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Il 1789 è figlio dell’Illuminismo e, quest’ultimo, della Massoneria?

di Francesco Lamendola - 10/03/2008

 

In un nostro recente saggio intitolato Il pensiero  laicista  dell’illuminismo erede della struttura  politica dell’assolutismo (inserito sul sito di Arianna Editrice il 25/11/2007), ci eravamo occupati delle tesi assai stimolanti dello storico tedesco Renhart Koselleck, esposte nel suo libro Critica illuminista e crisi della società borghese (edizione originale Kritik und Krise. Ein Beitrag zur Phatogenese der bürgerlichen Welt, Freiburg-München, 1959; traduzione italiana Il Mulino, Bologna, 1972).

In esso  si prospetta la tesi che la struttura politica dell’assolutismo abbia costituito la premessa  del fenomeno culturale dell’Illuminsimo e, più specificamente, che l’autocoscienza degli illuministi, come ideologia critica della classe borghese, trovi nello Stato assoluto i suoi elementi fondanti. Con Locke, in particolare, l’elaborazione di una morale extrastatuale, anzi la teorizzazione della estraneità della morale alla natura dello Stato, avrebbe costituito il nucleo di un pensiero laicista sia nei confronti della religione, sia nei confronti dello Stato stesso - il Leviatano di Hobbes, la cui funzione era stata quella di impedire e prevenire lo scoppio di una guerra civile omnium contra omnes.

Al tempo stesso, Koselleck sostiene che la nascita e lo sviluppo della Massoneria hanno rappresentato il collaudo di una forma di potere indiretto - parallelo e segretamente conflittuale, o quantomeno alternativo - a quello dello Stato. Le premesse di un tale “esperimento” risalgono alla separazione tra morale e politica e, quindi, a molto prima della realizzazione della monarchia assoluta: per lo meno al Principe di Machiavelli. Ma se il segretario fiorentino aveva teorizzato esplicitamente la netta separazione della sfera dell’etica da quella della politica, con lo sviluppo delle sette massoniche e, in particolare, con quella degli Illuminati, quella rottura trova il suo significato politico, e la sua più coerente realizzazione, nella fondazione di una critica borghese al sistema dell’ancien régime. La Massoneria, inoltre, e più ancora gli Illuminati di Baviera, avrebbero elaborato un progetto di presa del potere contro lo Stato assoluto dissimulandone però il significato politico mediante il dualismo tra morale e politica, che consentiva di occultare i loro veri obiettivi dietro la facciata di un laicismo apparentemente "neutro" in senso politico o quantomeno presentato come apartitico.

È chiaro, a questo punto - a grandi linee - lo schema interpretativo proposto dallo studioso tedesco. La società è minacciata continuamente dallo scoppio della guerra civile, stante la natura ferina dell'uomo e la sua aggressività innata nei confronti dei propri simili (homo homini lupus). La concezione dell'assolutismo nasce appunto dall'esperienza della guerre civili del tardo Cinquecento in Francia e del primo Seicento in Inghilterra; per porvi un argine, anzi per renderne impossibile la ripresa, si invoca e si teorizza lo Stato "Leviatano", diretto da un'unica volontà e forte abbastanza per incutere terrore ai violenti e costringere ciascuno al rispetto dei propri simili: non in nome di un principio morale superiore e assoluto, ma in nome dell'onnipotenza della legge. Sulla scia di Machiavelli, morale e politica si separano per sempre.

Tuttavia, se la morale ammessa dallo Stato e controllata dalla coscienza è quella dell'obbedienza alla politica, le opinioni personali dei sudditi devono per forza venir relegate in interiore homine, mimetizzarsi, occultarsi. Da questa frattura nasce un dualismo: come Cartesio ha tenuto a battesimo il dualismo di res cogitans e res extensa, così Hobbes tiene a battesimo il dualismo di  publicus e privatus, di obbedienza formale alle leggi dello Stato e di libero pensiero coltivato in segreto, come una colpa ma anche come l'unico mezzo per conservare integra la propria dignità di soggetto dotato di libero arbitrio.

