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La morte del risparmio è già una realtà

di Sabrina Lauricella - 11/03/2008

 
“La morte del risparmio, un problema europeo”. È questo il titolo di un convegno tenutosi mercoledì scorso nella sede romana del Parlamento europeo. L’iniziativa, promossa dall’onorevole Luca Romagnoli, ha delineato un quadro a tinte fosche della situazione italiana, focalizzando l’attenzione su quella fondamentale variabile economica che è il risparmio, corroso dall’inflazione, dal consumismo, dalle discutibili tesi liberiste e da una pericolosa quanto malintesa globalizzazione. Ma cos’è il risparmio e perché è così importante?

L’attuale società iperconsumistica, per il parlamentare europeo che ha aperto il convegno, è dominata più dal potere finanziario che da quello politico. Fondamentale nelle società tradizionali e contadine, che accantonano per le stagioni di incerta prosperità, il risparmio ha assunto oggi un sapore ben diverso: è diventato cioè “accumulo avaro di denaro”. Nel primo caso un disequilibrio negativo dei conti si giustifica anche a livello di Stato, perché il debito serve a fare investimenti che si traducono in risparmio futuro. Con il New Deal americano però, per superare la crisi, si introdusse l’intervento pubblico per accrescere il consumo dei cittadini. Nacque insomma la società dei consumi che ha portato alla perdita del senso del risparmio privato e pubblico, inteso come la migliore amministrazione del debito proiettato verso lo sviluppo del futuro. Con il tempo la società dei consumi si è trasformata anche in quella dell’inflazione, che con la riduzione del potere di acquisto realizza anche una redistribuzione dei redditi a sfavore dei più poveri, incitando a consumare prima di aver prodotto. Il meccanismo, da una parte, espropria i lavoratori della retribuzione riducendone la libertà e dall’altra nutre chi ha capitale accumulato, libero di destinarlo a risparmio, investimenti e consumi. Mentre i primi si indebitano per finanziare l’effimero e il surplus, i secondi corrodono la ricchezza dei lavoratori con drammatici effetti sociali presenti e futuri.

Considerando le forti differenze tra le aree del mondo e la concentrazione nelle mani di pochi soggetti e società anonime transnazionali delle risorse, la nostra non è più definibile per Romagnoli una società del progresso.
Ma ha ancora senso parlare di risparmio? Questo, ha spiegato il professor Roberto Bizzarri dell’Università di Cassino, è quella parte non consumata e accumulata che per Keynes corrispondeva agli investimenti. Un meccanismo semplice: le famiglie risparmiano e le risorse sono utilizzate per stimolare la crescita tramite banche che oculatamente erogano le risorse a favore di investimenti in aziende sane, la cui crescita genera ricchezza, benessere e nuovo risparmio. Perché allora questo meccanismo non funziona e i redditi medi non sono sufficiente a favorire i risparmi generalizzati? La cultura imperante dell’usa e getta, ha spiegato Bizzarri, rende i consumatori pedine nelle mani della pubblicità, anche a costo di indebitarsi. Ciò porta ad annullare la storica propensione al risparmio, impedendo al circolo virtuoso ipotizzato da Keynes di realizzarsi. Il paradosso del BelPaese però è anche un altro: l’Italia non è in grado di favorire gli investimenti neanche quando le risorse vengono dallo Stato o dall’Ue. Dei 64 miliardi assegnati all’Italia nel periodo 2000-2006, ha detto ancora Bizzarri, ne è stato erogato meno del 66%: il mercato ha quindi “rinunciato” a 3 miliardi l’anno di liquidità in un periodo di congiuntura economica sfavorevole. Presto arriverà una nuova torta di agevolazioni comunitarie di quasi 122 miliardi per il periodo 2007-2013 ma è facile previsione per Bizzarri che l’Italia non riuscirà a spenderli. Servirebbe infatti una banca cui delegare in esclusiva l’amministrazione di queste risorse, all’interno di nuove regole condivise. Nessuna parte politica inoltre si priverà mai del potere di gestire i benefici finanziari.Le idee ci sono, ha sottolineato, ma non sono applicate e gli ultimi due governi non sono stati capaci di creare quelle nuove regole necessarie mentre oggi le procedure a bando vengono fatte in modo tale da impedire ai più di partecipare. Indispensabile per Bizzarri creare una nuova Authority, combattere la burocrazia e l’inefficienza, finora evidente negli enti competenti in materia. Anche il project manager per la verifica delle proposte, presente nelle ultime Finanziarie, non basta, tanto più che i segnali “vanno in direzione opposta rispetto al far ritornare efficienza al meccanismo famiglie/imprese” e al ricreare la cultura del risparmio e della creazione di ricchezza da parte delle aziende.
Oggi il risparmio è ancora un valore? A questa domanda ha cercato di dare risposta il dottor Giampaolo Bassi, commercialista e revisore dei conti, che ha ricordato come questo principio appariva tanto caro ai padri Costituenti da dedicargli l’articolo 47 della Costituzione, in collegamento con il 36. Due norme che, ha ricordato, servono ad assicurare la “democrazia sostanziale”, perché nessun Paese può ritenersi libero “se un cittadino non può vivere dignitosamente con il frutto del proprio lavoro”. Tra i tre soggetti economici, famiglie, imprese e istituzioni, teoricamente sono le prime - risparmiatrici nette - a produrre il risparmio, ha detto Bassi. La loro capacita di risparmiare, quindi, è fondamentale. Un’indagine Doxa sul 2007 ha però sottolineato che il 18% del campione non riusce ad accantonare nulla, avendo un reddito del tutto insufficiente.

