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Solo le manovre dietro il mercato, bellezza!

di G.P. - 10/03/2008

 

 

Vorrei tornare sull’articolo di Gianfranco La Grassa intitolatoE' il mercato, bellezza” apparso sul blog il 7 marzo, perché La Grassa ha qui messo ben in evidenza le contraddizioni sottese alle manovre su mercati finanziari e alle conseguenti spiegazioni di comodo su tali fenomeni, fornite tanto dai manager direttamente implicati in tali operazioni che dallo stuolo degli ideologi di sistema che fanno a gara per mistificarne la reale natura. 

I sedicenti grandi manager e la loro accolita di servi (giornalisti, economisti, intellettuali di ogni risma) compiono sforzi immani, almeno finché gli affari vanno come devono andare, per porre l’accento sulle capacità autoregolative del mercato e sulle sue infinite virtù taumaturgiche.

La stanca ritualità che accompagna i balletti intorno al Totem dell’economica conferma la consistenza dei sedimenti ideologici (ammantati di scientificità e di ineluttabilità circa le  Supreme Leggi del Mercato, presunte sempre come “naturali”), con i quali vengono mascherati i superprofitti o gli onorari “fuori norma” (o, ancora, per giustificare, solo per fare un altro esempio tra i tanti, i tagli al personale), nonché operazioni come scalate o la presa del controllo dei pacchetti di maggioranza nelle società per azioni, che nulla hanno a che vedere con la smithiana mano invisibile, tanto enfatizzata dai custodi del tempio capitalistico.  Al contrario, quando dal mercato arrivano invece segnali inquietanti per le imprese che in esso operano con troppa disinvoltura si parla d’irrazionalità dello stesso o di ondeggiamenti umorali dovuti alle aspettative degli operatori che non hanno la giusta serenità per valutare i piani aziendali.

Da qui lo sfogo del Bernabè, più o meno furioso, di fronte alla reazione della borsa al suo piano di rilancio della Telecom. In realtà, il mercato in questione è un campo di forze dove si attraggono e si respingono i gruppi dominanti, soprattutto finanziari, agenti in tale sfera. Tanto l’attrazione che la repulsione hanno come sostrato la conflittualità interdominanti, vero motore del dinamismo capitalistico, il quale tesse una rete di rapporti conflittuali (con anche la formazione di alleanze tattiche, sempre provvisorie) tra gruppi e drappelli dominanti, i quali tentano di conquistare posizioni di primazia su altri agenti dello stesso tipo.

La Grassa fa notare una questione che i lettori del blog (almeno quelli che ci leggono da tempo) hanno ormai interiorizzato ma che non è così lapalissiana per chi legge le vicende finanziarie con le categorie “classiche”. La reazione della Borsa al piano di Bernabè (accolta con una penalizzazione al ribasso del titolo Telecom, -10%) ha fatto andare su tutte le furie il citato manager (anche se tale sfogo potrebbe nascondere ben altro, come si capirà vagliando la lettura su questa faccenda data da Geronimo) che si è appellato all’irrazionalità del mercato, il quale non avrebbe capito le “magnifiche sorti e progressive” che lui ha disegnato per l’azienda telefonica. Basterebbe - per replicare a Bernabè – dire che un’azione sui dividendi (che saranno ridotti) senza alcuna previsione d’investimenti strategici non può certo far entusiasmare chi movimenta denaro in borsa (e qui non parliamo ovviamente dei piccoli risparmiatori che di solito subiscono ogni decisione) ed ha tutto l’interesse ad accrescere il valore del suo portafoglio strategico per incrementare il suo potere d’incidenza sulla stessa. Quindi, nulla di irrazionale se l’ “autorità morale” di Bernabè non sia bastata a convincere i suoi omologhi, in quanto pure di questo si tratta. Cioè, anche una riduzione dei dividendi può essere raccolta positivamente se esistono accordi tra gruppi o strategie non dichiarate tra imprese e banche per il raggiungimento di obiettivi che, per ovvie ragioni, non si palesano immediatamente agli occhi degli specialisti (i quali, alla fine, tanto esperti non sono) e a quelli (figuriamoci!) dei piccoli risparmiatori. Siamo chiaramente nel campo delle ipotesi che non intaccano, tuttavia, l’intuizione di partenza, cioè quella per cui dietro al mercato agisca la potentissima mano dei gruppi capitalistici più forti (in combutta o in concorrenza tra loro).