Nasce un nuovo tipo umano, doppio, astuto, dissimulatore, ossequiente nei confronti dello Stato ma, al tempo stesso, animato da una segreta avversione, da un odio profondo verso di esso, tanto più forte quanto più costretto a dissimularsi e a nascondersi nell'ombra. Ed ecco prendere corpo, come frutto di questa scissione e di questa frustrazione, la propensione al segreto e, contemporaneamente, a una radicale riforma della politica: i due elementi che sono alle origini del fenomeno della Massoneria e di quello degli Illuminati di Baviera. Si trattava, in sostanza, di un rifiuto dello Stato, divenuto troppo potente e coercitivo, in nome di un ritorno al rango di uomini liberi; di un innalzamento morale e politico da sudditi a cittadini - non cittadini di questo o quello Stato, perché lo Stato è divenuto un idolo da abbattere, ma cittadini del mondo: l'ideale cosmopolita proprio dell'Illuminismo maturo.

 

"La libertà dallo Stato esistente - più ancora della sua uguaglianza sociale - fu il vero e proprio elemento politico delle logge massoni. La legislazione interna delle logge, la loro libertà e indipendenza erano possibili soltanto in u campo che fosse sottratto all'influenza tanto delle istanze ecclesiastiche quanto all'intervento politico del potere statale esistente. Perciò fin dall'inizio il segreto ebbe funzione di rifiuto e di protezione. «I segreti e il silenzio - è detto esplicitamente nel 1738 in un protocollo supplementare della Loggia di Amburgo, la prima ad essere fondata su suolo tedesco- i segreti e il silenzio sono il mezzo principalissimo per affermarci e per affermare e  rafforzare il godimento della massoneria». Al posto della protezione dello Stato subentrò la protezione dallo Stato." (Op. cit., p. 88).

 

E così la separazione tra politica e morale porta in un primo tempo all'onnipotenza dello Stato, in un secondo tempo alla reazione contro quella onnipotenza e, quindi, al progetto di un potere efficace, ma occulto, in grado di proteggere l'individuo contro di essa e di allenarlo a un esercizio del potere effettivo, che si sappia celare abilmente fra le pieghe stesse dello Stato: una sorta di Antistato (l'espressione non è del Koselleck, ma nostra) che ricorda, nelle sue linee generali, il concetto odierno di lobby ovvero di centro decisionale occulto.

 

“Nel continente, due formazioni hanno dato n’impronta decisiva all’età dell’Illuminismo: la République des lettres e le logge della Massoneria. L’Illuminismo e il segreto appaiono fin dall’inizio una coppia storica.” (Idem, pp. 77-78).

 

Il mistero, caratteristico delle logge massoniche e, in genere, delle società segrete, svolse una funzione notevole nell’attrarre nuovi adepti, in una vasta operazione che vide la borghesia “arruolare” numerosi esponenti del ceto aristocratico; esso fu quasi una versione moderna degli antichi Misteri eleusini, e la Massoneria ricorda per certi aspetti (sono sempre paragoni nostri) la setta orfico-pitagorica. Il giuramento di mantenere il segreto si accompagna a una forte volontà di rinnovamento spirituale della società, grazie ad una élite di saggi o “illuminati” che sanno interpretare gli autentici bisogni dell’uomo.