Anche se le banche sostengono il contrario, in quanto in percentuale la propensione italiana è ancora maggiore a quello europea, il dato dinamico è molto preoccupante: gli italiani hanno subito una riduzione della propensione al risparmio di entità doppia rispetto a quella dei Paesi Ue ed è crescente la fascia di popolazione che ha capacità nulla, con gravi conseguenze sugli investimenti produttivi. Il timore è stato confermato anche da Bankitalia, che ha reso noto che la propensione degli italiani nel 2004-2006 è progressivamente scesa fino all’11%, livello più basso dal 2000. Disaggregando i dati rispetto al reddito, inoltre, emerge che il numero delle famiglie in “saldo negativo”, cioè che ricorrono ai prestiti per vivere o ai risparmi accumulati ha raggiunto il 27%, raddoppiando in 7 anni. Il credito al consumo è spesso non finalizzato, una forma cioè di “integrazione a debito” del reddito familiare insufficiente e per l’Eurispes sono più di 2,5 milioni le famiglie a rischio povertà.
Tre le principali cause per Bassi. L’euro, che ha portato un rialzo dei prezzi percepito dai consumatori in ritardo e negato dai politici. Gli italiani hanno quindi mantenuto il tenore di vita con un potere di acquisto inferiore, erodendo le proprie risorse finanziare.

La crescita lenta dei salati, che è stata inferiore a quella dei colleghi Ue. Infine, una dinamica salariale che lontana dall’inflazione reale, nel mentre i beni voluttuari erano percepiti sempre più come necessari, incentivati dalla pubblicità sugli acquisti a rate. Da ciò emerge il fallimento del sistema bancario e al sua volontà di non voler gestire bene. Mentre saliva il credito al consumo, ad esempio, il differenziale tra i tassi attivi e passivi era mantenuto eccessivo (8% contro 1,5%); quando si trattava di consigliare i clienti, venivano caldeggiati prodotti come i bond argentini, Parmalat o Cirio, che hanno bruciato oltre 20 miliardi di euro; sul fronte dei mutui, infine, con l’Euribor al minimo storico, nel 2004 veniva consigliato il variabile mentre oggi si consiglia il fisso, con la conseguenza che le rate sono salite in modo insostenibile e fasce crescenti sono esposte al rischio insolvenza. Anche il tardivo risveglio dell’Istat, con la creazione dell’indice ad alta frequenza di consumo, si spiega solo con la necessità di accogliere, con 1 anno di ritardo, un’indicazione Ue. Per non parlare del fatto che, per l’Ocse, gli italiani sono pagati meno di tutti pur avendo un costo che è tra i più alti. Il tasso di democrazia sostanziale, quindi, non può che essere decisamente basso.

