Newsletter, Omaggi, Area acquisti e molto altro. Scopri la tua area riservata: Registrati Entra Scopri l'Area Riservata: Registrati Entra
Home / Articoli / La terza possibilità. Architettura e anima. Intervista a Jader Tolja

La terza possibilità. Architettura e anima. Intervista a Jader Tolja

di R. Sicchi - 10/03/2008

Fonte: pensarecolcorpo





 

La progettazione classica e quella rinascimentale sono umanistiche perchè "al centro di quell'architettura c'era il corpo umano, e il loro metodo era quello di trascrivere nella pietra le condizioni fisiche più vantaggiose", sosteneva all’inizio del secolo scorso Geoffrey Scott nella sua opera L'architettura dell'umanesimo. Oggi c'è chi studia l’effetto che lo spazio ha sul cervello e sul corpo e, più specificamente, lavora sui principi che regolano questo rapporto, allo scopo di renderli disponibili ai gruppi di progettazione degli spazi verdi contemporanei.

 


Come mai un medico si occupa di progettazione di giardini?

E' stata una conseguenza naturale della mia storia professionale.
Quando lavoravo in un reparto di chirurgia, mi sono accorto che quello che succedeva alle persone dal punto di vista fisico era molto legato a quello che accadeva loro a livello emotivo.
Per cui, alla fine degli anni ’70, non appena è stato aperto il primo reparto di medicina psicosomatica, ho iniziato un internato per approfondire i rapporti mente-corpo, anche se ben presto mi sono reso conto che non era con una diade che si aveva a che fare, ma perlomeno con una triade: mente-corpo-spazio.

Come si è rivelato questo collegamento?

Facendo ricerca con pazienti psichiatrici cronici (persone che funzionando senza il filtro dell' "io", rivelano più direttamente ciò che succede a livello inconscio), è emerso come mente, corpo e spazio non fossero separabili, perchè quando cambiava la mente, non solo cambiava anche il corpo, ma, inaspettatamente, anche la percezione dello spazio. Per altro, a un mutamento dello spazio corrispondeva una variazione a livello corporeo e mentale.

E i giardini cosa c'entrano con tutto questo?

Durante un viaggio in Giappone nell'82, sono passato da Kyoto, dove, per prima cosa, visitai il Ryoan-ji, probabilmente il giardino zen più intenso in assoluto. Quando varcai la porta che dà sul giardino ebbi la sensazione di accedere immediatamente a quello stesso stato di coscienza che prima ero in grado di raggiungere faticosamente solo tramite strumenti elettronici sofisticati come il bio-feedback o tecniche somatiche avanzate, come quelle sviluppate da Amos Grunsberg, con cui avevo lavorato a N.Y. nei mesi precedenti.
Ricordo ancora oggi la sensazione fisica chiara, potente e inaspettata, come un senso di attivazione del centro del cervello, e per di più ottenuta istantaneamente al semplice entrare in contatto con uno spazio.
Questa per me è stata un'esperienza illuminante per la percezione della potenza degli effetti dello spazio sul cervello e quindi ovviamente sul corpo.
Naturalmente questo comporta delle implicazioni fondamentali per la medicina, per il benessere e la salute.

Cioè?

Anche a livello scientifico sta diventando sempre più chiaro, come gran parte delle malattie siano in realtà equivalenti somatici della depressione ed è stato dimostrato per esempio per cancro, per malattie autoimmunitarie, per attacchi di panico, per bulimia, anoressia eccetera. Queste condizioni migliorano con la somministrazione di farmaci antidepressivi, che come il Prozac, producono un aumento forzato della serotonina. Ora se pensiamo che il 95% della serotonina è prodotta dall’intestino e che le viscere si “aprono” in una condizione di centratura sottocorticale, riconducibile alla mia esperienza nel giardino zen, possiamo facilmente capire come questa particolare condizione attivi in pratica una specie di doccia di serotonina per tutto l’organismo e quindi faciliti l’uscita dalla depressione, riattivando una vitalità e una sensibilità che ci risana a livello fisico e psicologico, con un’amplificazione della percezione dell'aspetto spirituale.

In che senso “una percezione dell’aspetto spirituale”?

Oltre al senso di benessere di cui si parlava prima, tra i vari effetti del rilascio di serotonina c’è anche quello di provocare un “senso di appartenenza” a tutto ciò che ci circonda. Questo è il motivo per cui sostanze che agiscono sulla serotonina, come ad esempio il Peyote, usato dagli sciamani in centro america, o i derivati dell'acido lisergico, usati ad Eleusi nell'antica Grecia, venivano impiegati soprattutto a scopo di iniziatico o rituale.

Di conseguenza come potrebbero essere progettati giardini e parchi per contribuire al benessere e alla salute?