Per Koselleck, la Massoneria non è affatto un aspetto marginale dell’Illuminismo, ne è la vera essenza, perché è l’essenza dello spirito borghese. All’interno delle logge, l’uomo non era più il suddito sottoposto al potere dello Stato, ma un uomo tra gli uomini, libero di  progettare e di operare al di fuori dello Stato. Riallacciandosi, in un certo senso, alla tradizione dei Templari, dei Rosa Croce e dei Filateti, i membri delle logge speravano di illuminare e riscattare l’uomo; ma, se quelli avevano fatto leva sulle scienze occulte, i massoni fanno leva sui “lumi” della ragione naturale. Scrive Lessing (citato a p. 87 e a p. 146) che

 

“Per sua natura, la massoneria è tanto antica quanto la società borghese.  Entrambe non potevano che nascere contemporaneamente, se addirittura la società borghese non è un rampollo della massoneria. (…)La massoneria non è niente di arbitrario, niente di inutile, ma qualcosa di necessario, che è fondato sull’essenza dell’uomo e sulla società borghese.”

 

Apolitico in senso stretto, perché mirante a vivere una vita del tutto indipendente da quella dello Stato, il massone è politico in senso ampio e indiretto, perché la sua teorizzazione di una istanza morale superiore a quella dello Stato (la “felicità”), e nella quale lo Stato trova eventualmente la sua unica giustificazione, è potenzialmente rivoluzionaria.

 

L’immoralità dei governi, dunque, giustifica la rivolta: Rousseau batte alle porte, e il suo discepolo Robespierre saprà trarne le logiche conseguenze. Il vizio non ha diritto di esistere, esso è intimamente contrario alla natura umana e inevitabilmente contro-rivoluzionario. La morale (della borghesia, della massoneria, degli illuministi) è divenuta l’unica fonte di legittimazione del potere: un potere che non vi si sottometta non è altro che un disordine costituito, così come un sovrano che non governi nell’interesse del bene collettivo è “uno schiavo ribelle” che merita l’eliminazione non solo politica, ma altresì fisica. Si va verso il totalitarismo etico, verso la “dittatura della virtù” e (sono sempre conclusioni nostre) verso la “santa ghigliottina” del 1793-94.

 

"La volontà una e incondizionata, cui veniva ricondotta la decisione sovrana del signore assoluto,  fu da Rousseau rivendicata alla società. Il risultato è la volontà generale assoluta, che si dà da sé la legge. Il signore visibile, condannato alla corruzione in quanto  portatore del potere, viene detronizzato , ma la volontà sovrana è mantenuta come principio della decisione politica. Essa viene consegnata ad una società che in quanto società non piò affatto disporre di questa volontà. Infatti la somma di individui  dotati di volontà non dà una volontà globale, così come la somma di singoli interessi non dà un interesse globale. Semmai la volonté générale è l'emanazione di una totalità, l'espressione del popolo-Stato che soltanto con questa volontà si costituisce in popolo-Stato. Il paradosso logico di Hobbes, che lo Stato poggia su un contratto ma poi continua ad esistere come grandezza autonoma, era politicamente realizzabile perché in tal modo veniva lasciata libera la volontà sovrana del signore che rappresentava lo Stato. Ma il paradosso di Rousseau, che il popolo-Stato ha una volontà generale  grazie alla quale diviene popolo-Stato, dal punto di vista politico non è direttamente realizzabile: esso suppone libera una volontà che per prima cosa non ha nessuno che la realizzi. Non delegabile, non rappresentabile, la volontà considerata sovrana scompare nell'invisibile. L'identità tra lo Stato e la società, tra l'istanza decisionale sovrana e la totalità dei cittadini è condannata a priori a rimanere un mistero.

"La volontà pura in quanto tale, che è essa stessa meta della sua realizzazione, è la vera sovrana. La metafisica della rivoluzione permanente è in tal modo anticipata. Il risultato è lo Stato totale. Esso poggia sulla supposta identità tra morale borghese e decisione sovrana. Ogni manifestazione di volontà della totalità è una legge generale, perché può intendere soltanto la propria totalità. Sopra lo Stato popolare regna la volonté générale, la volontà comune assoluta, che non conosce eccezioni. Soltanto grazie alla sua esistenza questo sovrano è sempre ciò che deve essere, e lo è sempre in modo totale. La volontà generale assoluta che non conosce eccezioni è l'eccezione e basta.