Così potrebbe essere ugualmente realistico quanto paventato da Geronimo su Il Giornale del 6 marzo. Nella fattispecie, Geronimo, affidandosi alle capacità divinatorie di Manitou, pronostica che “Il nuovo socio di riferimento della Telecom è la società Telco (Mediobanca, Intesa, Generali e la spagnola Telefonica) che ha rilevato il pacchetto detenuto da Tronchetti Provera (il 23% del capitale) pagando ogni azione 2,60 euro, guarda caso lo stesso valore aziendale (46 miliardi di euro) al quale arriviamo noi con il ragionamento sopra riportato sui fondamentali industriali. Stando così le cose l’ispirazione che ci arriva da Manitou, è che probabilmente siamo alla vigilia di un aumento di capitale riservato agli azionisti per cui se il titolo resta su questi bassi livelli è possibile che per ogni due vecchie azioni ve ne sia una acquistata a poco più di 1 euro. Se così fosse, la società Telco sottoscrivendo l’aumento di capitale per la parte che lo riguarda medierebbe l’attuale prezzo del suo 23% intorno a 2 euro senza considerare il possibile rastrellamento di azioni ordinarie o di risparmio avvenuto in questi mesi.” Traducendo: chi ha i mezzi per storcere il bastone dalla propria parte (altro che imperturbabili leggi economiche) può, tramite la sua visione complessiva dei fenomeni finanziari e la sua posizione strategica nell'ambito della "rete" finanziaria, indirizzare il mercato secondo obiettivi prefissati. In questo caso si tratterebbe di costringere molti piccoli risparmiatori a vendere velocemente (presi dall’angoscia di perdite cospicue) le proprie azioni, mentre “gli altri”, “sempre ispirati da Manitou”(Geronimo), possono incominciare a comprare a poco per poi rivendere a tanto.

 

Le grandi manovre Telecom (fonte: Il Giornale)
di Geronimo

Nella distrazione generale per lo scontro elettorale in corso, nei mercati borsistici avvengono cose non sempre comprensibili, in particolare per i piccoli risparmiatori. Una tra queste, ad esempio, è la vicenda Telecom. Dall’inizio dell’anno il titolo ha perso il 24% del proprio valore mentre l’indice generale della borsa ha perso solo il 14%. Oggi il titolo Telecom vale poco più di 1,60 euro, il punto più basso dal 1997. Diciamo subito che la crisi dei mutui americani c’entra ben poco con la caduta del titolo Telecom. La illiquidità dei fondi legata alla crescente diffidenza di ciascuna banca rispetto alle altre ha messo in moto massicce vendite di quei titoli che avevano già maturato plusvalenze e questo non era il caso di Telecom. Vediamo allora se per caso i fondamentali di Telecom, cioè i dati industriali, siano peggiorati. L’azienda guidata da tre mesi da Franco Bernabè sui dati dei primi tre trimestri dello scorso anno ha un fatturato di 32 miliardi di euro con un indebitamento di 37 miliardi e il cosiddetto ebitda (gli utili prima degli interessi delle tasse e degli ammortamenti) di oltre 12 miliardi. Gli utili netti al 31/12/06 erano di 3 miliardi di euro e tutto lascia credere che il 2007 riconfermi nella sostanza questa cifra. Un indicatore utile per il mercato è il rapporto tra il debito e l’ebitda. Quando è intorno a tre volte è ritenuto tollerabile dagli analisti finanziari e a oggi per Telecom quel rapporto è di 3,1 volte. Con questi dati il valore dell’azienda sarebbe di oltre 45 miliardi di euro moltiplicando l’ebitda per 6,5, un multiplo ampiamente accettato per quel tipo di aziende. E invece Telecom a oggi capitalizza in borsa poco meno di 30 miliardi di euro. Se la colpa allora non è della crisi creditizia innescata dai mutui americani e se i fondamentali industriali sono quelli descritti, la ragione del crollo del titolo deve trovarsi altrove. E qui comincia la bonaria malizia dei vecchi capi indiani che si poggia sull’antica massima del «cui prodest», cioè a chi conviene che il titolo sia così basso. Il nuovo socio di riferimento della Telecom è la società Telco (Mediobanca, Intesa, Generali e la spagnola Telefonica) che ha rilevato il pacchetto detenuto da Tronchetti Provera (il 23% del capitale) pagando ogni azione 2,60 euro, guarda caso lo stesso valore aziendale (46 miliardi di euro) al quale arriviamo noi con il ragionamento sopra riportato sui fondamentali industriali. Stando così le cose l’ispirazione che ci arriva da Manitou, è che probabilmente siamo alla vigilia di un aumento di capitale riservato agli azionisti per cui se il titolo resta su questi bassi livelli è possibile che per ogni due vecchie azioni ve ne sia una acquistata a poco più di 1 euro. Se così fosse, la società Telco sottoscrivendo l’aumento di capitale per la parte che lo riguarda medierebbe l’attuale prezzo del suo 23% intorno a 2 euro senza considerare il possibile rastrellamento di azioni ordinarie o di risparmio avvenuto in questi mesi. Questo meccanismo è stato già collaudato con la vicenda Fiat di qualche anno fa quando il suo titolo scese di molto prima e durante l’aumento di capitale chiuso al 30/07/2003 per poi esplodere nei successivi tre mesi guadagnando quasi il 40%. Anche allora il dio indiano Manitou ci ispirò e fummo tra i pochissimi a pronosticare da queste colonne l’ascesa esplosiva del titolo Fiat. In quell’occasione molti piccoli risparmiatori presi dall’angoscia vendettero a piene mani mentre altri, sempre ispirati da Manitou, comprarono e guadagnarono cifre importantissime. La stessa cosa forse avverrà per Telecom. Può darsi che questa volta sbagliamo, ma davvero non troviamo altra spiegazione per la continua caduta del titolo Telecom ben conoscendo, peraltro, le mille furbizie e i mille conflitti di interesse presenti nei mercati finanziari.

Geronimo