ferite personali, il mio desiderio di contribuire all’agenda del paese cosa può portare per l’evoluzione della società? Avrò la fermezza e la costanza per far fronte agli attacchi e alle incomprensioni che giungeranno? E se inciderò veramente, poi farò come quei sessantottini che si sono fatti sedurre dal potere?

Se non mi pongo queste domande non potrò che agire in modo meccanico, basandomi sui miei condizionamenti di vita che hanno dato forma alle “mie” convinzioni e credenze, che credo essere mie. Questo non contribuirà alla crescita della mia consapevolezza e saggezza, ma solamente all’aumento della mia conoscenza, rendendomi un servomeccanismo della Rete. Se alterno l’attenzione dallo schermo a me stesso posso interagire con ciò che ho di fronte allo schermo facendolo passare da un livello più reale e profondo.

Altra cosa che spero ci accomuni è un’attenzione che va al di là del quotidiano e dell’immediato, nonostante la natura stessa dei blog sia architettata in modo da privilegiare l’ultimissima novità e Internet stesso porta quasi strutturalmente ad un’attenzione frammentata. Gli aggregatori dovrebbero a mio parere andare nella direzione di dare una presenza temporale meno effimera agli articoli dei blogger, rappresentando una base che non si volatilizza dopo pochi giorni.

Personalmente preferisco lasciare sedimentare i pensieri per qualche tempo prima di scrivere un articolo, il mio metabolismo conoscitivo funziona meglio se le informazioni vengono marinate un po’ nel vuoto. Niente di sbagliato nel tempismo della notizia immediata, è stimolante ed accattivante, ma di solito preferisco vedere le cose in una prospettiva temporale più ampia.

Mi trovo d’accordo con De Biase quando dice che “sbaglierebbe chiunque volesse aggregare tutti. Ma tutti hanno bisogno di tutti per incidere.” Gli italiani si lasciano aggregare malvolentieri e questo non è neanche un male. Politicamente i partiti più che aggregarsi si alleano, ma questo avviene per interessi reciproci, non per vicinanza di sentire.

Credo anch’io che l’aggregazione potrà avvenire su basi minime comuni e connessioni morbide, lasciando il più ampio spazio alle individualità. Forse l’approccio non sarà particolarmente incisivo nel breve-medio periodo ma lo sarà nel lungo.

Internet, nel suo caleidoscopio di riflessi reciproci ci sfida a trovare delle modalità di interazione e di connessione che vadano oltre al piano meramente intellettuale ed ideologico. Se non si va oltre, invece che aggregarci ci atomizziamo nelle innumerevoli disntinzioni che può creare una mente identificata con i propri contenuti e che li difende come fosse un territorio fisico. Internet ci dà l’occasione di mettere in discussione le nostre credenze e le nostre convinzioni. Come ricercatore spirituale sono più interessato a lasciar andare le mie strutture mentali piuttosto che crearne di nuove e a mettere in discussione le mie credenze piuttosto che le tue. Ma per far questo necessito anche della tua consapevolezza che si specchia nella mia.

McLuhan, ne “Dall’occhio all’orecchio” (Armando. Roma. 1982), scriveva:

La coscienza e l’organizzazione ecologiche sono proprie dell’uomo prealfabetico, perché egli vive secondo l’orecchio e non secondo l’occhio. Invece di crearsi degli scopi, proiezioni esteriori e obiettivi, egli cerca di mantenere l’equilibrio fra le diverse componenti del suo ambiente al fine di assicurare la propria sopravvivenza. Paradossalmente, l’uomo elettronico assomiglia in questo all’uomo prealfabetico, perché ha vissuto in un mondo l’informazione simultanea, vale a dire in un insieme di risonanze in cui tutti i dati si influenzano a vicenda. L’uomo dell’elettronica e della simultaneità ha ritrovato gli atteggiamenti fondamentali dell’uomo prealfabetico: si è reso conto che tutto l’orientamento specializzato viene necessariamente in conflitto con tutti gli altri.

Quindi McLuhan vede il ritorno di un approccio globale ed olistico nell’”uomo elettronico”, dove le specializzazioni diventano un fattore di separazione. La sfida della Rete è allora quella di divenire parte di questo sistema di risonanze, sensibili all’equilibrio delle parti con meno scopi e obiettivi personalistici.

Aldous Huxley nel 1945, ne “La filosofia perenne”, scriveva:

La maggior parte degli idolatri politici sono anche idolatri tecnologici. Ciò accade nonostante le due pseudoreligioni siano in ultima analisi incompatibili, poiché il progresso tecnologico al suo ritmo attuale si prende gioco di ogni progetto politico per quanto ingegnosamente elaborato, entro il giro, non di generazioni, ma di anni e talvolta perfino di mesi.

I modelli della Rete (partecipazione, public domain, condivisione e trasparenza) potrebbero minacciare gli equilibri cementati del potere, quindi i politici hanno ignorato, snobbato ed attaccato la Rete. Ma perlopiù non la conoscono. Niente di male nel non essere tecnologicamente avanzati, ritengo che tra i valori umani di un buon politico il suo aggiornamento tecnologico non sia tra i più importanti. Che i politici e le loro propaggini nei media tradizionali siano tecnologicamente arretrati è vero, ma il problema è un altro.

Il problema è che non hanno assorbito ciò che la Rete ha prodotto come forme di partecipazione e di visione sociale. La stragrande maggioranza dei politici sono fermi ad una mentalità pre-Rete, che considera la politica come un’attività centralizzata, sul modello televisivo, con la conseguenza che la separazione tra classe politica e cittadini nel tempo si è solo ampliata.

I vari blog, siti ed aggregatori che fanno parte della Rete partecipativa sono tutti piccoli pezzi di un grande puzzle. Data la natura caotica della Rete non vi sarà mai un unico aggregatore che inciderà sulla politica. La trasformazione avverrà grazie alle innumeveroli piccole spinte dirette in direzioni innovative. Un link qui, un convegno là, un articolo su, un passaparola giù, un aggregatore al centro.

Non è necessario organizzare troppo le cose, anzi, probabilmente sarà proprio il modo soft di interagire che avrà più efficacia, analogamente a un rimedio omeopatico che interviene sull’organismo in forma di messaggio invece che sopprimendo una funzione biologica.

Allora potremo dire “Ben scavato, vecchia talpa”.