"La sovranità di Rousseau si rivela così una dittatura permanente. Essa ha la medesima origine della rivoluzione permanente, in cui si è trasformato il suo Stato. Le funzioni della dittatura vengono assolte da colui che riesce a realizzare la volontà generale ipostatizzata. La presupposta volonté générale in quanto nuovo principio politico trasforma in nodo radicale il portatore di tale principio, cioè la società. Questa viene statalizzata trasformandosi in collettività. La collettività scaturisce dalla somma degli individui dopo che questi hanno assorbito lo Stato che li ha dapprima fatti nascere come individui politici. Lo Stato popolare, la collettività che governa se stessa, presuppone insomma la volontà generale, così come questa si fonda su una collettività che in precedenza ha essa stessa creato. Spiegando l'una grandezza con l'altra, Rousseau può far apparire la postulata unità di entrambe come una realtà in sé conchiusa. Ma questa totalità razionale ha una fessura attraverso la quale trapela la fattualità pura e semplice. Il cittadino ottiene la sua libertà soltanto se partecipa  alla volontà globale, ma come uomo questo cittadino non può mai sapere quando e come il suo io interno si fonde con la volontà globale. Gli individui possono sbagliare, la volonté générale mai. La totalità razionale della collettività e della sua volonté générale impongono perciò una costante correzione della realtà, cioè degli individui viventi che non sono ancora entrati nella collettività. Realizzare questa correzione della realtà è compito della dittatura." (Idem, pp. 206-207).

 

Alle tesi del Koselleck, che a noi sembrano largamente condivisibili - se non sempre nei particolari, certo nelle linee generali - ha risposto, per così dire, Margaret C. Jacob, insegnante la New School for Social Research di New York, e già nota al pubblico italiano grazie alla traduzione di suoi saggi quali Illuminismo radicale(Bologna, 1983) e Il significato culturale  della rivoluzione scientifica (Torino, 1992).

Ora la studiosa americana torna alla carica con il volume Living the Enlinghtenment. Freemasonry and Politics in the Eighteenth-Century Europe, pubblicato dalla Oxford University Press e tradotto in italiano da Pietro Arlorio per la Casa Editrice Giulio Einaudi di Torino nel 1995,  nonché riproposto al lettore italiano nella Biblioteca storica del quotidiano Il Giornale di Milano, col titolo Massoneria illuminata. Politica e cultura nell’Europa del Settecento.

Nonostante il titolo volutamente neutro, sia dell’originale che della traduzione, e nonostante lo stile discorsivo e accattivante della studiosa anglosassone e il suo sfoggio di una mentalità storiografica rigorosamente “scientifica” e obiettiva, si tratta, in effetti, di un vero e proprio pamphlet di circa 400 pagine, scritto in difesa delle pure e oneste intenzioni della Massoneria settecentesca, fucina di quelle virtù civiche culminanti in quella che lei chiama “sociabilità”, e contro la tesi che vede nella Massoneria l’anima del movimento illuminista e il modello ideologico, tendenzialmente totalitario, che sarebbe sfociato dapprima nel Terrore giacobino, indi nei progetti totalitari del XX secolo, sia di destra che di sinistra, basati sul comune denominatore della volontà di creare un “uomo nuovo” e una società il cui fine fosse la realizzazione della “felicità”.

Si legge, infatti, in un anonimo opuscolo massonico dato alle stampe in Francia nel 1744 (e riportato anche dalla Jacob, a p. 9 del suo libro):

 

“Sacre leggi dei Massoni, è a voi che quest’opera è affidata; dipende da voi debellare il crimine, colpire il criminale, difendere l’innocenza, sostenere il debole, costringere l’uomo a diventare felice…”

 

Appunto: costringere l’uomo a diventare felice. Una simile idea, permeata di un concetto totalitario della politica, presuppone, evidentemente, che qualcuno sappia che cos’è la felicità, e che lo sappia così bene da farsi paladino e impositore di una sua applicazione forzata nella società e, all’occorrenza, contro la società civile.

