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Le ventenni e il femminismo: integrazione o parità tra i sessi?

di M.N.M. - 10/03/2008

Preoccupate dal rischio di perdere diritti ereditati dalle femministe che magari criticano, divise tra il desiderio e la ritrosia di contribuire a ingrossare la voce della piazza per difenderli, indebolite da una corsa al consumismo e all’individualismo che spesso cancella la voglia di valori, disperse da una rivalità che «fa il gioco dei maschi». Si dipingono così le ragazze di oggi, per le quali l’8 marzo ha il sapore di ghettizzazione, di festa commerciale o di scusa per un’uscita straordinaria. Nessuna sa o ricorda che è nata per celebrare la morte di 129 operaie di una fabbrica di New York, molte delle quali italiane, chiuse dentro dal «padrone» perchè avevano osato contestare condizioni di lavoro inaccettabili. Le uccise l’incendio che l’8 marzo 1908 distrusse l’azienda.

Quello fu uno dei primi vagiti del femminismo, ma per le nuove generazioni è preistoria. Dice Lisa Rosso, 26enne padovana e leader delle «Big Babol», ideatrici di un blog «rosa»: «Noi abbiamo sempre battaglie da combattere. Siamo svantaggiate sul lavoro, i posti di potere sono esclusiva degli uomini, che ogni tanto ce ne cedono qualcuno, e in politica siamo poche. Anche la bellezza è un fattore discriminante: siamo giudicate in base all’aspetto fisico, all’abbigliamento, alla vita sessuale. Se sei libera sei una da poco, se a 40 anni sei single sei una zitella che nessuno vuole. E l’aborto? La pillola RU486, che lenirebbe le sofferenze di molte donne, non ce la vogliono dare e ora mettono in dubbio la 194. Paletti piantati dagli uomini — prosegue Lisa —. Per loro è facile parlare, non vivono sulla pelle né il dramma di un aborto né la difficoltà di crescere un figlio da sole. Dopo che magari loro ci hanno abbandonate. Non so però quante ventenni abbiano veramente voglia di scendere in piazza, io non lo farei. Oggi si manifesta per qualsiasi cosa, quindi il gesto ha perso valore, e poi siamo incapaci di fare squadra. Siamo troppo prese da interessi personali e materiali».

Di tutt’altro avviso Elisabetta Bilei, scrittrice mestrina 21enne e «pupilla» di Federico Moccia: «E’ indispensabile scendere in piazza per tutelare diritti vecchi e nuovi. Oggi il maggior pericolo è non riuscire a consentire alla donna di affermarsi professionalmente e avere anche una famiglia. O deve scegliere o è condannata a un doppio lavoro, difficilmente riconosciuto. Il femminismo esiste ancora ma è minacciato dalla competizione tra donne, portate a farsi la guerra per indole e per colpa degli uomini. E invece dovremmo unire le forze, per esempio per combattere il precariato dei giovani e tutelare la maternità. Gli asili costano e non tutte possono permetterseli, quelli aziendali sono una rarità, i condominiali non esistono. Senza contare la difficoltà per una neomamma di ottenere il part-time. Tante donne rinunciano ai figli per questi motivi, non per leggerezza, come teme la Chiesa».

E’ preoccupata la scrittrice vicentina Margherita Ferrari, 20enne famosa per il suo blog: «La situazione è critica, c’è il costante tentativo di strapparci conquiste fatte trent’anni fa. Sono rimasta sconvolta dall’attacco alla 194: mia madre e mia nonna mi hanno raccontato che prima della legge molte donne morivano in seguito ad aborti clandestini. Questa crociata dell’Italia è imbarazzante, stiamo facendo una pessima figura all’estero. E poi ci sono gli innumerevoli ostacoli che dobbiamo superare se vogliamo fare carriera, soprattutto in certi ambiti. Il femminismo esiste ancora, ma con un altro nome: "giustizia". Bisogna avere la forza di rivendicare la parità, al di là dei pregiudizi».

E’ d’accordo Barbara Codogno, giornalista padovana di 35 anni: «Le donne sono agguerrite, anche se i modi di combattere sono cambiati. Usano ancora le piazze, ma come ultima ratio, prima ricorrono ai siti, ai forum, ai blog. Per fare gruppo usano la tecnologia e la scienza, abbattendo l’atavico pregiudizio che le vuole incapaci di gestirle. Chissà perchè ogni campagna elettorale si gioca sulla nostra pelle, anche se il potere non è donna. Mi fa schifo la demonizzazione di una legge, la 194, che non è un inno all’aborto bensì una forma di tutela importante della salute della donna. E poi ha abbassato del 30% le interruzioni di gravidanza. Ai politici dico: lasciate decidere le donne sul loro corpo, sulla loro vita sessuale, sulla maternità. Purtroppo però questo Paese lo guidano i maschi e la Chiesa».

E’ sfiduciata Melita Toniolo, ventenne modella trevigiana: «Non ho mai visto una donna titolare di un’agenzia e raramente di un’azienda. E non capisco il perchè. Ma quello che mi infastidisce di più è che in casa se non ci fossimo noi non esisterebbero pulizia e ordine. Sarebbe giusto concedere stipendio e pensione alle casalinghe, che lavorano per quattro. Io non scendo in piazza perchè non credo serva a cambiare le cose: non riusciamo a farlo nemmeno esercitando il diritto di voto. E questo mi fa perdere fiducia, nella politica e nella giustizia. I soli che possono farci voltare pagina sono i governanti».

Fuori dal coro Anna K. Valerio, padovana 28enne e direttrice delle «Librette» di Controra, collana della casa editrice «Ar» di Franco Freda. «La mia preoccupazione è che si perda il maschio, che lo si svuoti della sua identità — rivela Anna —. Io come donna non mi sento minacciata e non mi appassiono alle crociate pro divorzio e aborto, anche se rifuggo dal bigottismo universale. Sull’interruzione di gravidanza starei attenta a non confondere una pratica che si può evitare adottando precauzioni con l’aborto terapeutico, sacrosanto e da perfezionare. Guai a chi lo tocca. Però io mi batterei per i diritti del genere umano e non all’insegna del populismo e del moralismo ma per aspirare alla perfezione di sé. Mi piacciono l’uomo e la donna ben riusciti — prosegue Anna — ognuno con le proprie peculiarità e attitudini. Non è biologicamente naturale voler essere uguali. Sul lavoro il carrierismo ostinato e rabbioso nuoce alle donne e il castigo è l’assenza di maschi per cui sospirare ma anche la mortificazione dell’uomo, per il quale ho una fisiologica indulgenza. Io sono per l’integrazione non per la parità tra i sessi: il dovere del maschio è esercitare forza e decisione, quello della femmina è la comprensione. Voler essere uguali ai maschi è un fallimento per le donne, dotate di un’intelligenza più profonda. Potrei fare un’unica crociata, quella per ottenere la tutela della maternità sul lavoro, con part-time e asili aziendali. Ma non chiedetemi di tollerare l’uomo ai fornelli».