Non esiste un criterio assoluto, ma solo relativo al luogo e al momento preso in considerazione.
Credo che parchi, giardini e verde pubblico in generale, possano rappresentare occasioni fondamentali per riequilibrare le caratteristiche di una località.
La progettazione di un parco o un giardino, in un posto dove la natura è ancora protagonista assoluta, sarà improntata dalla necessità di stimolare la dimensione corticale del cervello attraverso espedienti quali l’originalità, la complessità e la varietà dei codici formali.
In questo caso i giardini rappresenterebbero un luogo dove è possibile scoprire e vivere una condizione di eccitazione mentale. Bambini e adolescenti, che sono in pieno affinamento della propria corticalità, o le persone che sentono la necessità di controllo mentale, generalmente adorano questo tipo di luoghi, del resto non dissimili da una stanza di un adolescente, strapiena di immagini, oggetti e simboli, come un negozio di jeans Diesel, in cui l’iperstimolazione visiva e sonora viene considerata un valore aggiunto.

E nella nostra realtà oggi?

Nel caso di zone fortemente urbanizzate troviamo una pervasiva dominanza di richiami al controllo razionale, dal modo in cui educhiamo, facciamo sport, a quello in cui costruiamo e organizziamo lo spazio. E’ praticamente quasi impossibile trovare luoghi che attivino il centro del cervello e che mettano invece in stand-by, a riposo, la parte corticale.
Consideriamo una giornata qui a Milano o in Lombardia, ci muoviamo in strade piene di insegne, segnali stradali, semafori, pubblicità, indicazioni, strisce, in pratica di continui richiami all’attenzione. Per acquietare questo tipo di condizione dovremmo arrivare perlomeno in qualche valletta collaterale della Valtellina. Per cui dovendo realizzare un parco in un luogo fortemente urbanizzato, considererei prioritaria la necessità di quiete, di spazio, di semplificazione, di pulizia, anteponendole all’originalità o, vista l’emergenza fisica e psicologica, addirittura alla funzionalità pratica.

Come si può ottenere questo effetto in fase di progettazione?

Direi soprattutto attraverso l'equilibrio e l’armonia dell’insieme, l’unitarietà dei codici formali e la presenza di acqua. Attraverso l'utilizzo di forme archetipiche, già presenti in natura, di forme semplici che l’organismo conosce già naturalmente, e che quindi sostengono la sottocorticalità, la centratura.
Mentre al contrario forme complesse, spigolose o spezzate come un trapezio, forme complicate, pensate cerebralmente, che non troviamo in natura e che il cervello non riconosce come ovvie, sortiscono l’effetto opposto, portando verso il pensiero cerebrale, cioè nella parte corticale.

Quali spazi evocano maggiormente una condizione di centratura sottocorticale?

Quelli naturali che risultano ben assortiti e in cui non prevalgano elementi particolarmente caratterizzanti e riconoscibili che distolgano l’attenzione dall’insieme, come una serie di catene montuose al tramonto, quasi fosse un quadro astratto, o il mare con isole sparse, come le pietre di un giardino Zen.
Godere di una composizione che acquieta la mente, che non richiama al riconoscimento del posto tal de tali, di un ripetitore o di una croce in quanto tali, porta all’attivazione del centro del cervello e quindi al riposo meditativo. Perchè quando non c'è niente che dia un appiglio alla mente razionale, alla corteccia, al pensiero con maggiore facilità si attivano momenti di profondo recupero. E’ il motivo per cui due giorni di vacanza in barca a vela in un posto naturale rigenerano più di una settimana in un villaggio turistico.

Tu hai accennato all’opportunità di evitare elementi forti, ma per quanto riguarda gli spazi aperti si pongono spesso obbiettivi di riconoscibilità.

Credo che il problema non stia tanto nel connotare o meno un luogo, ma nel come questo viene fatto.
Un giardino Zen, pur avendo personalità, non stride rispetto alla natura umana profonda ma anzi la sostiene. Analogamente i canoni classici hanno trovato ritmi e forme che risuonano e si combinano armonicamente con il nostro essere fisico originario.
Per esempio i tempietti neoclassici dei giardini romantici, sono elementi artificiali, inseriti però con grazia nel proprio ambiente, costituiti con equilibrio e delicatezza da forme archetipiche come l’emisfera, il cerchio, il quadrato o l’ottagono, con il risultato di apparire inseriti naturalmente nell’ambiente come se fossero lì da sempre. Non si ha la sensazione di qualcosa che ti disturba e ti riporta nel cerebrale.

Quindi per i progettisti solo due possibilità: realizzare spazi cerebrali o rimettersi a progettare giardini romantici e copiare giardini zen?

Chiaro che no.
Personalmente sono interessato ad una terza possibilità. Oggi esistono dei bellissimi giardini occidentali contemporanei che utilizzano gli stessi princìpi archetipici e somatici di quelli zen senza la necessità di imitarli in modo letterale. Sarebbe come fare una cena a Milano accogliendo gli ospiti vestiti in kimono.
Analogamente penso che l'architettura classica e quella rinascimentale siano state solo due delle possibili interpretazioni dei principi dell'umanizzazione del progetto.
Credo perciò che tali principi, consapevolmente percepiti, capiti e implementati possano contribuire alla realizzazione di una progettazione 'umanistica' contemporanea.

 

dalla rivista PAYSAGE