Infatti, chi potrebbe desiderare l’infelicità, se non il criminale che si pasce di delitti e che ha in odio ogni forma di convivenza pacifica e ordinata?

Che questa deduzione non sia opera di una nostra, malevola interpretazione del passo sopra citato, è dimostrato  dal tenore dello stesso opuscolo massonico, che subito dopo la frase da noi evidenziata, così prosegue (e sembra proprio di sentire l’oratoria di Robespierre: chiunque abbia letto i suoi discorsi pronunciati alla Convenzione, dovrà riconoscerlo):

 

“Oh, vergogna della natura! Oh, confusione dell’umanità! Si deve proprio [e qui manca il verbo, che doveva essere “pensare”] che l’uomo non possa esser libero senza essere nel contempo criminale? Occorre rendersi schiavi per essere virtuosi? Sì, miei cari fratelli, questa è la nostra condizione; le nostre passioni esigono leggi, i nostri desideri indebiti e sconsiderati abbisognano d’un freno.”

 

Dunque, il ragionamento dei massoni è chiaro: bisogna fare in modo che gli uomini siano felici, con le buone o con le cattive; ma, per essere felici, bisogna che gli uomini siano anche virtuosi; dunque, bisogna imporre la virtù con la forza, allo scopo di liberare il genere umano dall’infelicità, ossia per il suo stesso bene.

Ma ecco la parte del libro Massoneria illuminata nella quale Margaret Jacob se la prende direttamente con Koselleck (e con lo storico francese François Furet), rimproverandogli di ignorare le vere radici dell'illuminismo per una sorta di ostilità ideologica preconcetta verso di esso, nonché acusandolo di  disinvolta manipolazione dei dati, allo scopo di prefabbricare una tesi di comodo (pp. 23-24):

 

"Forse nessun altro movimento culturale laico dell'età moderna è riuscito a suscitare reazioni altrettanto ostili, e talvolta persino violente, dell'illuminismo.

Così, alcuni storici francesi hanno creduto di vedere nelle società di pensiero non solo i germi della società civile moderna, ma anche quelli della prassi rivoluzionaria e democratica con tutte le sue terribili implicazioni.. D'altra parte, stoici tedeschi come Reinhart Koselleck ci hanno visto tutto questo e persino qualcosa di più. In un libro pubblicato in Germania nel 1959, Koselleck sostiene che il 'segreto' della massoneria «tracciò una frontiera spirituale che passava attraverso il mondo statale assolutistico». La sua 'funzione sociale' consistette nell'«unificare il mondo borghese» sotto il manto della segretezza. Secondo la prospettiva adottata da Koselleck, gli Illuminati, costituitisi in Germania nel 1776 su posizioni politiche radicali, non erano dei semplici imitatori delle forme politiche massoniche, bensì ne costituivano la logica conseguenza, realizzando l'inevitabile passaggio dall'attivismo sociale a quello politico. Il «piano segreto di abolire lo Stato» si basava sulla certezza della visione morale massonica che esaltava la virtù, il perfezionamento e la fratellanza secolari quali prerequisiti di un progresso ininterrotto. Non molto diversamente dai radicali di Furet che, ispirandosi alla massoneria, pervengono a far coincidere Stato e società, e pertanto perseguono un'impresa di tipo totalitario pescando nel torbido  della democrazia diretta, i radicali di Koselleck perseguono l'abolizione dello Stato. Abbastanza curiosamente, questi due radicalismi finiscono per produrre lo stesso risultato. Secondo Koselleck, infatti, anche la fratellanza dei giusti Illuminati, una volta abolitolo Stato assoluto, imbocca, armata della parola d'ordine della volontà generale gentilmente fornita da Rousseau, la strada della dittatura. «Conformemente alla concezione delle logge», per guidare il popolo al bene «è necessario… qualcosa di più del domini assoluto, che coglie soltanto gli aspetti esteriori…Non soltanto le azioni ma le opinioni debbono essere guidate». Nell'analisi di Koselleck, l'illuminismo contiene i germi della propria distruzione: «La forza dell'illuminismo, che si è sviluppata in modo invisibile e segreta, è rimasta vittima del suo stesso travestimento». E alla base di tale travestimento c'è una visione utopistica fatalmente viziata dall'illusione di poter fornire «una risposta definitiva all'assolutismo». Secondo Koselleck, l'ingresso nell'età moderna sarebbe avvenuto all'insegna di un utopismo fuorviato e gravido di conseguenze totalitarie.