Hanno fallito, per il dottor Enea Franza della Consob, le varie autorità, comprese Bankitalia e Consob. I noti scandali hanno dimostrato che c’è qualcosa che non funziona nel sistema di repressione delle frodi. Anche la Borsa, che negli anni ’80 aveva portato il mito del facile arricchimento offrendo la possibilità di trovare risorse a basso costo, non funziona più: non finanzia l’economia e non sostituisce la banca, rimanendo però un ottimo di trasferimento a condizione di dare report positivi al mercato. Nello stesso tempo neppure lo Stato, altamente indebitato, può finanziarla e soggetti aggressivi si sono sostituiti sul mercato con lo scopo del profitto (fondi comuni, società fiduciarie), aiutati dalla diversificazione dell’offerta finanziaria e la creazione di pericolosi prodotti ibridi come i derivati, utilizzati per mostrare bilanci falsamente in utile. La globalizzazione, ha ammonito Franza, è poi il modo migliore per trasferire le risorse da un Paese ad un altro in pieno anonimato e l’unica strada per uscirne è una nuova Bretton Woods, un nuovo accordo internazionale, che impedisca la distruzione di ricchezza.

Gli italiani non sono più formiche ma cicale, ha ribadito nel suo intervento il professore dell’Università della Tuscia, Vittorangelo Orati. La propensione al risparmio è dimezzata e siamo diventati consumisti con la conseguenza che lo sviluppo è fermo. Orati ha spiegato che gli Usa hanno obbligato l’Ue a credere nel funzionamento del liberismo e del neoliberismo, al punto che la Bce si è data per Statuto l’obiettivo del controllo dell’inflazione, mentre gli Usa agivano da Keynesiani spendendo più di quanto producono, accumulando un elevato deficit gemello e delle partite correnti con tassi di risparmio negativi. La loro economia consuma quindi le risorse degli altri al punto che se ripulissero i conti pubblici andrebbero subito in recessione. Anche il miracolo cinese è a suo parere un bluff: i dati sono sovrastimati perché la produzione della vecchia comune cinese, nel passato, non veniva contabilizzata nel Pil pur essendo reale. Oggi, il reddito medio cinese è poco oltre i 2$ al giorno, valore minimo teorico al di sotto del quale un cittadino è considerato sotto la soglia di sopravvivenza ma, cacciati dalle comuni, i cinesi prendono oggi un salario da fame, più basso di quello che percepivano prima essendo anche ipersfruttati.

E l’Italia? Si mantiene sui papà dei bamboccioni, di cui quest’ultimi consumano i risparmi. Negli ultimi 10 anni ben 10 punti di Pil sono passati dai lavoratori agli imprenditori dello Stivale che, oltretutto, pretendono saggi di profitto maggiori di quelli degli omologhi europei. Il risultato è una scarsa performance di sviluppo e lo smantellamento del Welfare State, l’abbandono precipitoso della “civiltà del lavoro”, la precarizzazione qualitativa e quantitativa delle condizioni lavorative, propagandata come normale esigenza di flessibilità di un fattore produttivo, omologato alla terra e al capitale, cose inanimate. Dal 2006 in poi si è manifestato poi uno dei più gravi effetti della osannata globalizzazione: la gigantesca redistribuzione del reddito a favore di profitti e rendite e a danno dei salari. Ad affermarlo non è ‘radio Cuba’, si legge negli atti del convegno scritti da Orati, ma il prestigioso Mit della Cambridge statunitense. Sono questi gli effetti sperequativi della globalizzazione, fenomeno che il professor ha criticato con coraggio - nel silenzio dei media nostrani - nel 2003 con un libro dal titolo “Globalizzazione scientificamente infondata”.