"A patto di ignorare le vere radici dell'illuminismo europeo  - in cui confluirono sia l'esperienza rivoluzionaria inglese contro l'assolutismo degli Start, sia l'opposizione continentale all'assolutismo francese, stabilitasi, a partire dal 1685 e sino alla morte di Luigi XIV (1715), soprattutto nella Repubblica olandese delle Province Unite -, Koselleck non ha molta difficoltà a condannarne sommariamente l'universo ideale in quanto disperatamente utopico, data la sua incapacità di cogliere la precoce e diretta connessione tra illuminismo e concreta esperienza politica. Dopo essersi ritagliato il modello di un illuminismo ottenebrato e ambiguo, può tranquillamente cucirgli sopra l'esperienza massonica continentale, peraltro analizzata pressoché esclusivamente sulla scorta della bibliografia tedesca degli ani 1770. Alla luce di questa interpretazione, il rapporto tra massoneria e illuminismo richiama un po' il Dio di Voltaire, per cui, se le logge non fossero già esistite, prima o poi un philosophe le avrebbe inventate. Furet e Koselleck condannano l'illuminismo all'inevitabile attuazione di una politica di sinistra e ne fanno l'erede bastardo dell'assolutismo, ossia qualche cosa che non ha nulla a che fare né col pensiero, né con le istituzioni liberali e democratiche moderne: un punto d'appoggio concettualmente inconsistente, sul quale non è possibile fondare né la modernità, né la postmodernità."

 

Prendiamo atto della sicumera con la quale M. C. Jacob ritiene di possedere, lei sola, la conoscenza delle "vere radici dell'illuminismo europeo", nonché della accusa che ella rivolge a Koselleck di essersi fabbricato un'immagine di comodo dell'illuminismo stesso, per poi "cucirgli sopra" quegli elementi storici che gli sono parsi necessari per presentarlo sotto una luce fortemente negativa, ossia come precursore dei totalitarismi moderni.

A giudizio della studiosa anglosassone, ciò che allarmava le autorità dell'ancien régime non erano tanto  i contenuti ideologici della massoneria, - che, del resto, ignoravano, almeno all'inizio -, quanto le sue caratteristiche di società con pretese di autogoverno e la sua prassi di costituirsi in assemblee rappresentative, scardinando così le basi stesse della cultura dell'assolutismo e avviando i cittadini a sperimentare nuove forme di "sociabilità".

Abbiamo già indicato, nel nostro precedente lavoro, le ragioni per le quali ci sentiamo, invece, di concordare sostanzialmente con l'interpretazione dell'illuminismo e della Massoneria avanzata dal Koselleck, per cui non torneremo a ripeterle.

 

Lo storico tedesco, nato nel 1923, è morto il 3 febbraio del 2006 - poco più di due anni fa -, lasciando un vuoto nel panorama storiografico contemporaneo, tutto teso alla super-specializzazione. Egli infatti, come ricorda Carlo Gambescia in un articolo consultabile sul sito di Arianna Editrice (in data 9/2/2006) era uno "storico totale", ossia capace di utilizzare al meglio gli strumenti della sociologia, delle scienze politiche e giuridiche, della filologia e della semantica storica.

Uno dei suoi libri più importanti per la critica radicale alle aporie della società liberale (citato anche dalla Jacob), e sul quale verteva il nostro precedente saggio, era stato Kritik und Krise (tradotto in italiano dalla Casa Editrice Il Mulino di Bologna, nel 1972), che era stata la sua dissertazione dottorale e che un filosofo della storia della statura di Carl Schmitt aveva particolarmente apprezzato.

Scriveva Carlo Gambescia a proposito di quest'opera:

 

"Nel testo Koselleck dimostra come l'utopia borghese e illuministica, tutta incentrata sulla separazione tra pubblico e privato, sia frutto della scelta dell'illuminismo (come movimento di idee) di mascherare l'ansia di riforme, valorizzando nel privato le fantasie utopistiche (e di qui anche il ruolo delle Logge massoniche, cfr. in particolare il cap. II, pp. 69-170), per potersi così difendere dall'occhiuto assolutismo monarchico. Le élites postrivoluzionarie, incluse quelle attuali (ma questa è una ipotesi personale) continueranno a vivere sotto il segno di fantasie morali private (o comunque 'impolitiche') che rappresentano non solo l'antitesi della politica assolutistica (e il che può essere giusto), ma della politica in quanto tale: come sostrato culturale e sociale dell'uomo; un 'sottofondo' che purtroppo implica bene e male mescolati insieme. E dunque anche la dicotomia amico-nemico.  E qui basta ricordare l'uso retorico e nefasto, che si fa ancora oggi, dei diritti dell'uomo, come base privatistica (i diritti soggettivi universali), di una politica di forza 'pubblica' e militare. Nella convinzione 'assoluta', ma fantastica, che una volta instaurato il 'regno' dei diritti universali dell'uomo, verrà spontaneamente meno anche il ruolo della politica e del 'nemico'. Il 'privato' fantastico avrà così finalmente la meglio sul 'politico' realistico. Il rapporto con la politica, viene perciò vissuto ancora ogi, come durante le fasi più acute della rivoluzione francese (e qui è invece Koselleck a parlare),quale instaurazione del regno di utopia attraverso l'uso della forza, se non proprio della violenza. La ghigliottina come i bombardieri, ieri come oggi, sono giudicati veicoli di progresso."

 

Già, i bombardieri che volano sui cieli del mondo intero e sganciano bombe sui cattivi, a nome e per conto delle Nazioni Unite, della democrazia, del liberalismo, sui regimi brutti, sporchi e cattivi che non vogliono accettare "il migliore dei mondi possibili": quello delle libertà individuali (ma sono poi tali?), del parlamentarismo e del libero mercato.

Storici come Margaret C. Jacob, però, non ne sono persuasi. Per loro, l'interpretazione di Koselleck è paranoica, perché ha il torto di vedere fin troppo chiaramente gli esiti totalitari della democrazia preconizzati dai "fratelli" massoni e da filosofi da quattro soldi, come Voltaire, tutti impegnati a convogliare l'attenzione del pubblico contro un bersaglio di comodo (ad esempio, la filosofia di Leibniz, distorcendone il significato al fine di capovolgere il senso della definizione di "migliore dei mondi possibili), per poter procedere più speditamente verso l'obiettivo della felicità imposta a tutti con l'uso della forza.

Già: perché il migliore dei mondi possibili doveva essere solamente il loro: quello della "santa ghigliottina", quello degli elicotteri Tomawhak e dei cacciabombardieri Apache "in missione di pace" (!); e con buona pace dei veri Apache, sterminati da una nazione (democratica e massonica) che ne ha poi adoperato il nome per rinnovare i massacri a danno di altri popoli.

Ma sempre, per carità, in nome dei più nobili ideali umani, tanto cari al mondo moderno: a cominciare dall'instaurazione del regno della libertà, con tutte le meraviglie che esso infallibilmente reca con sé, e che dispensa generosamente anche a coloro i quali, avendolo rifiutato, non ne sarebbero neppure degni.